La triste sorte del danno esistenziale per l’ingiustamente recluso

La Cassazione ammette un risarcimento superiore al dato massimo consentito, ma esclude che possa essere risarcito il danno esistenziale, anche in caso di imputazione per reato grave.

Il caso. Più ricorrenti contestano le sentenze di merito che avevano riconosciuto, iure hereditatis , una insoddisfacente indennità per il periodo di ingiusta detenzione subita dal loro poi deceduto genitore, per presunti gravi fatti di violenza sessuale. I ricorrenti lamentavano l’incongruità della somma disposta per la mancata valutazione di alcuni elementi di danno occorsi alla persona deceduta e di seguito per l’ingiustificata esclusione di alcune voci di danno – in particolare, di tipo esistenziale - da riconoscere al fu indagato. La Cassazione, Quarta sezione Penale, n. 6879 depositata il 21 febbraio 2012, rigetta i predetti ricorsi e precisa La stessa giurisprudenza ha chiarito che i dati aritmetici possono subire aggiustamenti che tengano conto di particolari aspetti oggettivi e soggettivi del caso concreto. La riparazione per l’ingiusta detenzione ha natura indennitaria in base ai principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale. La somma liquidata, anche superiore al massimo pro die non assume carattere arbitrario e tantomeno simbolico. Deve escludersi che tra le conseguenze ulteriori indennizzabili possa essere ricompresa una voce a titolo di danno esistenziale, perché questa tipologia di danno non è diversa ed autonoma da quella conseguente alla stessa privazione della libertà personale di per sé idonea a sconvolgere per un periodo consistente le abitudini di vita della persona . C’è una soglia massima di danno indennizzabile nel procedimento per la riparazione. I ricorrenti intendevano ampliare il quantum risarcibile, invocando ulteriori voci di danno ed estendendo i margini, esistenziali e familiari, entro cui compiere le suddette valutazioni risarcitorie. In specie, il riconoscimento della mutazione di alcune condizioni familiari nel corso della custodia cautelare patita dal genitore – il sopravvenire di uno stato di adottabilità di un erede del fu indagato - e le ricadute di sanità fisica e psicologica di questi avrebbero reso conto a quelle esigenze di completezza che parrebbero attribuite sic et naturaliter ad un organo giurisidizionale che intenda riparare ai propri errori e che, tuttavia, erano state ignorate dalle sentenze di merito. Per la verità la Cassazione, nel definire il giudizio, si è mossa fra le aridità di un testo normativo – l’art. 315, secondo comma, c.p.p. – indicante un dato numerico privo di qualsivoglia qualificazione risarcitoria di danno e un’esigenza di giustizia funzionale a riconoscere la dovuta misurazione monetaria alla privazione della libertà personale di un individuo poi rivelatosi scevro da colpe. Prima di ulteriormente dedurre, va chiarito un dato numerico indirettamente ricavabile dal testo normativo per consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, dividendo il dato numerico ex secondo comma cit. per il termine massimo ex lege della custodia cautelare, si ottiene un dato che, moltiplicato per i giorni di detenzione subita, costituirebbe il limite monetario pro die entro cui compiere ogni quantificazione. La Cassazione si spinge oltre quel limite. Eppure, il limite ex secondo comma cit. non costituisce, per gli Ermellini, la soglia inaccessibile ed invalicabile entro cui compiere siffatta misurazione, siccome quel disposto va sistematicamente integrato con il richiamo espresso alla normativa sulla riparazione dell’errore giudiziario – art. 643 e ss. cod. cit. -, la quale fornisce confortanti elementi prognostici del danno subito, quando invoca altresì la considerazione delle più ampie condizioni familiari e personali. Quando queste, inoltre, ragguagliano delle realtà più estese e commensurabili – un numero elevato di eredi oppure uno stato pregresso di incensuratezza, ad esempio – quella soglia presuntiva del danno massimo subito soccombe all’inerzia di voci di danno globalmente più articolate che abbisognano di un reale riconoscimento giudiziale. La Cassazione ammette una più esaustiva valutazione monetaria del danno da ingiusta detenzione, ritiene superabile la soglia rubricata nell’art. 315 cit., quando i criteri quantificatori indicati nell’art. 644, secondo comma, cod. cit., consentono di approdare ad esiti monetari più completi. La Cassazione inoltre elude e smentisce, per gli effetti di una richiesta ai sensi dell’art. 315 cp.p., la rigidità dell’art. 644 cit. che limita la misurazione di quanto spettante agli eredi, inderogabilmente, all’invalicabile valore che sarebbe spettato al fu indagato prosciolto e che pare deporre in senso limitativo al riconoscimento di un quid pluris quantificatorio. La Cassazione, in tal modo, supera l’irrisolto circolo vizioso – già messo in risalto da alcuni critici - costituito dal suddetto collegamento infrasistematico. Usufruisce della chiave dell’ applicabilità adeguata” ex art. 315, comma 3, cod. cit. per giungere alla seguente conclusione dell’art. 644 cit. ammette i criteri di quantificazione, ma non l’insuperabile valore massimo previsto, inserisce in tal modo degli elementi di flessibilità nel corpo di uno scarno tessuto normativo. I criteri qualificatori per la Cassazione la triste sorte del danno esistenziale. Tanto premesso, ben fa la Cassazione a compiere una ricognizione aerea dei sostegni criteriali che fondano la misurazione indennitaria del danno subito, comprende nel giudizio la durata della detenzione, lo stato personale e processuale pregresso dell’indagato, la gravità dell’imputazione ascrittagli, il danno all’immagine ed alla vita di relazione subita, e di seguito conferma la logicità degli apparati motivazionali licenziati dai giudici di merito. Chiarisce tuttavia, aderendo ad un fermo orientamento giurisprudenziale, che l’istituto di cui è commento è rivolto a reintegrare il richiedente della ingiusta detenzione subita ed esaurisce nella angusta ed afflitta soggettività ferita lo specchio della valutazione indennitaria. Esclude che nella contemperazione debbano rientrare i pregiudizi a quelle forme di relazioni sociali – c.d. danno esistenziale – invocate dai ricorrenti e che eppur nella naturalità dei casi di ingiusta detenzione seguono l’interruzione delle convivenze sociali e di sovente l’inevitabile recato pregiudizio alla reputazione dell’ingiustamente detenuto, specie se per contestazioni di tale gravità. La Cassazione, invece, stretta – sistemicamente - dalla morsa riduzionista della nota dicotomia danno patrimoniale/non patrimoniale di cui alle sentenze gemelle della Cassazione civile del 2008 e dai derivati timori di duplicazione del danno risarcibile, nonché – sistematicamente – dall’istituto più onnicomprensivo della riparazione per errore giudiziario ex art. 644 c.p.p., giunge a frenare il risarcibile nel caso della più limitata e meno grave, di regola, riparazione per ingiusta detenzione. Precisa che la natura indennitaria di tale valutazione monetaria è vestito troppo corto per consentire fughe risarcitorie verso ogni altra voce di danno esistenziale. La Cassazione con la sentenza in commento, in conclusione, specifica i criteri della valutazione quantificatoria dell’indennizzabile, esclude limiti massimi da poter applicare, ma stronca sul nascere ogni pericolo di duplicazione risarcitoria.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 novembre 2011 – 21 febbraio 2012, n. 6879 Presidente Brusco – Relatore Romis Ritenuto in fatto La Corte d'Appello di Palermo accoglieva l'istanza di equa riparazione proposta da B.D. , S.G. , S.S. e Sa.Gi. quali eredi di S.T. , ristretto in carcere in relazione all'accusa del delitto di violenza sessuale in danno della figlia Sa. ed assolto poi con formula ampia con sentenza divenuta irrevocabile il 7 ottobre 2008, e quindi deceduto il 15 maggio 2009. La Corte territoriale, in relazione al periodo della detenzione sofferta in carcere dal S. per la durata di 275 giorni, liquidava la somma di Euro 69.000,00 di cui agli istanti spettava la quota di Euro 46.000,00 ai sensi dell'art. 581 cod. civ Avverso detto provvedimento ricorrono per Cassazione i suindicati eredi del S.T. deducendo vizio motivazionale in ordine all'entità della somma liquidata, da ritenersi a loro avviso esigua sotto il profilo di un asserito inadeguato riconoscimento delle sofferenze derivate dal lungo periodo di privazione della libertà personale. Osservano in particolare i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe errato nel non valutare, ai fini della determinazione del quantum da liquidare, la dichiarazione di adottabilità di S.P. pronunciata dall'Autorità Giudiziaria, da ritenersi, a loro avviso, diretta conseguenza della vicenda processuale penale di cui era stato vittima S.T. ed avrebbe altresì errato, la Corte stessa, nel non considerare l'aggravamento delle condizioni di salute del S. a causa della detenzione, e nel prendere in considerazione solo le conseguenze riconducibili all'ingiusta detenzione e non anche quelle riferibili all'errore giudiziario - pure invocato con l'istanza di riparazione - che avrebbero legittimato il riconoscimento del danno esistenziale. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del gravame. Ha depositato memoria l'Avvocatura Generale dello Stato per conto del Ministero dell'Economia e delle Finanze, contrastando il proposto ricorso. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate. In materia di equa riparazione per ingiusta detenzione, questa Corte ha elaborato alcuni parametri per conferire fondamento razionale ed equilibrato alla determinazione equitativa. Tali parametri riguardano, in particolare, la durata della privazione della libertà, la cifra massima fissata dal legislatore con l'art. 315, comma secondo, c.p.p., e il limite massimo di durata complessiva della custodia cautelare, indipendentemente come precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza Caridi del 9 maggio 2001 dal titolo del reato in concreto contestato. La stessa giurisprudenza ha chiarito - in conformità al principio enunciato in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza N. 1 del 31 maggio 1995, proc. Castellani RV. 201035 - che i dati aritmetici, in tal modo ottenuti, possono subire aggiustamenti che tengano conto di particolari aspetti soggettivi ed oggettivi del caso concreto, in ordine ai quali, peraltro, il giudice di merito è ovviamente tenuto a fornire adeguata e congrua motivazione, anche circa le regole di esperienza che ne hanno suggerito l'adozione. Nella concreta fattispecie, per quel che riguarda la valutazione degli effetti pregiudizievoli prospettati dagli interessati ai fini della quantificazione della riparazione, il giudice del merito ha seguito un percorso argomentativo che non presenta alcuna connotazione di illogicità. Ed invero la Corte territoriale, dopo aver ricordato i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità circa i criteri per la determinazione dell'importo quale indennizzo per l'ingiusta detenzione, ha elencato i pregiudizi derivati al S. dalla detenzione ingiustamente sofferta, e da ritenersi meritevoli di riconoscimento ai fini della quantificazione della somma da liquidare, escludendo solo il prospettato aggravamento delle condizioni di salute in conseguenza della detenzione - in mancanza di qualsiasi idonea prova al riguardo - nonché la sofferenza derivante dalla dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio S.P. , perché da considerarsi, tra l'altro, quale conseguenza non della detenzione bensì dell'addebito formulato nel procedimento penale avente ad oggetto la violenza sessuale continuata in danno della figlia. La Corte distrettuale, dunque, ha specificamente evidenziato le circostanze ritenute rilevanti ai fini della determinazione del quantum , così precisandole 1 la durata e le modalità della detenzione protrattasi ininterrottamente in carcere per 275 giorni 2 lo stato di incensuratezza del S. , dalla Corte d'Appello ritenuto tale da provocare un'afflizione maggiore di quella di chi, per i propri precedenti, sia in qualche modo assuefatto a trovarsi in analoghe situazioni 3 la natura e la notevole gravità dell'imputazione ascritta al S. 4 il sicuro danno all'immagine ed alla vita di relazione, sia pure limitatamente all'ambito della cerchia dei conoscenti del S.T. , non essendo stata fornita prova che la notizia avesse avuto una più ampia diffusione. Orbene, dopo aver accennato a siffatte sofferenze, di varia natura, patite dal S. in conseguenza della carcerazione subita, la Corte d'Appello ha liquidato complessivamente un importo circa 250,00 Euro per ogni giorno di detenzione in carcere superiore a quello massimo derivante dal mero calcolo aritmetico 235,82 . Come affermato, e più volte ribadito, da questa Corte, la