Costringe e induce pazienti ad atti sessuali, ma la restrizione della libertà va provata in concreto

La condizione di restrizione della libertà personale di pazienti ricoverate in una struttura ospedaliera va accertata in concreto, specie quando i ricoverati non siano assolutamente incapaci di deambulare autonomamente.

Il caso. L’imputato era un infermiere professionale del reparto di psichiatria dell’ospedale di Borgomanero accusato di avere costretto alcune donne ricoverate a subire e compiere atti sessuali contro la loro volontà. Era contestata anche l’aggravante di avere agito su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale perché pazienti sedate, impossibilitate a determinarsi liberamente e comunque sotto effetto di psicofarmaci. Numerosi e articolati i motivi di ricorso, ma la Suprema Corte li dichiara tutti infondati, tranne uno. La restrizione della libertà personale. La Cassazione accoglie i dubbi illustrati dalla difesa in ordine alla sussistenza, nel caso di specie dell’aggravante del fatto commesso su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale. Più in dettaglio, la Suprema Corte registra la possibilità paventata dalla difesa che l’aggravante in concreto non sussista e, comunque, che la sussistenza della stessa non sia stata adeguatamente motivata , atteso che la Corte d’appello si era limitata a motivare in modo semplificato e scarno riproducendo una massima giurisprudenziale che faceva riferimento al ricovero presso una struttura ospedaliera con restrizioni Cass. pen. sez. II, sent. n. 45645/2003 . Annullamento con rinvio . Ad avviso della Cassazione, i giudici di merito – che pur avevano applicato un precedente non smentito – avrebbero dovuto descrivere in concreto in cosa consistevano le restrizioni , quali regole particolari in essere nel reparto di psichiatria, atteso che non si trattava di persone assolutamente private della possibilità di deambulare autonomamente. Costrizione, induzione e violenza. Nel dichiarare infondato il primo motivo di ricorso, la sentenza – che merita di essere letta per esteso – offre un pregevole approfondimento sulle condotte che integrano il reato. La speculazione offerta dal difensore sul termine costringere che viene associato tout court alla violenza non ha fondamento. La norma infatti distingue tra casi di costrizione e casi di induzione. Solo le prime possono manifestarsi – alternativamente – con violenza, minaccia o abuso di autorità, mentre le condotte di induzione si verificano quando si abusi della condizione di inferiorità fisica o psichica della persona offesa oppure per sostituzione di persona. L’abuso di autorità esercitato sulle vittime costrette. Il giudizio di merito aveva accertato che alcune vittime avevano subito l’abuso di autorità da parte dell’imputato a causa della posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico incaricato di pubblico servizio rivestita dall’infermiere nel contesto dei fatti. E se vi è coartazione non vi è libertà, quindi le vittime non erano consenzienti. E la minaccia successiva alla violenza? Le vittime erano state minacciate successivamente affinché non rivelassero quanto accaduto. Secondo l’imputato tale argomento doveva far concludere per un rapporto consenziente, ma la Suprema Corte è di avviso contrario. La minaccia successiva, se è vero che non è utile per qualificare la costrizione la quale, come si è detto, può caratterizzarsi anche per violenza e per abuso di autorità , conferma che le vittime erano dissenzienti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 ottobre - 5 dicembre 2012, n. 47102 Presidente Squassoni – Relatore Mulliri Ritenuto in fatto 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Il ricorrente L.V. è accusato di violenza sessuale aggravata ai sensi del n. 4 dell'art. 609 ter c.p. per avere, quale infermiere professionale presso il reparto di psichiatria dell'ospedale di omissis , abusando della propria qualità, costretto 4 donne a subire e compiere atti sessuali contro la loro volontà con l'aggravante di avere agito in danno di persone che erano pazienti, sedate, prive della possibilità di determinarsi liberamente o, comunque, sotto l'effetto di psicofarmaci. Per meglio comprendere le argomentazioni difensive e la evocazione di altre persone inizialmente individuate anch'esse come persone offese, occorre, molto sinteticamente, rammentare le vicende del procedimento. Esso ha avuto origine da una segnalazione all'A.G. inoltrata nel febbraio 2010 dal dirigente del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura