Sì ai lavori socialmente utili: è sufficiente che il condannato non si opponga

La mancata indicazione, da parte dell’imputato, dell’ente presso cui svolgere l’attività non preclude la sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità.

Con la sentenza n. 4927/2012 depositata l’8 febbraio, la Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, ha annullato la decisione della Corte di Appello di Torino sul punto concernente la mancata sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, ritenendo che non possa imporsi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 186 comma 9- bis C.d.S., alcun onere od obbligo in capo all’accusato di indicare l’ente presso cui intenda svolgere l’attività lavorativa e le modalità esplicative dell’attività stessa. Il caso. Tutto nasce da un ricorso proposto dalla difesa nel quale si lamentava l’ iter argomentativo seguito dal Giudice di secondo grado per escludere il beneficio di cui si tratta. In particolare, la Corte di Appello ha argomentato in proposito sostenendo che la mancata allegazione da parte dell’imputato di documentazione, alla cui stregua si potesse ritenere l’esistenza di un accordo con enti convenzionati o con altri enti eventualmente disponibili, avrebbe legittimamente impedito al giudice di applicare una sanzione sostitutiva, le cui modalità esecutive sarebbero state per l’effetto sconosciute o al più demandate ad una successiva quanto incerta determinazione. La Corte di cassazione con la decisione de qua ha ritenuto tale ragionamento inaccettabile, ponendosi così in aperto conflitto con una anteriore pronuncia di segno contrario con la quale si era statuito, tra l’altro, che la sostituzione della pena, detentiva o pecuniaria, irrogata per il reato di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, con quella del lavoro di pubblica utilità può essere disposta dal giudice anche d'ufficio, sempre che il condannato non si opponga, ma a quest'ultimo spetta in ogni caso il compito di individuare specificamente le modalità di espiazione della pena attraverso la presentazione di un progetto di svolgimento del lavoro sostitutivo, in mancanza del quale il giudice non può provvedere alla sostituzione Cass., sez. IV Pen., sent. n. 31145/2011 . La richiesta dell’imputato non è necessaria. Il ragionamento della Corte Suprema, assolutamente condivisibile, parte dalla diversa configurazione del procedimento applicativo della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità dettato dalla fattispecie, di cui all’art. 186 comma 9- bis C.d.S., con quello disciplinato dall’art. 54 d.lgs. n. 274/2000 concernente la competenza penale del giudice di pace, peraltro pure richiamato dalla prima disposizione relativamente alla definizione delle modalità di espletamento dell’attività sostitutiva. Si tratterebbe – a detta dell’Alta Corte - di norme complementari ma non pienamente sovrapponibili, avendo specificità e peculiarità significative basti pensare alla diversa durata del lavoro di pubblica utilità, ai diversi criteri di scelta e di priorità del campo nel quale lo stesso dovrebbe essere svolto e, per la guida in stato d’ebbrezza, al possibile coinvolgimento anche dei centri specializzati contro le dipendenze. A ciò deve aggiungersi, per quel che qui maggiormente importa, la non necessità, per procedere alla sostituzione della pena, nel caso di guida in stato di ebbrezza, di una istanza della difesa istanza da cui invece non si può prescindere per tutti gli altri reati rientranti nella competenza del Giudice di pace. Mancando allora il doveroso impulso dell’imputato verrebbe meno ogni connesso obbligo di allegazione e di produzione documentale in capo allo stesso, sicché non può accettarsi l’impostazione fatta propria dalla Corte di Appello di Torino e da altra giurisprudenza della stessa Cassazione che individua sul punto un onere probatorio extra ordinem a carico della difesa. Se così è, nessun dovere si può rinvenire sul punto ed il diniego di procedere alla sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, fondato sull’assenza di adeguata e specifica documentazione proveniente dall’accusato, è illegittimo. Il giudice dovrà determinare le modalità di esecuzione del lavoro di pubblica utilità. Assai rilevanti risultano le conseguenze pratiche dell’impostazione seguita con la sentenza in argomento il giudice, infatti, dovrà – ove ritenga di sostituire la pena - procedere in via d’ufficio a verificare la sussistenza di enti od organizzazioni convenzionate presso i quali il lavoro di pubblica utilità potrà essere svolto, determinando le modalità di esecuzione dello stesso sulla scorta delle intese raggiunte con gli stessi. Ma quid iuris nel caso in cui per inerzia o disorganizzazione non sia possibile individuare un ente o