Marijuana fatta in casa, responsabile il giovane “coltivatore”. Però in galera finisce anche il padre

Scoperta una serra domestica attrezzata per una produzione simil-industriale della droga. Il reato viene attribuito a un uomo che gestisce la struttura, ma non può essere esclusa la consapevolezza del padre. Il quale paga anche i contatti con ambienti criminali dediti al traffico di stupefacenti.

Serra domestica per la coltivazione di marijuana. Sotto accusa finisce un uomo. Ma a risponderne può essere anche l’anziano padre. Soprattutto se può vantare contatti diretti con ambienti delinquenziali dediti al traffico di stupefacenti. Ecco perché anche il ricorso alla custodia cautelare in carcere può essere ritenuto legittimo. In galera. A suscitare l’attenzione delle forze dell’ordine è, inevitabilmente, la serra attrezzata in casa per coltivare marijuana. Responsabile della produzione? Un uomo che vive con i genitori. Ma proprio su questo punto viene posta ulteriore attenzione. Ad essere chiamato in causa, difatti, è anche l’anziano padre a quest’ultimo viene addebitato di avere concorso alla commissione del reato. Ma il nodo da sciogliere è quello relativo alla sanzione da prendere Per il Giudice delle indagini preliminari, la custodia in carcere è eccessiva, ma per il Tribunale – che accoglie la richiesta avanzata dal Pubblico Ministero – si tratta di una misura legittima. E, soprattutto, giustificata dalla valutazione dei fatti, ossia la consapevolezza dell’uomo rispetto alla coltivazione messa su dal figlio, e i suoi contatti con ambienti vicini alla criminalità. Misura confermata. Però proprio questi ultimi due elementi vengono contestati dall’uomo che, attraverso il proprio legale, presenta ricorso in Cassazione, evidenziando, innanzitutto, la assoluta non consapevolezza della coltivazione di marijuana posta in essere dal figlio al primo piano dell’abitazione familiare , anche tenendo presente che l’uomo trascorreva la maggior parte del giorno fuori di casa e richiamando le dichiarazioni rilasciate dal figlio. Allo stesso tempo, viene sottolineato come a carico dell’uomo vi sia una sola denuncia che ha portato a un procedimento penale. Troppo poco, secondo il legale, per attestare collegamenti stabili con ambienti delinquenziali Ma, secondo i giudici della Cassazione, le valutazioni compiute dal Tribunale sono non solo legittime ma anche fondate su fatti precisi. Così, viene evidenziato il peso del possesso, da parte dell’uomo, delle chiavi necessarie per accedere al locale adibito a serra . A rendere più chiara la situazione, poi, le caratteristiche della coltivazione approntata permettono, secondo i giudici, di considerare acclarata la natura industriale del sistema di produzione di sostanza stupefacente, destinata alla cessione a terzi . Alla luce di ciò, è evidente la notevole professionalità espressa nel reato, e strettamente connessa agli agganci” che l’uomo può vantare” con ambienti delinquenziali dediti al traffico di stupefacenti. Di fronte a tale quadro, è assolutamente legittimo, concludono i giudici, il ricorso alla custodia cautelare in carcere anche per l’uomo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 aprile – 6 giugno 2012, n. 21907 Presidente Marzano – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. II Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza in data 8.02.2011, in accoglimento dell’appello presentato dal pubblico ministero, avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Locri in data 15.02.2011, con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nel confronti di L.G., annullava il provvedimento impugnato ed applicava nei confronti del prevenuto la misura cautelare richiesta, sospendendo l’esecuzione della decisione sino al definitivo. 2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione L.G., deducendo la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in relazione all’art. 110 cod. pen. L.G. rileva di non aver avuto consapevolezza della coltivazione di marijuana posta in essere dal figlio L., al primo piano della abitazione familiare, atteso che il medesimo esponente trascorreva la maggior parte del giorno fuori di casa. Osserva che il fatto di avere consegnato ai Carabinieri la chiave del cancello che consentiva l’accesso alla serra non è indice della consapevolezza del prevenuto rispetto all’attività illecita svolta dal figlio e rileva che anche L., in sede garantita, aveva dichiarato di avere consegnato dette chiavi al padre G., su richiesta del genitore, nel corso della perquisizione effettuata dai Carabinieri. L’esponente ritiene che non emerga alcun elemento di partecipazione di