presso l'ASL di omissis a seguito della denuncia fatta da una paziente, A.F. , colà ricoverata, che aveva riferito di avere avuto un rapporto orale, consenziente, con l'infermiere professionale L.V. il quale, in precedenza, le aveva manifestato interesse rivolgendole apprezzamenti e raccontandole di avere avuto altre esperienze sessuali con pazienti ricoverate nello stesso reparto. La cosa era stata raccontata dalla A. agli infermieri professionali G. e L. i quali le avevano riferito - ripetendolo poi anche alla p.g. - che la circostanza che L.V. avesse avuto approcci sessuali con alcune pazienti del reparto era ormai di pubblico dominio”. Le indagini giudiziarie, svolte attraverso la escussione di pazienti e personale sanitario, avevano portato ad acclarare secondo quanto riferito dal dirigente del reparto, la Dott.ssa M. che, nel passato, altra paziente I. aveva lamentato molestie sessuali da parte dell'imputato senza essere creduta ma che, dopo circa 4/5 anni, anche altra donna C. aveva sviluppato le medesime doglianze ma, anche in quel caso, vi erano sempre state smentite da parte dell'imputato secondo cui l'unica sua colpa era di essere troppo zelante . La Dott.ssa Al. , medico psichiatra presso quell'ospedale dal omissis , aveva poi riferito che, all'epoca, aveva raccolto le confidenze di una paziente An. secondo cui ella aveva ricevuto molestie sessuali da parte dell'odierno imputato e che aveva deciso di non sporgere denuncia essendo avvilita perché mortificata come donna”. Anche altra paziente P. aveva raccontato ai CC. di aver subito approcci sessuali da parte dell'imputato. L'imputato, nel corso delle varie dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria, dopo iniziali smentite, aveva ammesso parzialmente i fatti giustificando l'accaduto con la circostanza che erano state le pazienti, in momenti di scompenso, a fare delle avances alle quali non era riuscito a sottrarsi anche a causa del fatto che, all'epoca, assumeva dei coadiuvanti il testosterone per cercare di avere un altro figlio con la moglie. A suo dire, vi erano stati un rapporto orale con la C. , dopo che la stessa lo aveva adescato, ed uno con la A. mentre non ricordava di toccamenti, delle proprie parti intime, da parte della I. . Di certo negava di avere usato violenza con alcuna di esse. Quanto alla An. ricordava solo che, stante la confidenza che si era creata tra di loro, una volta le aveva mostrato il pene senza però che vi fosse stato alcun rapporto e che non ricordava nulla per quanto riguardava altre due donne a. e P. . All'esito del giudizio abbreviato, L.V. è stato giudicato colpevole di abusi sessuali nei confronti di I.S. , C.F. , P.A. ed An.Hi.An.Hi. . È stato, invece, assolto per insussistenza del fatto con riguardo agli episodi riguardanti la A. e la a. . Con la decisione qui impugnata, la Corte d'appello ha confermato la condanna inferta in primo grado limitandosi a ridurre parzialmente la pena, da sei, a cinque anni e quattro mesi di reclusione. 2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, il L.V. ha proposto ricorso, tramite il proprio difensore, deducendo 1 violazione di legge art. 606 lett. b c.p.p. in rel. art. 609 bis c.p. perché, nella condotta contestata, non sarebbero ravvisagli gli estremi del delitto p.e p. dall'art. 609 bis cp Tale ultima disposizione, infatti, richiede che i mezzi attraverso cui commettere il reato siano rappresentati da violenza, minaccia o abuso di autorità e, necessariamente, si deve trattare di condotte che devono precedere l'atto sessuale. Invece, la contestazione, così come formulata, evidenzia solo una minaccia consistita nell'intimare alle pazienti di non rivelare quanto occorso perché tanto non sarebbero state credute in relazione alle condotte di costrizione . È, quindi, evidente che la minaccia non può che essere intervenuta successivamente all'atto sessuale e che, di conseguenza, ai fini del compimento di quest'ultimo, la volontà non era stata affatto coartata. Si è, perciò, in presenza di una errata utilizzazione della norma sostanziale l'art. 609 bis c.p. ma anche di quella processuale art. 521 c.p.p. non essendovi correlazione tra l'accusa e la sentenza, visto che il L.V. è stato condannato per un fatto neppure contestato 2 violazione di legge per vizio di motivazione art. 606 lett. e c.p.p. Sostiene, infatti, il ricorrente che la decisione qui impugnata è censurabile per avere ripetutamele sostenuto pagg. 9 e io che l'imputato non ha confutato le accuse. Si ricorda che, al contrario, nell'atto di appello e nella