Marito senza assistenza, moglie straniera sotto accusa. Lei si giustifica con i propri acciacchi, ma i ritorni in patria la smentiscono

L’uomo, trent’anni più vecchio, muore solo e abbandonato. La donna afferma la propria impossibilità a provvedere alle ordinarie cure, portando come prova le proprie precarie condizioni fisiche. Ma la sua abitudine a viaggiare fa a pugni con i suoi presunti problemi di salute.

Moglie straniera e più giovane di ben trent’anni. Fenomeno, questo, in diffusione anche in Italia. Con relativi punti oscuri, ovvero, su tutto, l’attendibilità dell’attenzione della donna verso l’uomo. Che, se viene completamente meno, può legittimare l’accusa di abbandono di persona incapace. A maggior ragione se, come in questo caso, la donna afferma di non essere in grado, a causa delle proprie precarie condizioni fisiche, di badare all’anziano marito, eppure riesce ad affrontare lunghi viaggi per tornare, saltuariamente, nella propria patria Cassazione, sentenza numero 3901/2012, Quinta sezione Penale, depositata oggi . Solo. Otto anni di matrimonio, che si concludono, però, tristemente lui, 80 anni, muore solo e abbandonato, senza la moglie, trent’anni di meno, straniera. Quest’ultima, però, deve affrontare un’accusa pesante quella di aver abbandonato una persona incapace. Con due aggravanti l’aver agito così nei confronti del coniuge e la conseguente morte dell’uomo. Nessun dubbio, né per il Giudice dell’udienza preliminare né per il Tribunale condanna piena. Soprattutto tenendo presenti l’atteggiamento della donna e le condizioni dell’uomo, costretto a vivere in condizioni di sporcizia, disidratazione e malnutrizione e privo di ogni assistenza , come testimoniato anche dalle piaghe da decubito, a conferma che il corpo non veniva mosso per lunghi periodi, neppure per una normale pulizia dell’uomo allettato e del suo giaciglio . Problemi fisici. La donna punta, però, ad alleggerire la propria posizione. E per farlo evidenzia – in occasione del ricorso per cassazione – le proprie precarie condizioni fisiche, che, come già chiarito in Appello, le hanno, a suo avviso, impedito di provvedere all’assistenza del marito. Secondo la donna, infatti, non si è pesato abbastanza il fatto che lei era persona anziana ed affetta da più patologie fisiche diabete, ipertensione arteriosa, calcolosi renale e psichiche che non la rendevano in grado di occuparsi del coniuge , come noto anche alla figlia dell’uomo. E, sempre su questa falsariga, viene ricordato che lei aveva chiamato l’ambulanza per i ricoveri e si era interessata presso il medico di famiglia in merito alle condizioni del marito, il quale peraltro era stato dimesso per due volte dall’ospedale in buone condizioni di salute . Per chiudere, infine, la donna contesta anche il nesso di causalità fra il preteso abbandono e la morte del marito, persona affetta da gravi malattie, con elevato rischio di decesso anche in caso di corretta assistenza medica e personale . Contraddizione. Dato di fatto da cui partire, però, è l’abitudine, della donna, di trascorrere almeno una decina di giorni al mese nella propria patria, lasciando così il marito solo a casa, in condizioni di difficoltà, derivanti dalle plurime patologie che lo affliggevano, e privo di assistenza . Eppure, la donna afferma che non le si può ascrivere la volontà di lasciare l’uomo in condizioni di abbandono, e privo non solo di cure, ma anche di regolare nutrimento ed idratazione . Visione accettabile? Assolutamente no. Perché, sottolineano i giudici di Cassazione, mostrando di condividere le valutazioni in Appello, le patologie della donna non apparivano tali da impedirle un’ordinaria cura del marito, posto che, nonostante fosse diabetica, ipertesa e soggetta a coliche renali, non rinunciava ai periodici viaggi in patria, viaggi che non le erano impediti da quelle condizioni di salute . Esiste, poi, un altro elemento a cui fare riferimento le condizioni dell’uomo dopo i ricoveri in ospedale. Condizioni nettamente migliori, a dimostrazione di quanto fosse sensibile a cure adeguate e di quanto queste cure venissero a mancare non appena rientrava in casa. Non a caso, è stato evidenziato che la donna non seguiva neppure le indicazioni terapeutiche che riceveva in ambito ospedaliero e finiva per lasciare il marito privo di ogni assistenza , come dimostrato dalla presenza di piaghe da decubito sul corpo dell’uomo. Il quadro, quindi, è chiaro il ricorso è da rigettare, e la pronuncia di condanna da confermare in pieno.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 novembre 2011 – 31 gennaio 2012, n. 3901 Presidente Ferrua – Relatore Savani In fatto e diritto Con la decisione di cui all’epigrafe la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza emessa in data 26 novembre 2009, all'esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale dì Novara, appellata da G. I., che l'aveva dichiarata responsabile del delitto di abbandono di persona incapace, con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno del coniuge B. G. e dell'essersi verificata la morte della persona abbandonata, consumato il 7 aprile 2008. Propone ricorso per cassazione l'imputata deducendo violazione di legge e difetto di motivazione sulla ritenuta sua responsabilità con particolare riferimento al non essere stato considerato che lei era persona anziana ed affetta da più patologie fisiche diabete, ipertensione arteriosa, calcolosi renale e psichiche disturbo di conversione, comportante sbalzi di umore e disturbi psicosomatici che non la rendevano in grado di occuparsi del