Contrasti tra colleghi: quando alla minaccia segue l’offesa

In caso di offesa rivolta da un funzionario comunale ad un altro nel corso di una riunione, con attribuzione di un fatto determinato avvenuto il giorno prima nell’esercizio delle funzioni amministrative, la prova liberatoria sulla verità del fatto è ammessa.

Il caso. Un funzionario comunale, nel corso di una riunione dei componenti dell’ufficio tecnico dell’ente locale, offendeva l’onore e il decoro di un collega, informando i presenti che il giorno prima era stato inseguito nel parcheggio e minacciato da quest’ultimo. Nel processo che ne derivava, il Giudice di Pace di Palermo assolveva l’imputato per l’insussistenza del fatto, condannando l’offeso, costituitosi parte civile, alle spese del giudizio. Medesimo esito aveva il giudizio d’appello. Questi proponeva perciò ricorso per cassazione agli effetti civili. E’ammessa la prova liberatoria? L’offeso-parte civile non si rassegnava a veder applicato la causa di non punibilità ex art. 596, comma 3, n. 1, c.p., sostenendo di non aver rivestito, al momento di porre in essere la condotta che aveva dato luogo alla segnalazione del collega, la qualifica di pubblico ufficiale perché i fatti si erano svolti al di fuori del contesto lavorativo. Tuttavia, la Cassazione non accoglie il ricorso sul punto la condotta minacciosa del ricorrente scaturiva in verità da un contrasto sorto in ambito lavorativo, come stabilito in secondo grado in concreto, sulle funzioni pubbliche svolte in seno al Comune . La provocazione. Il ricorrente contesta anche l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p., ritenuta incompatibile con quella affrontata nel paragrafo precedente. La Suprema Corte giudica diversamente le due cause di non punibilità sono compatibili, è legittimo anche il richiamo della seconda in subordine alla prima, la provocazione può perciò scriminare la condotta di reato. Il dato temporale della provocazione, nell’insegnamento della Corte di legittimità, deve essere interpretato in modo elastico, non essendo necessaria una reazione istantanea al fatto provocatorio, purché essa si verifichi finché dura lo stato d’ira. Visto che, nel caso concreto, lo iato temporale tra provocazione e reazione è dato dall’impossibilità di convocare nell’immediato una riunione la minaccia era stata proferita nel parcheggio comunale , sussiste la provocazione e il ricorso viene respinto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 aprile – 12 giugno 2012, n. 23097 Presidente Ferrua – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. A.A. fu imputato del reato di cui all'articolo 595 cod. pen. per avere indetto una riunione dei componenti dell'ufficio tecnico del Comune di OMISSIS nel corso della quale offendeva l'onore ed il decoro di S.S.U. , informando tutti i presenti che il giorno prima era stato vittima di un fatto grave e cioè che era stato inseguito fino al parcheggio e minacciato da quest'ultimo. 2. Il giudice di pace di Palermo ha assolto l'imputato per l'insussistenza del fatto, condannando S.S.U. al pagamento delle spese sostenute dall'imputato ed alle spese del giudizio. 3. Propone ricorso per cassazione agli effetti civili S.S.U. , evidenziando i seguenti due motivi 4. - violazione degli articoli 357 e 596, comma terzo, numero uno, cod. pen., nonché vizio di motivazione secondo il ricorrente i giudici di appello avrebbero ritenuto sussistente, in modo del tutto illogico ed acritico, la causa di non punibilità di cui all'articolo 596 cod. pen. Il S. , infatti, non rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale e la sua condotta - che aveva dato origine alla segnalazione dell'A. - si era estrinsecata al di fuori del contesto lavorativo ed al di fuori dei locali del Comune, senza alcuna attinenza al ruolo lavorativo della persona offesa. 5. sostiene, poi, il ricorrente che sia illegittimo il richiamo contestuale ed alternativo anche alla causa di non punibilità di cui all'articolo 599 del codice penale, la quale non può trovare coeva applicazione al caso di specie, attesa la intrinseca differenza giuridica con quella di cui all'articolo 596. 6. Infine, con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione e violazione dell'articolo 599, comma due, del codice penale, per avere ta corte ritenuto sussistente l'esimente della provocazione pur in carenza della necessaria immediatezza della reazione. 7. Ha depositato memoria l'avv. Motisi, per A.A. , ricordando che ambedue i soggetti imputato e parte civile sono pubblici ufficiali e che nell'occasione si discuteva di una questione relativa alle funzioni svolte dal S. , per cui era evidente l'operatività della causa di non punibilità di cui all'articolo 596, comma tre, n. 1, cod. pen. Per tale motivo domanda la reiezione del ricorso della parte civile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e pertanto deve essere rigettato. 2. Con riferimento al primo motivo, l'impostazione difensiva, circa la non configurabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 596 cod. pen. è destituita di fondamento, dal momento che la condotta minacciosa del S.S.U. , oggetto della segnalazione agli altri colleghi da parte dell'A. , scaturiva da una precedente situazione di contrasto collegata alle loro funzioni comunali. Deve comunque rilevarsi che si tratta di una valutazione di merito quella dell'attinenza della discussione alle pubbliche funzioni svolte che si sottrae a censura in questa sede, essendo corredata di adeguata e logica motivazione cfr. pag. 11 . 3. Sotto il diverso aspetto dell'illegittimità del richiamo contestuale ed alternativo anche alla causa di non punibilità di cui all'articolo 599 cod. pen., si osserva che anche questa censura è destituita di fondamento, posto che non solo le due cause di non punibilità sono perfettamente compatibili, ma è comunque legittimo il loro richiamo subordinato, di modo che anche a ritenere insussistente la prima, opera comunque la seconda come scriminante della condotta di reato. 4. Infine, con riguardo al secondo motivo di ricorso, senza addentrarsi nell'esame di questa eccezione, è sufficiente rilevare che il Giudice di appello ha ritenuto sussistente la scriminante di cui all'articolo 596 e che sul punto sono state ritenute del tutto infondate le censure mosse con il ricorso per cassazione, per cui, anche a voler ritenere fondato il secondo motivo di ricorso, la condotta dell'A. sarebbe comunque scriminata ex art. 596 cod. pen., con il risultato che la sentenza impugnata va comunque confermata. Si deve, peraltro, rilevare che in tema di provocazione il dato temporale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria una reazione istantanea Sez. 1, n. 16790 del 08/04/2008, D'Amico , essendo sufficiente che essa abbia luogo finche duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa Sez. F, Sentenza n. 32323 del 31/07/2007, Marusi Guareschi . La fattispecie esaminata dalla Corte aveva ad oggetto il riconoscimento della scriminante nel caso di ingiuria realizzata a mezzo di una missiva, spedita quattro giorni dopo la commissione del presunto fatto ingiusto. Nel caso di specie, è fin troppo evidente che una riunione con tutti i dipendenti dell'ufficio tecnico non poteva essere organizzata immediatamente, tanto più che il fatto avvenne all'uscita dal Comune, nel parcheggio delle autovetture. 5. Consegue a quanto esposto che il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.