memoria depositata in primo grado, le difese dell'imputato hanno contestato la formulazione dell'accusa in tutti i dettagli come pure sono state analizzate le condotte in discussione, persona per persona. La motivazione impugnata, quindi è illogica quando nega dati tanto evidenti 3 violazione di legge penale e processuale art. 606 lett. e c.p.p. in rei, agli ant. 609 bis c.p. e 521 c.p.p. perché é stato ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 609 bis c.p. con riferimento alle pp.oo C. , An. e P. per le quali - come si legge nella sentenza di primo grado - Si sarebbe verificata una violenza fisica consistita nel prendere con forza la mano o non dare possibilità di reazione che, però, non è stata contestata. In tal modo, violando anche il principio di correlazione tra accusa e sentenza 4 vizio di motivazione art. 606 lett. e c.p.p. con riguardo alla valutazione delle testimonianze di tutte le persone offese. Sebbene, infatti, il giudicante di primo grado poi avallato dalia corte d'appello abbia dichiarato che il metodo di valutazione da seguire fosse quello logico di sondaggio della credibilità oggettiva e soggettiva, in concreto, tale criterio non è stato seguito ed, anzi, si è fatto riferimento a difficoltà psicologiche e morali nel denunziare l'abuso ovvero a meccanismi psicologici che bloccano, senza che di tali affermazioni sia stata data prova alcuna. Richiamando, quindi, quanto sostenuto nell'atto di appello, si evidenziano quelle che, a detta della difesa, sono incongruenze emerse nelle dichiarazioni delle parti lese alle quali la sentenza qui impugnata non ha fornito alcuna risposta, al punto da dubitare persino che siano state prese in considerazione. In particolare ricordando in estrema sintesi - quanto alla p.o. An. . a non vi è corrispondenza tra l'episodio di abuso da lei riferito in sede di s.i.t. il XXXXXXX e quanto dalla stessa riportato nei colloqui psichiatrici b la dr.ssa Al. riferisce l'episodio a lei raccontato dalla An. in termini diversi da quelli della donna ed, in particolare, non dice che lei era sconvolta né che aveva chiesto di essere dimessa c né la dottoressa né la collega Pl. - cui l'accaduto era stato riportato - hanno preso alcuna iniziativa a fronte della denuncia d risulta che la An. abbia dato a L.V. il numero di telefono della figlia per ottenerne aiuto in vista di un lavoro e ciò è singolare così come il fatto - riferito da L.V. - che egli incontrò la signora An. successivamente alle dimissioni e fuori dal reparto - quanto alla p.o. I. . a sebbene ella abbia denunciato due episodi di abuso, alla madre ella ne ha raccontato solo uno e non vi è corrispondenza con i racconti dei medesimi fatti da ella riportati alle Dott.sse Ma. e Ca. b è stato riferito dalla Dott.ssa Ma. che la p.o. aveva una personalità vendicativa sì che l'avere appreso della denuncia di altra persona, A. , potrebbe averla indotta a dichiarazioni differenti per rendere più interessante la propria versione agli inquirenti anche in considerazione di una verosimile suggestione derivante dal fatto che l'altra p.o. C. avrebbe avuto una cotta per l'imputato che non l'aveva ricambiata c in ogni caso, la p.o. non ha mai cercato di urlare e chiedere aiuto per quanto le sarebbe stato imposto dall'imputato che, comunque, non avrebbe potuto fare ciò di cui è accusato perché, come riferito anche dal primario del reparto di psichiatria, non era in servizio nei giorni in cui i fatti si sarebbero verificati - quanto alla p.o. C. . a premesso che la donna ha riferito di tre rapporti orali con l'imputato -, mentre a dire di quest'ultimo ve ne sarebbe stato uno solo, e consenziente - la difesa evidenzia che la vittima non ha mai riferito a nessuno di tali presunti abusi né ha gridato o cercato aiuto e, comunque, ella non era mai stata sola in camera né è precisa in ordine alle circostanze temporali dei presunti abusi b la donna non ha mai riferito dei suoi rapporti drammatici con altro infermiere conosciuto nel reparto di psichiatria che aveva avuto anche problemi di tossicodipendenza e l'aveva picchiata al punto che ella era stata ricoverata nel reparto ove lavorava il L.V. proprio per allontanarsi da casa c neppure la primaria ha mai affermato che la C. versasse nelle condizioni di inferiorità psichica di cui L.V. potesse avere approfittato - quanto alla p.o. P. . a la donna non ha mai riferito ad altri di asseriti toccamenti da parte dell'imputato in occasione di una iniezione, peraltro ella soffriva di sdoppiamento della personalità e poteva avere avuto un percezione errata