Condotta dolosa o gravemente colposa dell’interessato: condizione ostativa anche nel caso di ingiustizia formale?

Detenzione ingiusta sia sul piano sostanziale che sul piano formale. La rinvenuta colpa grave del ricorrente non basta. Il giudice del rinvio dovrà valutare quali elementi avesse a disposizione il G.I.P. e di quali elementi disponesse il Tribunale del riesame nell’annullare l’ordinanza cautelare.

Il caso. L’indagato, gravemente indiziato di reati di cui agli artt. 74, 73 80 d.p.r. 309/1990, 648 c.p. e 10, 12, e 14 L. 474/1974 veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal 1 al 14 marzo 2001 giorno in cui il Tribunale del Riesame annullava il provvedimento custodiale. Successivamente, veniva assolto dal Tribunale di Palmi per non avere commesso il fatto. Veniva, pertanto, adita la Corte di appello di Reggio Calabria quale giudice della riparazione che, tuttavia, rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione rinvenendo nella vicenda elementi di colpa grave a carico del ricorrente consistenti, più in particolare, in una telefonata intercorsa fra lo stesso ricorrente ed altro coindagato relativa all’acquisto di armi. Avverso l’ordinanza ricorreva per cassazione la difesa deducendo l’inosservanza delle norme giuridiche in relazione alla sentenza delle S.U. della Suprema Corte n. 32383/2010. L’ingiusta detenzione argomento sempre molto dibattuto. Con la pronuncia n. 4738 del 2012, depositata il 07 febbraio, la Quarta sezione Penale della Suprema Corte interviene sul tema della ingiusta detenzione, istituto contemplato dagli artt. 314 c.p.p. e ss., oggetto di diverse letture della Corte Costituzionale, e, di recente, interessato dall’arresto delle Sezioni Unite. La Quarta Sezione si richiama ed applica i principi di nomofilachia enucleati proprio dalle Sezioni Unite non senza prima avere apprezzato la peculiarità del caso concreto. Nel dettaglio, osserva il Collegio che la detenzione del ricorrente era risultata ingiusta sia sul piano sostanziale che sul piano formale. Detenzione ingiusta dal punto di vista formale e sostanziale. Invero, dal punto di vista formale art. 314, comma 2, c.p.p. , la detenzione del ricorrente era terminata con l’annullamento dell’ordinanza cautelare da parte del Tribunale del Riesame e, dopo 4 anni, la detenzione era risultata anche sostanzialmente ingiusta art. 314, comma 1, c.p.p. , a seguito della assoluzione riportata in sede di cognizione. Ciò posto, osserva e rammenta il Collegio che con la pronuncia n. 32383/2010 le Sezioni Unite - intervenute a chiarire se la condizione ostativa della condotta dolosa o gravemente colposa dell’interessato possa trovare applicazione anche nel caso di ingiustizia formale - hanno, a tal fine, offerto una ricostruzione unitaria dell’istituto, e così concludendo per l’applicazione generale di tale condizione. Nel dettaglio, il Collegio, richiamando i passaggi ritenuti salienti ai fini del decidere della pronuncia delle Sezioni Unite, evidenzia che la soluzione estensiva avallata riposa sul fondamento solidaristico dell’istituto – come, del resto ribadito, in diverse occasioni anche dalla Corte Costituzionale – collegato ad una detenzione che durante il procedimento si rivela ingiusta perché l’imputato è stato prosciolto con formula piena art. 314, comma 1, c.p.p. , o perché in sede di riesame o di merito, è stato accertato che non sussistevano le condizioni per adottare o mantenere lo stato di detenzione. Le diverse ragioni dell’ingiustizia In buona sostanza, sebbene le due ipotesi di diritto alla riparazione divergono per le ragioni che rendono ingiusta la detenzione, comune ed unitario ne è il fondamento e la disciplina. Tale soluzione trae conforto, ad avviso della Suprema Corte, anche da un criterio di tipo testuale, atteso che il secondo comma dell’art. 314 c.p.p. contiene l’espressione lo stesso diritto spetta in tal modo richiamando di quanto enunciato al comma primo, non solo la condizione positiva del riconoscimento dell’indennizzo ma anche quella negativa dell’assenza di dolo o colpa grave. ed il limite del pregiudizio causato artt. 1227 e 2056 c.c. . In entrambi i casi, dunque sia per l’ipotesi contemplata al primo che al secondo comma dell’art. 314 c.p.p., il principio solidaristico ad essi sotteso risulta contemperato dal dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati i quali non possono invocare benefici finalizzati a ristorare pregiudizi da loro stessi volontariamente o colposamente causati, secondo quanto più generalmente disposto agli artt. 1227 e 2056 c.c Chiarito quanto, e richiamato anche il principio