non siano state stipulate convenzioni nell’ambito del Tribunale? La Corte non fornisce una risposta definitiva, ma lascia intendere che a distanza di oltre 10 anni dall’approvazione del Decreto ministeriale previsto dal comma 6 dell’art. 54 d.lgs. n. 274/2000 D.M. del Ministro della Giustizia del 26 marzo 2001 , ipotizzati ed eclatanti ritardi imputabili esclusivamente alle pubbliche amministrazioni, ove comprovatamente e motivatamente sussistenti non possono ricadere negativamente sopra l’imputato in un contesto interpretativo costituzionalmente orientato . Alcune questioni rimangono aperte. Come segnalato la pronuncia in oggetto si pone in aperto contrasto con uno specifico precedente sul punto. Nello stesso modo, gravi difficoltà applicative e perplessità sorgono nel caso in cui manchi ancora in questo o quel Tribunale una particolare convenzione disciplinante il lavoro di pubblica utilità. In realtà e a ben vedere i due problemi sono assolutamente connessi. Infatti, le difficoltà per il giudice di definire adeguatamente e d’ufficio l’ an ed il quodomo della sostituzione della pena dipendono dalla specificità ed adeguatezza degli enti coinvolti e delle convenzioni stipulate anche dal Presidente del Tribunale su delega del Ministro della Giustizia. Ogni lacuna, che si rinviene su questi aspetti, impedisce al giudice di ben decidere o alla difesa di farsi parte diligente. Ecco che allora, se è vero che il giudice non può creare quello che non c’è, nello stesso modo l’imputato non può coartare l’inerzia o la cattiva amministrazione o supplire a mancanze di risorse pubbliche sul punto. In quest’ambito, esiste un limbo giuridico, che allo stato non è ancora stato pienamente vinto e che non può essere superato senza adeguati sforzi organizzativi e, in fondo, di buona economia e di buon senso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 2 – 8 febbraio 2012, n. 4927 Presidente Estensore Marzano Ritenuto in fatto 1.0 Il 29 aprile 2011 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza in data 7 dicembre 2010 del Tribunale di Saluzzo, con la quale E A. era stato condannato alla pena di giorni 15 di arresto ed Euro 900,00 di ammenda per imputazione di cui all'art. 186, 2 e, lett. b , C. d. S. tasso alcolemico rilevato 0,94-1,03 . 1.1. Nel pervenire alla resa statuizione, la Corte di merito rigettava, per quanto qui interessa, l'istanza dell'imputato-appellante di sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell'art. 9-bis del precitato art. 186 C. d. S, introdotto dall'art. 33, 1 c., L. 29 luglio 2010, n. 120 Disposizioni in materia di sicurezza stradale , rilevando che, indipendentemente dal fatto che nulla in proposito sia indicato nella norma, ad essa si può avere concretamente accesso ove sia presentata dall'imputato documentazione contenente l'indicazione dell'ente presso cui si intenda svolgere l'attività, il consenso di tale ente, il piano di lavoro concordato unitamente al calendario delle giornate lavorative necessarie a coprire l'entità della pena sostituita, ecc In mancanza di siffatta documentazione, alla cui stregua si possa ritenere l'esistenza di un accordo con gli enti convenzionati o con altro ente eventualmente disponibile, non può il giudice applicare una sanzione, le cui modalità esecutive sono del tutto sconosciute e lasciate ad una successiva, incerta determinazione tanto più che . al momento della sentenza il Tribunale di Saluzzo non aveva ancora stipulato alcuna convenzione in tal senso e, quindi, l'effettiva applicazione della sanzione sostitutiva sarebbe stata del tutto incerta . 2.0 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato per mezzo del difensore, denunziando il vizio di violazione di legge. Deduce che illegittimamente era stata rigettata la sua richiesta di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità per le ragioni sopra riportate, atteso che la norma non richiede affatto quegli adempimenti da parte dell'imputato, non potendosi, tra l'altro, pretendere la predisposizione di un calendario delle giornate lavorative necessarie a coprire l'entità della pena , della quale a quel momento neppure si conosce l'entità. Le questioni attinenti lo svolgimento del lavoro sostitutivo - soggiunge - possono essere risolte nella fase preposta all'esecuzione , ed il legislatore ha rimesso al giudice dell'esecuzione la revoca del beneficio per mancata esecuzione del lavoro sostitutivo . Considerato in diritto 3.0 Il ricorso è fondato. Invero, come di già anticipato, il comma 9-bis dell'art. 186 C. d. S. è stato introdotto dall'art. 33 della L. n. 120/2010, e nel suo primo periodo così testualmente dispone Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo riguardante il caso del conducente in stato di ebbrezza che provochi un incidente stradale ipotesi nella specie insussistente alla stregua della contestazione , la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso centri specializzati di lotta alle dipendenze . 