dei fatti b anch'essa potrebbe essere stata condizionata dalla C. visto che il suo periodo di ricovero coincide parzialmente con quello dell'altra donna. In generale, con riferimento a tutte le persone offese, si fa notare che nessuna di esse risulta avere subito Violenze visto che anche i rapporti orali, se costretti, possono lasciare segni e, comunque, le donne non ne hanno parlato. È, poi, inverosimile che tali fatti si possano essere verificati in luoghi in cui sono sempre presenti sanitari e personale ospedaliero e che pur essendo stati tanto frequenti come si contesta, non fossero stati a conoscenza di alcuno. Infine, si ricorda che L.V. aveva tenuto addirittura corsi ad altri operatori sulle tecniche di contenimento dei pazienti per esigenze terapeutiche e, per tale motivo, veniva chiamato frequentemente a svolgere tale attività la qual cosa avrebbe potuto essere fraintesa, così come il carisma che egli possedeva riferito anche dalia primaria avrebbe potuto dar adito ad invidie. Il ricorrente, infine, censura il fatto che non si sia tenuto conto delle affermazioni rilasciate dall'imputato anche quelle dell'ultima dichiarazione al P.M. dell'8.7.10 dalle quali si evince un a obiettiva sofferenza - egli piangeva - e che, invece, sono state definite furbesche 5 violazione di legge art. 606 lett. b c.p.p. in rel. art. 609 ter n. 4 c.p. visto che l'aggravante è stata contestata al di fuori dei casi per i quali essa è stata prevista. La sentenza n. 45645/03 della II sez. di questa S.C., infatti, ha precisato che tale aggravante sussiste quando ci sia una oggettiva ed effettiva privazione della libertà personale mentre essa, sicuramente, non ricorreva nella specie visto che le pazienti erano in un ospedale e la eventuale assunzione di farmaci non impediva loro di allontanarsene 6 vizio di motivazione art. 606 lett. e c.p.p. nel diniego delle attenuanti generiche. In particolare, si censura l'affermazione dei giudici di secondo grado secondo cui L.V. manifesta una furbesca quanto disinvolta volontà di ritagliarsi il ruolo di colui che cede, ben lungi da colui che ha compiuto una seria disamina autocritica sui fatti de quibus” e che L.V. non ha fatto alcuno sforzo neanche minimo per iniziare a risarcire le parti civili”. Le prime affermazioni sono smentite dal dato obiettivo che l'imputato si è rivolto per assistenza terapeutica ad uno psicoterapeuta dr. c. che ha riferito come L.V. abbia manifestato un chiaro rammarico ed un senso di prostrazione e frustrazione e come egli sia sinceramente addolorato . Lo psicoterapeuta ha, inoltre, ricordato che L.V. attualmente si sta dedicando all'attività di bagnino con successo e beneficio anche economico per la famiglia composta dalla moglie e da due figli. Quanto alla mancanza di una offerta di risarcimento si segnalano le difficili situazioni economiche dell'imputato di cui la corte non ha tenuto il minimo conto 7 vizio di motivazione art. 606 lett. e c.p.p. per non avere i giudici valutato i criteri dell'art. 133 cp. ed, in particolare la condotta successiva al reato caratterizzata dall'aver intrapreso un percorso psicoterapeutico. Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Motivi della decisione - Il ricorso è infondato ad eccezione di quanto si dirà a proposito del quinto motivo. 3.1. quanto ai primo motivo . È sicuramente ingiustificata e suggestiva la tesi sviluppata con il primo motivo perché specula sull'equivoco in cui può indurre il verbo costringere . Il difensore, infatti, sviluppa la propria tesi dando per implicito che la costrizione come sembra suggerire la nozione del termine stesso implichi una violenza. La norma è, invece, strutturata in modo tale da distinguere - tra il 1 ed il 2 comma -le condotte di costrizione e quelle di induzione . Le prime si realizzano alternativamente attraverso, violenza, minaccia o abuso di autorità le seconde, abusando delle condizioni di inferiorità ovvero mediante inganno . Nella specie, vi sono state pp.oo costrette C. , An. e P. ed altre indotte I. . Quelle costrette hanno subito, infatti, preventivamente, l'abuso di autorità a causa della posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico ricoperta dall'imputato che - come specificato nella contestazione - rivestiva la carica di infermiere, presso l'ospedale pubblico di OMISSIS e, come tale, era incaricato di un pubblico servizio. Quindi, la minaccia successiva, è solo rafforzativa di una condotta coercitiva già esplicata il ricorrente, invece, sorvola sull'abuso di autorità e cerca di focalizzare l'attenzione sulla