coniuge, situazione nota a più persone ed anche alla figlia del B., non adeguatamene valutata dalla Corte di merito esclude poi che si possa configurare un vero e proprio abbandono, a parte un primo periodo in gennaio del 2008, mentre per il periodo successivo al più si potrebbe parlare di incuria, ma in ogni caso sarebbe risultato che lei aveva chiamato l'ambulanza per i ricoveri e si era interessata presso il medico di famiglia in merito alle condizioni del marito, il quale peraltro era stato dimesso per due volte dall'ospedale in buone condizioni di salute. Censura poi che si sia ritenuto il nesso di causalità fra il preteso abbandono e la morte di una persona affetta da gravi malattie, con elevato rischio di decesso anche in caso di corretta assistenza medica e personale. Lamenta infine la mancata concessione delle attenuanti generiche, senza che si fossero considerate le sue condizioni personali e l'avvenuto parziale ristoro dei danno, avendo la Corte territoriale motivato il diniego solo con riguardo alla gravità del fatto. Il ricorso è privo di fondamento. I giudici del merito hanno evidenziato come fosse risultato che la G., che aveva sposato l'ottantenne B. nel 2000, aveva preso l'abitudine di trascorrere, almeno una decina di giorni al mese in Romania, sua patria d'origine, lasciando il marito solo a casa in condizioni di difficoltà, derivanti dalle plurime patologie che da tempo lo affliggevano, e privo di assistenza. Entrambi i giudici del merito hanno, con puntualità, affrontato le prospettazioni, che la prevenuta ripropone nel ricorso, circa la propria difficile condizione di salute, tale da renderle impossibile di prestare al marito le cure necessarie e quindi da escludere che le si potesse ascrivere la volontà di lasciare l'uomo in condizioni di abbandono e privo non solo di cure, ma anche di regolare nutrimento ed idratazione. Ha rilevato la Corte che le patologie da cui risultava affetta la prevenuta non apparivano tali da impedirle un'ordinaria cura del marito, posto che, nonostante fosse diabetica, ipertesa e soggetta a coliche renali, non rinunciava ai periodici viaggi in Romania che non le erano impediti da quelle condizioni di salute e pare al Collegio che si tratti di considerazioni del tutto adeguate, con una valutazione corretta delle patologie lamentate, in raffronto fra l'impegno richiesto per una normale cura domiciliare del marito - mediante I'eventuale ausilio delle strutture sanitarie territoriali - e la propria abitudine di sottoporsi alle fatiche delle ripetute trasferte in Romania, le quali, come risulta della sentenza del primo giudice che ha dato conto delle evidenze dei tabulati telefonici sugli spostamenti della donna, avvenivano via terra con viaggi di lunga durata. La Corte territoriale ha poi rilevato l'inconsistenza delle giustificazioni facenti leva sull'asserita patologia psichica, né la ricorrente, con un generico riferimento a certificaziomproveni1ente dal carcere, individua quali limitazioni ad una normale attenzione verso le esigenze del marito le potessero derivare dai repentini sbalzi di umore e dai disturbi psicosomatici che sarebbero conseguenti alla citata patologia. Correttamente poi il giudice d'appello, come già diffusamente il primo giudice, ha collegato il precipitare delle condizioni del B. all'incuria che caratterizzava i periodi che trascorreva presso il proprio domicilio, anche quando la moglie era presente, evidenziando le condizioni di sporcizia, disidratazione malnutrizione in cui veniva trovato al momento dei diversi ricoveri ospedalieri osservando anche, del tutto correttamente, che il fatto che, dopo una normale assistenza ospedaliera, le sue condizioni avessero un deciso miglioramento dimostrava come il suo preesistente stato di malattia condizione che non esclude, ma anzi sì pone come premessa indispensabile per il configurarsi della necessità e doverosità dell'assistenza fosse sensibile a cure adeguate, che peraltro venivano a mancare non appena rientrava ali'abitazione. Viene invero evidenziato dei giudici del merito che la donna non seguiva neppure le indicazioni terapeutiche che riteneva in ambito ospedaliero e finiva per lasciare il marito privo di ogni assistenza, posto che la presenza di piaghe da decubito rappresentava l'evidente dimostrazione che il corpo non veniva mosso per lunghi periodi, neppure per una normale pulizia dell'uomo allettato e del suo giaciglio. Manifestamente infondato e tendente a sottoporre a questa Corte valutazioni squisitamente di merito, ad essa sottratte, è l'ultimo motivo, con il quale la ricorrente afferma carente la motivazione con la quale le sono state negate le circostanze attenuanti generiche. Del tutto legittimamente difatti la Corte di appello ha ritenuto ostativa al riconoscimento delle attenuanti generiche la gravità del fatto per le modalità con cui si era manifestato, trattandosi di parametro considerato dall'art 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 62 bis c.p., a fronte del quale il ricorso non evidenzia alcun significativo elemento di segno opposto non considerato, rilevandosi che delle specifiche condizioni della donna la Corte d'appello ha tenuto conto nel ridurre la pena proprio in considerazione delle condizioni e della personalità della stessa. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Trattandosi di ricorso concernente reati relativi a rapporti di famiglia la cancelleria darà attuazione al disposto dell'art. 52, D.Lvo 196/07 per il caso di diffusione del presente provvedimento. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.