3.1 Il richiamo all'art. 54 del D. Lgs.vo n. 274/2000 non comporta la integrale sovrapposizione dei due disposti normativi difatti, innanzitutto l'art. 54, 1 c., citato dispone che il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità solo su richiesta dell'imputato , mentre invece il comma 9-bis del novellato art. 186 C. d. 5. dispone che la pena, detentiva e pecuniaria, può essere sostituita se non vi è opposizione da parte dell'imputato . Al riguardo è appena il caso di osservare che l'espressione se non vi è opposizione non può essere riferita al decreto penale di condanna che immediatamente la precede, sia perché il segno di interpunzione, la virgola, lo esclude, sia perché la opposizione al decreto penale di condanna ne imporrebbe la revoca, sicché il giudice non potrebbe mai disporre tale sostituzione anche con il decreto penale di condanna . La durata, poi, del lavoro di pubblica utilità non può essere inferiore a dieci giorni e superiore a sei mesi per l'art. 54, 2 c., D. Lgs.vo n. 274/2000 invece, per l'art. 186, comma 9-bis, C. d. S. ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 Euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità . 3.2 Gli enti ed i soggetti a favore dei quali il lavoro di pubblica utilità può essere prestato sono per l'art. 186, comma 9-bis, C. d. S., quelli sopra indicati essi corrispondono a quelli indicati dal 2 comma dell'art. 54 D. Lgs.vo n. 274/2000, con in più rispetto a questi della indicazione nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale in via prioritaria , dice la norma prioritaria, quindi, ma non esclusiva e dei centri specializzati di lotta alle dipendenze . Richiamando il comma 9-bis del l'art. 186 C. d. S. l'art. 54 del D. Lgs.vo n. 274/2000 specificamente quanto alle modalità ivi previste , mette conto di rilevare che il 6 comma di tale ultimo disposto normativo ha rimesso la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità ad un decreto del Ministro della giustizia d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In contemplazione di tanto è stato emesso dal Ministro della giustizia il D. M. 26 marzo 2001, recante Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base all'art. 54, comma 6, del D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 . L'art. 1 individua il tipo di prestazioni dovute l'art. 2 richiama convenzioni da stipulare con il Ministro della giustizia o, su delega di quest'ultimo, con il Presidente del Tribunale. L'art. 3, poi, dispone che con la sentenza di condanna con la quale viene applicata la pena del lavoro di pubblica utilità, il giudice individua il tipo di attività, nonché l'amministrazione, l'ente o l'organizzazione convenzionati presso il quale questa deve essere svolta. A tal fine il giudice si avvale dell'elenco degli enti convenzionati . Vero è che nello stesso art. 3 si dispone che dello stesso elenco si avvalgono il difensore o il condannato quando formulano le richieste di cui all'art. 33, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, sulla scorta del medesimo elenco , ma tale specifica disposizione attiene alla ipotesi in cui subito dopo la pronuncia della sentenza di condanna alla pena della permanenza domiciliare l'imputato o il difensore munito di procura speciale possono chiedere l'esecuzione continuativa della pena , ed il giudice, se ritiene di poter applicare in luogo della permanenza domiciliare la pena del lavoro di pubblica utilità, indica nella sentenza il tipo e la durata del lavoro di pubblica utilità che può essere richiesto dall'imputato o dal difensore munito di procura speciale . Il disposto dell'art. 33 del D. Lgs.vo n. 274/2000 appare specifico della normativa riguardante il giudice di pace ed anche in tale contesto rimane confermata la generale regola indicata dall'art. 54 dello stesso testo normativo, secondo cui il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità solo su richiesta dell'imputato . 