minaccia e sul fatto che essa si sarebbe realizzata in un secondo momento per impedire alle donne di raccontare quanto accaduto. Così facendo, però, sviluppa una tesi che, comunque, anche sul piano logico non ha un senso visto che, in sé e per sé, la semplice minaccia successiva non avrebbe avuto ragion d'essere se le pp.oo. come, invece il ricorrente sostiene avessero acceduto ai rapporti in modo consenziente. In realtà, esse tali non erano sia perché coartate dal ruolo di autorità rivestito dall'imputato, sia perché - come emerso nel corso del giudizio ed opportunamente sottolineato dalla sentenza di primo grado - in certi casi C. , An. e P. si era verificata anche una vera e propria violenza fisica consistita nel prendere con forza la mano o non dare possibilità di reazione - v. f. 30 sent. trita. . Essa non è stata contestata ma può essere ugualmente rimarcata senza incorrere in alcuna violazione dell'art. 521 c.p.p. visto che è ad abundantiam rispetto alla contestazione già di per sé completa, ma rileva ai fini della descrizione completa dei fatti così come fatto emergere dalle indagini e dalla istruttoria dibattimentale. 3.2. quanto ai secondo motivo . La censura è manifestamente destituita di fondamento. Giova rammentare, infatti, che un vizio della motivazione non da luogo a violazione di legge art. 606 lett. b c.p.p. tranne che nei casi di mancanza assoluta di motivazione o di motivazione meramente apparente mentre l'illogicità manifesta può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e dell'art. 606 stesso codice S.U. 28.1.04, Bevilacqua, Rv. 226710 . A tale stregua, pertanto, il motivo di ricorso deve essere esaminato secondo i parametri sopra indicati che guidano il vaglio della motivazione da parte del giudice di legittimità. Secondo il ricorrente la illogicità della presente motivazione discenderebbe dal fatto che i giudici di secondo grado non hanno tenuto in considerazione che l'imputato, sia nei motivi di appello che nella memoria depositata in primo grado, aveva reiterata mente confutato le accuse. Il vero è che, nelle pagine citate dal ricorrente, la Corte non fa altro che aderire alla lettura che il giudice di primo grado aveva dato della linea processuale tenuta, fatta di smentite iniziali e di parziali ammissioni nel tentativo di ridimensionare i fati occorsi”. Comprensibilmente si tratta di un punto di vista non condiviso dalla difesa dell'imputato, ma non per questo da luogo ad alcuna violazione di legge o, ancor meno, a manifesta illogicità della motivazione unica censurabile in questa sede . 3.3. quanto al terzo motivo . Sulla base di quanto affermato trattando del primo motivo, può tranquillamente affermarsi la infondatezza anche della presente doglianza. È ben vero, infatti, che il giudice di primo grado ha valorizzato il fatto che, secondo i racconti delle pp.oo. l'imputato ha talvolta esercitato una vera e propria violenza fisica. Si legge infatti che .l'infermiere, anche superando la ribellione della p.o., prendendole con la forza la mano, si faceva masturbare, conducendo di peso la vittima in bagno ed afferrandone la testa, ovvero premendo contro di essa il pene, costringeva la p.o. ad avere un rapporto orale, agendo in modo improvviso e senza dare la possibilità di reazione alla p.o., palpava e massaggiava intrusivamente le parti intime della vittima ano, seno, vagina ” f. 30 . Ma ciò, nell'ottica descrittiva del giudicante rileva per smentire la tesi difensiva del rapporto consenziente e per valorizzare lo stato di inferiorità fisica e psichica delle vittime che agevolava la positiva persuasione da parte dell'infermiere e la prestazione eventuale di un consenso decisamente viziato e, come tale, irrilevante. A tale proposito, correttamente, poi, il giudicante ricorda il diverso caso della p.o. I. dalla quale, proprio approfittando dello stato di malessere della giovane, l'imputato si fece masturbare, pur evitando verosimilmente di ricorrere alla violenza fisica”. In altri termini, scorrendo la lunga ed attenta analisi dei fatti svolta dal giudice di primo grado ed avallata dalla Corte sì da saldarsi con essa per formare un unico complesso corpo argomentativo - S.U. 4.2.92, Musumeci, Rv. 191229 Sez. I, 20.6.97, Zuccaro, Rv. 208257 Sez. I, 26.6.00, Sangiorgi, Rv. 216906 , appare chiaro che la evocazione delle condotte materialmente costrittive costituisce solo parte della descrizione di una vicenda complessa in cui l'imputato, di volta in volta ha costretto le proprie vittime facendo uso dell'autorevolezza derivantegli dal ruolo ricoperto