Il reato è integrato a prescindere dal conseguimento di un profitto da parte del contribuente

Commette il delitto di dichiarazione infedele, previsto e punito dall’art. 4, d.lgs. n. 74/2000, colui che, essendo tenuto a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, pone in essere una mera infedeltà dichiarativa, violando l’obbligo di una veritiera prospettazione della situazione reddituale e della base imponibile, oltre al dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, a nulla rilevando – ai fini della penale responsabilità del contribuente – l’omessa verifica circa il conseguimento di un profitto da parte dell’autore del reato.

Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 13926/2012, depositata il 12 aprile, rigettando il ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Sussiste il delitto di dichiarazione infedele L’art. 4 del d.lgs. numero 74/2000 delinea un’ipotesi di dichiarazione non fraudolenta. Nel sistema congegnato dal legislatore della riforma del diritto penale tributario, tale fattispecie costituisce una sorta di delitto di ‘chiusura’ rispetto a quelli di dichiarazione fraudolenta, commessi sia per mezzo di utilizzazione di fatture false art. 2 del citato decreto , sia mediante artifici fondati su falsità contenute nelle scritture contabili obbligatorie art. 3 d. lgs. numero 74/2000 . Sebbene la struttura del delitto de quo rispecchi, sostanzialmente, quella delle fattispecie criminose sub artt. 2 e 3, l’elemento discriminante del reato in esame deve essere ravvisato proprio nell’assenza di uno speciale coefficiente di insidiosità. Prova della natura sussidiaria del delitto de quo , rispetto ai più gravi reati di cui agli artt. 2 e 3 del decreto, è la clausola di riserva con cui il legislatore ha inteso aprire l’art. 4. La condotta punibile consiste nell’indicazione, in una delle dichiarazioni annuali relative all’imposta sul valore aggiunto o sui redditi, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, oppure di elementi passivi fittizi. A differenza delle ipotesi di dichiarazione fraudolenta, la dichiarazione infedele è peraltro un reato a ‘forma libera’, atteso che l’indicazione, in una delle dichiarazioni annuali, relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, o di elementi passivi fittizi, al fine di evadere le stesse imposte, non richiede particolari requisiti o vincoli. La punibilità del reato de quo presuppone che l’evasione fiscale perpetrata sia di particolare entità e gravità in altri termini, conformemente alla ratio sottesa all’intero impianto legislativo del d.lgs. numero 74/2000, occorre che essa sia effettivamente lesiva degli interessi dell’Amministrazione finanziaria. Nondimeno, in tanto sussiste un illecito penalmente rilevante ex art. 4, in quanto siano congiuntamente superate due soglie quantitative, recentemente riformate a seguito dell’entrata in vigore dell' articolo 2, comma 36-vicies semel, lett. d ed e , del D.L. 13 agosto 2011, numero 138 . In primo luogo, l’ammontare dell’imposta evasa deve essere superiore ad € 50.000,00 in secondo luogo, l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, deve essere superiore ad € 2.000.000,00. in presenza della mera infedeltà della dichiarazione del contribuente. La sentenza in commento appare particolarmente interessante, nella parte in cui effettua una importante precisazione in merito all’elemento soggettivo del reato di dichiarazione infedele. Come per la maggior parte dei delitti tributari post riforma del 2000, anche per il delitto di dichiarazione infedele occorre infatti il dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Sarà necessario, in altri termini, che l’agente abbia la coscienza e la volontà di presentare all’Erario una dichiarazione non veritiera, con la finalità di sottrarre imponibile alla ‘scure’ fiscale. Orbene, proprio con riguardo a tale ultimo aspetto, la Terza Sezione, nel richiamare l’orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cui alla sentenza numero 27/00, sottolinea la sostanziale ininfluenza del mancato incasso, da parte del contribuente, dei corrispettivi relativi alle fatture mediante le quali è stata perpetrata l’infedele dichiarazione, essendo sufficiente l’indicazione, nella dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, di elementi attivi per un importo inferiore a quello effettivo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1° dicembre 2011 – 12 aprile 2012, n. 13926 Presidente Mannino – Relatore Rosi Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 2 dicembre 2010, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Trapani, ha condannato l'imputato V.A. , per il reato di cui all'art. 4 D.lgs. n. 74 del 2000, riducendo la pena ad anni 1, e mesi 6 di reclusione. Pena interamente condonata, in applicazione del beneficio di cui alla legge n. 241 del 2006, ferma la condanna alle pene accessorie. Fatto commesso in omissis . Secondo il giudice di secondo grado, A V. , pur avendo emesso, in qualità di libero professionista architetto , nell'esercizio 2003, 15 fatture per prestazioni professionali rese nei confronti della AL. VA. CO. s.a.s., società della quale egli era il legale rappresentante, per un importo pari a Euro 6.333.845,04, aveva tuttavia omesso di dichiarare tali importi nelle dichiarazioni ai fini dell'IVA per Tanno 2003, con ciò omettendo di indicare l'IVA dovuta per un ammontare di Euro 1.266.769,01, accertato in omissis . Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, deducendo i seguenti motivi 1. Violazione dell'art. 606 lett. b e c in relazione agli artt. 192 c.p.p. e 4 del d.lgs. 74 del 2000, in quanto non sarebbe stata accertata la sussistenza dell'elemento soggettivo risulterebbe che l'imputato ha emesso le fatture ma non ha incassato i relativi compensi dalle società. 2. Violazione dell'art. 606 lett. b e c in relazione all'art. 6, commi 3 e 4, del D.P.R. 673 del 1972. I giudici di secondo grado avrebbero errato nel non considerare la disciplina secondo la quale, ai fini della sussistenza dell'obbligo di versamento dell'IVA, la prestazione di servizi si intende effettuata al momento del pagamento del corrispettivo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Va premesso che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'I 1/4/2008, Baratti, Rv. 239735 Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061 . Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116 . Il principio deve essere riaffermato anche nel caso di cui si tratta. 2. Ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, è ben vero che la normativa tributaria art. 6, D.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che le prestazioni di servizi sono soggette all'IVA, soltanto se rese verso corrispettivo, e si considerano effettuate all'atto del relativo pagamento per cui prima di tale momento non sussiste alcun obbligo ma solo la facoltà di emettere fattura o di pagare l'Imposta e quindi in assenza di fattura la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi non può prescindere dall'accertamento relativo al pagamento del corrispettivo cfr. Cass. Civ., Sez. 5, n. 13209 del 9/6/2009, Gamba contro Min. Economia Finanze, Rv. 608594 , ma se è stata emessa fattura, sorge l'obbligo della dichiarazione a fini IVA. 3. Per quanto attiene al delitto di dichiarazione infedele, esso è commesso quando, al fine di evadere nel caso di specie l’IVA, in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte siano stati indicati elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, sempre che l'imposta evasa superi i limiti e la percentuale prevista nell'art. 4 del d.lgs n. 74 del 2000. Infatti la giurisprudenza ha chiarito che per la configurazione del delitto è sufficiente che la dichiarazione presentata ai fini IVA contenga elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi , e che ricorrano le altre condizioni previste in relazione all'ammontare dell'imposta evasa e degli elementi attivi sottratti alla imposizione, fatto che assicura che la condotta Infedele accertata sia qualitativamente tale da arrecare all'amministrazione finanziaria un nocumento sostanziale e non solo formale, seppure non è richiesto necessariamente per il perfezionamento del reato l'evento di danno. In virtù della clausola di riserva iniziale, l'applicazione della disposizione è esclusa quando la condotta sia caratterizzata da elementi fraudolenti, a favore delle fattispecie di cui ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici artt. 2 e 3 . Si tratta di un delitto di danno per la cui configurazione, a differenza dalle altre ipotesi di reato previste dal D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è necessaria una dichiarazione fraudolenta. L'elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, e consiste nella finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. 4. Nel caso di specie, la Corte di appello ha sinteticamente richiamato il fatto addebitato all'imputato come ricostruito dal giudice di primo grado, ritenendo condivisibile la qualificazione giuridica dell'episodio contestato quale dichiarazione infedele ai sensi dell'art. 4 d.lgs. 74 del 2000, tenuto conto anche delle risultanze testimoniali, e la valutazione circa la sussistenza, tanto dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato contestato. In particolare, è i giudici di merito hanno dato atto che le fatture erano state emesse dal V. ed annotate dalla società AL.VA.CO. come costi, con conseguente detrazione dell’IVA, mentre le stesse fatture non erano state annotate dall’imputato nel registro relativo agli onorari. Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, correttamente i Giudici di merito hanno ravvisato la coscienza e la volontà della dichiarazione infedele e la sussistenza del dolo specifico consistente nel fine di evadere le imposte sul valore aggiunto è stato acclarato, infatti, che il V. non aveva versato l’IVA dovuta in relazione alle predette fatture, ma anzi, attraverso la mancata annotazione delle fatture stesse, aveva consentito alla società di detrarre l’importo dell’IVA relativa alle prestazioni che l’imputato aveva reso nei confronti della stessa società. Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, infatti, non è necessaria all’integrazione della fattispecie la verificata del conseguimento di un profitto, essendo sufficiente l’infedeltà dichiarativa, ossia la violazione dell’obbligo di una prospettazione veritiera della situazione reddituale e delle basi imponibile e del c.d. dolo di evasione” cfr. SSUU, n. 27 del 25/10/2000, dep. 7/11/2000, Di Mauro, Rv. 217032 . Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.