3.3 Ai sensi, invece, del comma 9-bis dell'art. 186 C. d. S. non è richiesta alcuna istanza dell'imputato, come si è già detto è sufficiente la sua non opposizione. Non assume perciò rilievo che, l'imputato possa, di sua iniziativa, sollecitare e richiedere quel beneficio ciò che rileva è la cornice normativa nella quale tale istanza si inserisce nell'ambito dell'istituto di riferimento, come delineato dal legislatore, ed il corollario che ne scaturisce anche in tal caso la legge non pone affatto obblighi di sorta in capo all'imputato, come quelli indicati nella sentenza impugnata, non postula affatto una situazione diversa cui far conseguire obblighi diversi da quella ipotizzata di non opposizione , quella istanza, in definitiva, solo di tale necessario e sufficiente presupposto dando conto. E già tanto da ragione della illegittimità del divisamento espresso dalla sentenza impugnata se non è necessaria una esplicita richiesta dell'imputato, ma è sufficiente solo la sua non opposizione, resa ancor più evidente dalla sollecitata istanza in tal senso, non è dato scorgere il perché o il per come l'imputato medesimo debba essere gravato dell'obbligo di indicare l'ente presso cui si intenda svolgere l'attività, il consenso di tale ente, il piano di lavoro concordato unitamente al calendario delle giornate lavorative necessarie a coprire l'entità della pena sostituita, ecc. , in un momento ben diverso da quello di cui all'art. 33 D. Lgs.vo n. 274/2000, concernente il giudice di pace, sopra evocato , peraltro, in cui, come giustamente rileva il ricorrente, neppure si sa quale pena il giudice si determinerà ad irrogare. Una volta che egli abbia manifestato la non opposizione addirittura chiedendo quel beneficio, la legge non gli impone alcun obbligo determinativo delle modalità di esecuzione dello stesso, che non può che spettare solo a chi, nella mera non opposizione del destinatario, quel beneficio si determini a disporre. Per altro verso, se si assume, quale argomentazione assorbente e di chiusura, che il Tribunale di Saluzzo non aveva ancora stipulato alcuna convenzione in tal senso , neppure si vede come e perché l'imputato avrebbe dovuto adempiere a quegli obblighi senza neppure riuscire ad individuare con chi doveva stipularli. Non ignora il collegio un diverso ed isolato orientamento altra volta espresso da questa Suprema Corte Sez. IV, 7.7.2011, n. 31145 , ma le considerazioni sin qui svolte portano a rivedere quell'orientamento. 3.4 Il provvedimento impugnato si limita ad annotare che al momento della sentenza il Tribunale di Saluzzo non aveva ancora stipulato alcuna convenzione in tal senso . Sembra di capire al momento della sentenza di primo grado, ma nulla dice se tale situazione permaneva al momento in cui venne resa la decisione ora impugnata. Il D. M. sopra richiamato è, come s'è detto, del 26 marzo 2001. La Corte territoriale non si fa carico di chiarire se a distanza di oltre dieci anni la sua sentenza è del 29 aprile 2011 siano comprovatamente rimasti del tutto inadempienti non solo il tribunale di Saluzzo per due lustri , ma, ed ancor prima, anche il Ministero della giustizia, che ai sensi di quel D.M. è il soggetto che stipula le convenzioni, il Presidente del Tribunale agendo solo su sua delega. Ed a seguire l'orientamento espresso nel provvedimento impugnato, andrebbe pure spiegato perché così ipotizzati ed eclatanti ritardi imputabili esclusivamente alle pubbliche istituzioni, ove comprovatamente e motivatamente sussistenti, debbano poi ricadere sull'imputato, che solo per questi altrui inadempimenti si veda negato il beneficio in questione, in un generale contesto interpretativo costituzionalmente orientato. Né, infine, ha valutato la sentenza impugnata se difficoltà determinative di quelle modalità di esecuzione fossero poi comunque diversamente affrancagli, anche eventualmente in sede di esecuzione. 4.0 Torna opportuno da ultimo chiarire che la disposizione introdotta dal comma 9-bis dell'art. 186 C. d. S. è certamente norma più favorevole per l'imputato tra l'altro, a parte la evidente minore afflittività della sanzione, l'utile espletamento del lavoro di pubblica utilità comporta non solo l'avvenuta espiazione della pena, ma anche l'estinzione del reato, la riduzione a metà della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, la revoca della confisca del veicolo deve, perciò, trovare applicazione il disposto dell'art. 2, 4 comma, c.p La suindicata novella legislativa del 2010 ha tuttavia inasprito il trattamento sanzionatorio relativo ad alcune fattispecie di reato come quella di cui all'art. 186, 2 c., lett. c , di talché deve essere individuata la legge nel complesso ed in concreto più favorevole, ed una volta questa individuata vanno applicate tutte e solo le disposizioni che a questa si riferiscono, non potendo applicarsi diverse disposizioni proprie di ciascun testo normativo nella successione di leggi, sì da determinare una terza legge composta da parziali disposizioni delle due che si sono susseguite, quella precedente e quella successiva. Nel caso di specie tale questione non viene in rilievo perché in riferimento al reato contestato, riconducibile al disposto dell'art. 186, 2 c, lett. b , la novella legislativa non ha introdotto inasprimenti sanzionatori. 5.0 La sentenza impugnata va, dunque, annullata limitatamente al punto concernente la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.