e non solo ovvero ha - come nel caso appena citato della p.o. I. - semplicemente indotto la propria vittima profittando della accertata condizione di crisi psicopatologica” nella qual ella versava e di cui l'imputato che, anche grazie alle mansioni svolte era ben consapevole ha Sicuramente approfittato visto che la donna, sia pure al'apparenza consenziente non aveva alcun consapevole discernimento critico e reale capacità di autodeterminazione nella esecuzione di quegli atti sessuali”. Non si giustifica, quindi, in alcun modo la preoccupazione del ricorrente circa una presunta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza visto che il fatto che nei racconti delle vittime siano emersi dettagli che avrebbero giustificato anche una contestazione di violenza sessuale anche per costrizione mediante violenza, nulla toglie al fatto che, comunque, obiettivamente egli sia stato giudicato e condannato per avere, o, costretto le proprie vittime abusando della propria qualifica ovvero, inducendole mediante abuso delle loro condizioni di inferiorità psicofisica. 3.4. quanto ai quarto motivo . Nemmeno il presente motivo merita accoglimento. Sebbene, con esso, si cerchi di avallare la tesi che i giudici non hanno fatto buon uso dei propri strumenti interpretativi nel soppesare la attendibilità delle persone offese, in concreto, l'errore in cui si incorre nel sostenere tali ragioni è quello di riproporre le emergenze processuali al fine di ottenere da questa S.C. un nuovo apprezzamento, onde pervenire ad una conclusione più favorevole alla difesa. A proposito dell'ambito di azione del potere/dovere di controllo, da parte della S.C., nella verifica della motivazione ex art. 606 lett. e c.p.p., è però, appena il caso di rammentare che, per giurisprudenza concorde, rientra certamente nelle competenze di questa S.C. verificare se un fatto affermato come esistente sia invece inesistente ovvero se le argomentazioni della motivazione siano sostenute da elementi di fatto acquisiti in atti e se, in buona sostanza, se il giudice del merito abbia fotografato correttamente la realtà sulla scorta di quanto accertato. Tale verifica, tuttavia, non può mai risolversi in una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove al punto da optare per la soluzione che si ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti rivedendo, ad esempio, l'attendibilità dei testi o conclusioni peritali o di consulenti tecnici tra le ultime, Sez. II 11.1.07, Messina, Rv. 235716 Sez. VI 17,10.06 Ouardass, n. 37270Sez. IV, 17.9.04 n., Cricchi, Rv. 229690 . Stanti tali premesse, anche solo avendo presente la sintesi, sopra riportata, degli argomenti spesi nel presente motivo, appare ictu oculi la loro infondatezza perché tutte incentrate al conseguimento di un riesame delle dichiarazioni dei testi, ad un raffronto tra di loro ed alla effettuazione di un nuovo vaglio di attendibilità nella diversa prospettuva in cui i medesimi fatti vengono qui portati all'attenzione. La non praticabilità di tale via è accentuata dal rilievo che, a ben vedere, le argomentazioni che vengono qui svolte sono sostanzialmente le medesime dei motivi di appello ed hanno ricevuto dalla Corte puntuale replica attraverso la evidenziazione del fatto che, a ben vedere, si trattava, in quel caso, delle doglianze contenute in una memoria che le Difese dell'imputato avevano depositato nel giudizio di primo grado” e che - si sottolinea dalla Corte d'appello, già il Tribunale aveva esaminato replicandovi in modo che i giudici di secondo grado hanno ritenuto di condividere. In particolare, significativo risulta il rilievo generale - sottoscritto anche dai giudici di appello - secondo cui le deposizioni delle persone offese hanno riguardato sempre la persona dell'attuale prevenuto, rese anche a distanza di tempo dalle varie pp.oo, convergenti e, come spiegato dal Primo Giudice a pag 19 della sentenza, intrecciatesi coerentemente tra loro” ditalché, si soggiunge se si dovesse accreditare l'ipotesi difensiva, si dovrebbe ipotizzare una sorta di fantomatico, quanto inspiegato e dispiegabile complotto calunnioso, in danno del prevenuto,ordito da persone che, si badi, per la gran parte non ebbero loro ad assumere iniziative di rilievo giudiziario a carico dell'imputato ma riferirono di pregressi abusi, coinvolgenti l'attuale imputato, solo per essere state raggiunte dalle indagini di pg, che si sono protratte per alcuni mesi, tra la fine di gennaio e la metà di OMISSIS , dopo la iniziativa della paziente A. ”. Tanto premesso in punto di diffusa