riparazione per l'ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale. Mette conto sottolineare inoltre che il legislatore, se avesse voluto intendere la riparazione dell'ingiusta detenzione come risarcimento dei danni, avrebbe dovuto richiedere, per coerenza, l'onere per il danneggiato di fornire la dimostrazione dell'esistenza dell'elemento soggettivo, fondante la responsabilità per colpa o per dolo, nelle persone che hanno agito e dell'entità dei danni subiti ma ciò si sarebbe posto in contraddizione con l'esigenza fondata non solo su una precisa disposizione della nostra Costituzione - art. 24 Cost. comma 4 - ma anche sull'art. 5 comma 5 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e sull'art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici di garantire un adeguato ristoro a chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale senza costringerlo a complicate controversie sull'esistenza dell'elemento soggettivo e sulla determinazione dei danni. La natura di indennizzo della somma liquidata a titolo di riparazione conduce a rilevanti conseguenze anche nel giudizio di legittimità perché i criteri, necessariamente equitativi, utilizzati dal giudice di merito, non possono essere oggetto di sindacato in questa sede se non entro i ristretti limiti che una valutazione di natura equitativa comportano, e certamente non quando, con il ricorso, si intende in realtà non dedurre un vizio di violazione di legge o un vizio di motivazione del provvedimento impugnato bensì denunciare l'insufficienza della somma liquidata a favore dell'istante. Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione - quale tipico giudizio di merito - è sottratto al giudice di legittimità che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento, e non certo sindacare la sufficienza, o insufficienza, della somma liquidata a titolo di riparazione a meno che, discostandosi in modo assai sensibile dai criteri usualmente seguiti che fanno riferimento al tetto massimo liquidabile correlato al termine massimo della custodia cautelare, il giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta. Orbene, nel caso in esame, avuto riguardo al percorso seguito dalla Corte distrettuale - quale sopra ricordato - non è ravvisatole alcuno di questi casi il giudice ha motivato sull'applicazione dei criteri di liquidazione, e la somma liquidata, peraltro anche superiore al parametro massimo pro die , non assume carattere arbitrario e tanto meno simbolico. La Corte di merito, invero, ha preso in considerazione le ulteriori conseguenze personali e familiari ed ha liquidato per esse una somma che ha comportato il raggiungimento di un importo complessivo superiore a quello massimo pro die derivante dal mero calcolo aritmetico di tal che, come detto, la valutazione del giudice di merito si presenta immune da censure perché adeguatamente motivata dovendosi comunque ribadire che, anche per le ulteriori conseguenze riparabili, l'indennizzo è svincolato da criteri risarcitori. Per quel che riguarda il riferimento dei ricorrenti alla riparazione da errore giudiziario, è solo il caso di precisare che presupposto per la riparazione da errore giudiziario - in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto corretto applicare criteri di liquidazione di tipo risarcitorio - è che l'interessato sia stato prosciolto in sede di revisione del processo situazione questa insussistente nel caso in esame. Quanto infine all'invocato danno esistenziale, è stato condivisibilmente affermato, e più volte ribadito, nella giurisprudenza di questa Corte, che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, deve escludersi che tra le conseguenze ulteriori indennizzabili possa essere ricompresa una voce a titolo di danno esistenziale, perché il pregiudizio che con questa tipologia di danno non patrimoniale viene evidenziato non è diverso ed autonomo da quello conseguente alla stessa privazione della libertà personale, di per sé idonea, da sola, a sconvolgere per un periodo consistente le abitudini di vita della persona Sez. 4, Sentenza n. 39815 del 11/07/2007 Cc. - dep. 29/10/2007 - Rv. 237837 . Al rigetto segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese tra le parti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Compensa le spese tra le parti.