L.G. alla coltivazione illecita di cui al capo A e neppure rispetto al furto di energia elettrica, di cui al capo B dell’imputazione provvisoria, secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità nel distinguere la partecipazione nel reato dalla connivenza non punibile. Rileva che le dichiarazioni rese da G. nel corso dell’udienza di convalida non sono state ritenute credibili dal Tribunale, benché coincidenti con quanto riferito dal figlio. Osserva, inoltre, che il Tribunale ha affermato che G. ha stabili collegamenti con ambienti delinquenziali, solo sulla base di una denuncia del 2008, che ha originato un procedimento penale ancora in fase di indagini. E che il riferimento pure operato dal Collegio alla rilevante quantità di sostanza stupefacente ricavabile dalla coltivazione contrasta con le caratteristiche rudimentali della struttura, emergenti dalla stessa informativa dei Carabinieri. Rileva, pertanto, il difetto delle condizioni indicate dall’art. 274, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., in relazione al pericolo di reiterazione criminosa. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile. 3.1. Giova primieramente considerare che in relazione alle censure mosse dal ricorrente in ordine al compiuto apprezzamento della gravità indiziaria va premesso, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti de libertate”, che, secondo giurisprudenza consolidata, il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento cfr. Cass. Sez. IV sentenza n. 2146 del 25/5/95, dep. 16.06.1995, Rv. 201840 e, da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011, dep. 04/01/2012, Rv. 251760 . La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen,.e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne’ la ricostruzione dei fatti, ne’ l’apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito ex multis Cass. Sez. 1, sentenza n. 1769 del 23.3.95, dep. 28.04.1995, Rv. 201177 , sicché, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandata al giudice di merito la valutazione del peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di verificare se il detto decidente abbia dato adeguatamente conta delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie Cass. Sez. 4 sentenza n. 22500 del 3.05.2007, dep. 8.06.2007, Rv. 237012 si veda anche Cass. Sez. U. sentenza n. 11 del 21.04.1995, dep. in data 1.08.1995, Rv. 202001 . 3.2. E’ poi il caso di osservare che l’ordinanza oggi impugnata risulta sorretta da un conferente percorso logico argomentativo, immune da censure rilevabili in sede di legittimità. Il Tribunale, invero, ha annullato l’ordinanza con la quale il G.i.p. aveva respinto la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di L.G., valorizzando il dato di fatto, inequivocamente emergente dalla informativa dei Carabinieri, relativo alla disponibilità da parte di L.G. delle chiavi necessarie per accedere al locale adibito a serra, approntato presso l’abitazione familiare. Il Collegio ha, inoltre, rilevato che le dichiarazioni difensive rese da Giuseppe nella sede garantita risultavano affatto inattendibili e non consentivano di superare i richiamati elementi indiziari emergenti dalla predetta informativa. Con riguardo al reato di cui al capo B , il Collegio ha poi rilevato che dagli atti di indagine risultava che l’impianto delle lampade e delle stufe servente alla coltivazione era collegato artigianalmente ed abusivamente ad un contatore che, all’atto del controllo, risultava spento. Sul versante cautelare, si osserva - infine - che il Tribunale ha del tutto conferentemente rilevato che le accertate modalità di realizzazione della coltivazione evidenziavano la natura industriale del sistema di produzione di sostanza stupefacente, destinata alla cessione a terzi e che dette evenienze denotavano la notevole professionalità nel reato da parte di L.G. Anche in considerazione dei contatti con ambienti delinquenziali dediti al traffico di sostanze stupefacenti, sui quali può contare il prevenuto, il Tribunale ha quindi ritenuto proporzionata alla particolare gravità dei fatti la misura carceraria richiesta dal pubblico ministero. 4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Si dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale del Riesame, perché provveda a quanto stabilito dall’art., 92 disp. att. cod. proc. pen. La Cancelleria viene demandata per gli immediati adempimenti a mezzo fax. P.Q.M. Dichiara in ammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perché provveda a quanto stabilito dall’art. 92 disp. att. del cod. proc. pen. Manda alla, Cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.