massimato dalle Sezioni Unite, osserva il Collegio che, nella fattispecie, considerato che il titolo custodiale è venuto meno per effetto dell’annullamento del Tribunale del Riesame, l’analisi che il giudice di rinvio dovrà compiere è se durante l’intero procedimento complessivamente considerato siano stati compiuti atti o siano emerse circostanze nuove che siano risultati rilevanti ai fini di tale giudizio. La rilevanza dell’errore della struttura giudiziaria . Dunque, rileva la Quarta Sezione che, impregiudicata la correttezza della valutazione della colpa grave effettuata dalla Corte di appello di Reggio Calabria, circostanza che, peraltro, il ricorrente non ha contestato, la Corte territoriale dovrà, in sostanza, valutare quali elementi avesse a disposizione il G.I.P. e di quali elementi disponesse il Tribunale del riesame nell’annullare l’ordinanza cautelare. Siffatto accertamento è reso, infatti, necessario proprio sulla scorta di quanto affermato dalle Sezioni Unite in relazione ala rilevanza della condotta ostativa che si misura infatti non sull'influenzabilità della persona del singolo giudice, bensì sull'idoneità a indurre in errore la struttura giudiziaria preposta alla trattazione del caso, complessivamente e oggettivamente intesa . Alla luce di tali valutazioni, la S.C. annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame della materia in forza degli enunciati principi e per regolamentare le spese fra le parti.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 dicembre 2011 – 7 febbraio 2012, n. 4728 Presidente Marzano – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. La corte di appello di Reggio Calabria, con ordinanza in data 18.11.2010, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da C.G. in relazione alla custodia cautelare in carcere subita dall'1 al 14 marzo 2001 perché gravemente indiziato dei delitti di cui gli articoli 74, 73 ed 80 dPR 309/90, articolo 648 cod. pen., articolo 10, 12 e 14 L. 474 del 74, da cui era stato poi assolto per non aver commésso il fatto, con sentenza del tribunale di Palmi del 12.4.2005. Risulta altresì dalla predetta ordinanza che il C. era stato rimesso in libertà il 14.3.2001, allorché il Tribunale per il riesame annullava il provvedimento custodiale. La corte di Reggio Calabria, giudice della riparazione, riteneva che esistessero elementi di colpa grave a carico del C. , consistenti in particolare in una telefonata intercorsa il 21.4.200 tra il medesimo e Ca.Gi. avente ad oggetto una trattativa per l'acquisto di armi, in cui si discuteva del tipo di arma da acquistare, del prezzo e delle modalità di consegna. 2. Nei confronti di tale ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore del C. . Deduce inosservanza di norme giuridiche con riferimento alla sentenza delle sezioni unite di questa corte del 27.5.2010, n. 32383. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, nel senso appresso specificato. Emerge da quanto sopra detto che la detenzione del C. è cessata allorché il 14 marzo 2001 l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti è stata annullata dal Tribunale del riesame. Solo successivamente il Tribunale ha assolto il C. da tutti i reati a lui ascritti. La detenzione dell'attuale ricorrente è dunque risultata ingiusta sia dal punto di vista formale articolo 314, co.2, cod.proc.pen. , sia dal punto di vista sostanziale articolo 314, co.1, cod.proc.pen. , la prima condizione essendosi verificata in un momento precedente. Occorre pertanto valutare la posizione del medesimo innanzi tutto sotto il primo profilo, quello della cd. ingiustizia formale articolo 314, co.2 , passando ad esaminare il secondo solo nel caso ih cui il giudizio svolto con riferimento al detto primo profilo abbia avuto esito sfavorevole all'indagato. Le sezioni unite di questa corte, con la recente sentenza del 27.5.2010, n. 32383, nel risolvere il contrasto sorto relativamente alla questione attinente alla operatività della condizione ostativa alla concessione della riparazione consistente nella condotto dolosa o gravemente colposa dell'interessato anche ai casi di ingiustizia formale, articolo 314, co.2 , hanno ricostruito unitariamente l'istituto, ritenendo 'la predetta condizione di generale applicazione e fornendo indicazioni sull’indagine che deve essere compiuta per accertare dolo o colpa grave. Richiamando per intero la pregevole e complessa motivazione di tale decisione per la compiuta comprensione della questione, giova in questa sede ricordare che le Sezioni Unite hanno considerato evidente l'avvicinamento fra le ipotesi di cui all'articolo 314 