attendibilità di quanto casualmente emerso a seguito delle rivelazioni della sola A. , è, dunque chiara anche la ragione per la quale la Corte ha ritenuto legittimamente ultroneo ripercorre punto per punto le singole censure in fatto - peraltro qui riproposte - ritenendo che le stesse fossero implicitamente disattese dalla diversa opzione scelta. Del resto, anche la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di affermare che il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata sez. IV, 24.10.05, Mirabilia, rv. 233187 . A tale stregua, è sicuramente esaustivo ed assorbente la considerazione secondo la quale l'assunto difensivo per cui dette pazienti, nell'ambito ed a causa delle loro patologie possano aver coltivato fantasie di natura sessuale, anche in relazione a momenti di accadimento che si dovesse tenere nei loro confronti, nell'ambito del trattamento terapeutico, non era e non è conciliabile con il semplice rilievo che nessuna analoga rivelazione di pazienti del reparto di psichiatria risulta aver riguardato altri operatori, non essendo stato l'attuale imputato l'unico infermiere che si era occupato delle persone offese”. Peraltro, anche a volere, in questa sede, soffermare l'attenzione sulle singole critiche mosse dal ricorrente ci si scontra solo con rilievi di fatto afferenti aspetti marginali e non decisivi è il caso delle asserite non complete corrispondenze tra le deposizioni rese dalla p.o. Ad. ovvero con rilievi generici come quando si assume l'esistenza di non meglio precisate divergenze tra i racconti fatti dalla p.o. I. e quelli da lei riportati alle Dott.sse Ma. e Ca. ovvero - a proposito della p.o. C. - - si fanno delle irrilevanti considerazioni circa le pregresse esperienze della donna, il suo stato di tossicodipendenza ovvero si avanzano dubbi sulle condizioni di inferiorità psichica ovvero, infine, quanto alla p.o. P. , si formulano delle vere e proprie ipotesi alternative di lettura della denuncia sporta dalla donna ad es. perché suggestionata dalla C. ovvero perché sofferente di sdoppiamento della personalità ed, in generale si tenta di avallare la tesi delle invidie del carisma che egli possiede. Senza ripercorrere tutte le argomentazioni, infatti, come già bene evidenziato dalla Corte d'appello, questi profili di merito sono stati oggetti di vaglio già in sede di primo grado che ha ripercorso con attenzione tutti i momenti fattuali della vicenda ponendosi espressamente - anche sulla base delle deduzioni difensive - tutti gli interrogativi circa l'attendibilità delle persone offese e pervenendo, alle conclusioni rassegnate, in modo argomentato, logico e giuridicamente ineccepibile che sono, quindi state ribadite motivatamente dalla sentenza impugnata che, pertanto, in questa sede, non merita le critiche che le vengono mosse. È appena il caso, perciò, di sottolineare che non è vero che non si sia tenuto conto delle affermazioni rilasciate dall'imputato e della sua obiettiva sofferenza tanto da piangere durante un esame dinanzi al p.m. bollata, invece, come una sorta di furberia . In realtà, la stessa qualificazione appena citata costituisce dimostrazione di come i giudici di merito non abbiano trascurato alcunché nella difesa dell'imputato ivi incluso il suo pianto ma lo abbiano semplicemente giudicato in modo meno favorevole di come auspicabile nell'ottica difensiva. Ciò però non é censurabile perché si tratta di una possibile e chiave di lettura sostenuta anche da altre considerazioni come, ad esempio, l'assenza di qualsivoglia tentativo di risarcimento delle vittime dato, quest'ultimo, obiettivo di cui l'imputato cerca di dare una spiegazione come si vedrà e commenterà più avanti a proposito del sesto motivo. 3.5. quanto ai quinto motivo . Va, invece, accolto il presente motivo afferente la mancata esclusione dell'aggravante di aver commesso il fatto su persone sottoposte a restrizione personale. Sul punto la motivazione della Corte d'appello è, eccessivamente, scarna e semplificatrice e si basa su un precedente giurisprudenziale nel quale si afferma che la descrizione legislativa dell'aggravante di cui al n. 4 dell'art. 609 ter c.p. include, non solo, la condizione di vittima di un sequestro di persona, ma, una pluralità di situazioni, anche prive di rilevanza penale”. È la stessa sentenza citata sez. n. 8.10.03, Tegn, rv. 227610 ad esemplificare ed a citare il caso dello, stato di detenzione, o quello di ricovero presso una struttura ospedaliera con restrizioni, ovvero l'accidentale restrizione della libertà di locomozione all'interno di un edificio. La giustezza, in generale, del principio non esimeva, però, a quel punto, la Corte dall'approfondire il discorso, in concreto, e, visto che si sta trattando, per l'appunto, di persone ricoverate presso una struttura ospedaliera, sarebbe stato il caso di precisare in che cosa consistevano - se esistenti - le restrizioni della cui necessità faceva menzione la massima da essi citata . Evidente, infatti, che, dal momento che non si sta trattando di persone affette da patologie tali da impedirne la deambulazione autonoma, l'eventuale restrizione avrebbe potuto derivare loro solo da particolari regole proprie del reparto di psichiatria. Si tratta, però, di profilo di fatto il cui accertamento non può che competere ai giudici di merito. Per tale ragionerà sentenza va annullata, in parte qua, con rinvio, ad altra sezione della Corte d'appello di Torino. 3.6. quanto ai sesto motivo . Non può, infatti, accogliersi, neppure il presente sesto motivo ove si tenta, nuovamente, di rimettere in discussione una valutazione di fatto - quale è l'apprezzamento sulle circostanze attenuanti generiche - non evidenziandone profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, ad esempio, ma semplicemente esprimendo dissenso sulla scelta operata dai giudici di merito e proponendo i medesimi aspetti sotto una diversa ottica. Tale è il caso del mancato risarcimento delle vittime o, meglio ancora, dell'assenza di qualsivoglia iniziativa in tal senso. I giudici di merito hanno stigmatizzato tale comportamento osservando che, diversamente, esso avrebbe potuto essere interpretato come indice di consapevolezza del male causato. Il dato di fatto è obiettivo ma viene spiegato dal ricorrente con il richiamo a difficoltà familiari ed economiche conseguenti alla - inevitabile - perdita del posto di lavoro in ospedale. Le condizioni finanziarie e generali del L.V. vengono definite disastrose e descritte dal ricorrente attraverso le parole del terapeuta Dott. c. cui L.V. si è rivolto per risolvere i propri problemi comportamentali, connessi con le presenti vicende e che lo definisce rammaricato prostrato e frustrato . Si tratta, però, ancora una volta di una prospettazione dei fatti del tutto soggettiva ed anche un po' contraddittoria visto che, ad esempio, sostiene di essere in condizioni finanziarie disastrose e dall'altro, ricorda - attraverso le parole del teste c. - che, grazie all'attività di bagnino che sta svolgendo, vi è stato un beneficio nella economia familiare. A prescindere dalla considerazione, perciò, che il giudizio negativo sulla personalità del ricorrente è stato motivato dalla Corte in modo congruo e non manifestamente illogico - sì da divenire, comunque, incensurabile in questa sede di legittimità - si può qui soggiungere che proprio i miglioramenti appena segnalati avrebbero, ad esempio, giustificato quantomeno una offerta simbolica espressiva di una buona volontà che obiettivamente è mancata avallando in tal modo la critica dei giudici di merito. 3.7. [quanto ai terzo motivo . È infine, sostanzialmente inammissibile l'ultimo motivo di ricorso, sia per la sua genericità ed assertività, sia perché, una volta di più, deve ricordarsi che il computo della pena è esplicazione di un potere discrezionale del quale il giudicante deve dare conto al fine di consentire a questa S.C., di esercitare la funzione di controllo che le è propria. Una volta che, però, si rinvenga una motivazione aderente ai dati processuali e che giunga a conclusioni che non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, esse non sono censurabili in cassazione. Del resto, tanto è vero che i giudici hanno fatto buon uso dei criteri indicati nell'art. 133 c.p. che, proprio tenuto conto di quanto emerso dalla memoria difensiva depositata da ultimo” ove, per l'appunto si descriveva lo sforzo di recupero che l'imputato sta svolgendo di recente essi hanno ritenuto opportuno mitigare la pena inflitta dal giudice di primo grado, non senza sottolineare che anche quest'ultimo aveva preso le mosse da una pena base non lontana dal minimo edittale. Sulla scorta di tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto tranne che per la doglianza relativa all'aggravante di cui all'art. 609 ter, 1 comma n. 4, c.p., per la quale ultima, si impone un nuovo vaglio dei giudici di merito, alla luce dei rilievi formulati a riguardo del quinto motivo. P.Q.M. Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Torino limitatamente all'aggravante di cui all'art. 609 ter, 1 comma n. 4, c.p Rigetta nel resto il ricorso.