cod. proc. pen., commi 1 e 2 in primo luogo per lo stesso dato testuale il secondo comma esordisce con le parole lo stesso diritto spetta enunciato che richiama sia la condizione positiva del riconoscimento dell'indennizzo, che quella negativa dell'assenza di dolo o colpa grave ma altrettanto significativa è stata la costante evoluzione ampliativa dell'istituto da parte sia della Corte Costituzionale che di questa Corte di Cassazione, linea che ha portato a riconoscere il comune fondamento solidaristico dell'istituto, collegato ad una detenzione che nel corso del procedimento si rivela ingiusta o per essere stato l'imputato prosciolto con formula ampia articolo 314 co.1 o per essere stato riconosciuto in sede di riesame o di merito che non sussistevano le condizioni ex articolo 273 e 280 legittimanti l'adozione o il mantenimento della detenzione articolo 314 co.2 . È stato così affermato che L'elemento della accertata ingiustizia della custodia patita, che caratterizza entrambe le ipotesi del diritto alla riparazione diverse solo per le ragioni che integrano l'ingiustizia stessa ne disvela il comune fondamento e ne impone una comune disciplina quanto alle condizioni che ne legittimano il riconoscimento. Tale ricostruzione, conforme alla logica del principio solidaristico, implica l'oggettiva inerenza al diritto in questione, in ogni sua estrinsecazione, del limite della non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia atteso che il principio solidaristico sotteso all'istituto trova il suo naturale contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati . In conclusione, per quanto qui interessa, le Sezioni unite, nella sentenza ora richiamata, hanno evidenziato che risulta legittima e coerente una disciplina normativa che preveda l'esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente vittima e che risulta perciò infondata la tesi che ritiene normativamente inapplicabile all'ipotesi di cui all'articolo 314 cod. proc. pen., comma 2 la condizione ostativa della causa sinergica discendente dal comportamento doloso o colposo del richiedente, ribadendo contemporaneamente il principio della autonomia dei due giudizi. È stato affermato il seguente principio di diritto La circostanza dell'avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiate per dolo o colpa grave opera quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione anche nella ipotesi, prevista dall'articolo 314 c.p.p., comma 2, di riparazione per sottoposizione a custodia cautelare in assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli articolo 273 e 280 c.p.p. tale operatività non può peraltro concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale” che governa la condizione stessa, nei casi in cui l'accertamento dell1 insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiate avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, e in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione Cass. Sez. Un., Sentenza n 32383, cit. . Di tale pronuncia occorre tenere conto nel caso di specie, dal momento che,come si è detto, prima ancora della assoluzione, il titolo custodiale è venuto meno per decisione del Tribunale del riesame. Occorrerà in particolare accertare, ferma restando la correttezza della valutazione di colpa grave effettuata dalla Corte di Reggio Calabria, peraltro nemmeno contestata dal ricorrente, quali fossero gli elementi a disposizione del giudice della cautela nel momento della applicazione della misura e quali quelli su cui si è basato il Tribunale del riesame nell'annullarla, avendo le Sezioni Unite precisato che quando si riconosce che il gip era oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la misura, con ciò stesso si esclude la ravvisabilità di una coefficienza causale nella sua determinazione da parte del soggetto passivo. La rilevanza della condotta ostativa si misura infatti non sull'influenzabilità della persona del singolo giudice, bensì sull'idoneità a indurre in errore la struttura giudiziaria preposta alla trattazione del caso, complessivamente e oggettivamente intesa . Il giudice di rinvio dovrà dunque accertare se nel corso del procedimento siano stati compiuti atti o siano emerse circostanze ulteriori rispetto al quadro iniziale, anche nel senso della mancata conferma della ipotesi investigativa, che abbiano assunto rilevanza ai fini della valutazione di cui trattasi. 2.Si impone, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Reggio Calabria che procederà all'esame della materia conformandosi ai principi sopra enunciati, oltre che al regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria.