Bloccano i lavori di scavo su un terreno di cui sono comproprietari: non è reato

Una coppia impedisce che la strada di accesso alla loro abitazione venga bloccata e, dopo la condanna per violenza privata in primo grado ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni in secondo, la Cassazione riconosce la liceità della condotta.

È legittima e dunque non costituisce il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni l’azione di due imputati che avvertendo soggettivamente una lesione o comunque una turbativa dei loro diritti, hanno posto in essere una immediata reazione difensiva sollecitando contestualmente l’intervento sul posto dei Carabinieri. Questo è il principio espresso dalla Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3240/12, depositata il 26 gennaio scorso. Il caso. Un signore conferisce l’incarico di eseguire l’allaccio alla rete fognaria ad una società. I lavori sembrano destinati a partire regolarmente sennonché davanti alla macchina operatrice che deve eseguire le operazioni sul terreno si posizionano un uomo e una donna impedendo il proseguimento delle attività. I due, per la loro azione, vengono allora condannati dal Tribunale in quanto considerati colpevoli del reato di violenza privata. Violenza privata, esercizio arbitrario delle proprie ragioni o legittima difesa? Viene proposto ricorso in appello. I due sostengono la loro innocenza. La particella interessata dai lavori è sede dell’unica strada che permette l’accesso alla loro abitazione e, in quanto comproprietari della stessa, con quel gesto hanno voluto impedire la lesione di un proprio diritto. La Corte territoriale riforma in parte la decisione di primo grado qualificando il fatto non come violenza privata, ma come esercizio arbitrario delle proprie ragioni non rilevando la contestualità della pretesa lesione, che non escludeva l’eventuale possesso degli imputati trattandosi di lavori di scavo che prevedevano il ripristino della antecedente situazione di fatto . I due non ci stanno e ricorrono in Cassazione lamentando la mancata considerazione delle ragioni del loro agire, dettato dalla necessita di tutelare, nell’immediatezza, il diritto di comproprietà e il diritto a non vedersi ostacolato l’accesso all’abitazione da quei lavori che non erano nemmeno stati preannunciati. La condotta è lecita perché niente affatto arbitraria. La Suprema Corte accoglie il ricorso e annulla la sentenza senza rinvio riconoscendo come il fatto non costituisca reato. Secondo i giudici di legittimità non può ignorarsi il fatto che gli imputati hanno avvertito soggettivamente una lesione o comunque una turbativa dei loro diritti e, di conseguenza, hanno posto in essere una immediata azione difensiva, oltretutto richiedendo contestualmente l’intervento dei Carabinieri. Non si è dunque in presenza di una condotta illecita poiché questa è giustificata, nella convinzione degli imputati, dalla necessità di scongiurare il consolidarsi della nuova situazione. Del resto, precisano i giudici, la liceità, nella flagranza dello spoglio subito, della violenza manutentiva è desumibile sul piano della fattispecie penale di cui all’art. 393 c.p. dal termine arbitrariamente” utilizzato dal legislatore, posto che, diversamente opinando, tale termine avrebbe un valore pleonastico .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 settembre 2011 - 26 gennaio 2012, n. 3240 Presidente Mannino – Relatore Milo Fatto e diritto 1. Il Tribunale di L'Aquila, con sentenza 1/6/2005, tra l'altro, dichiarava R.M D.M. e G F. colpevoli del reato di violenza privata capo a - per avere, in concorso tra loro, impedito, posizionandosi dinanzi alla macchina operatrice, la prosecuzione dei lavori di scavo per l'allaccio alla rete fognaria ed idrica, eseguiti da L Q. su incarico di R.E. e G B. il omissis - e li condannava, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, a pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. 2. A seguito di gravame proposto dagli imputati, la Corte d'Appello di L'Aquila, con sentenza 13/5/2010, riformando in parte la decisione di primo grado, che confermava nel resto, qualificava il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 cod. pen. e rimodulava il trattamento sanzionatorio con riferimento a tale illecito. Il Giudice distrettuale riteneva che la condotta tenuta dagli imputati, ritenutisi lesi nel loro diritto di comproprietà della particella interessata dai lavori di scavo e sede della strada attraverso la quale soltanto era possibile accedere alla loro abitazione, era riconducibile nello schema dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non rilevando la contestualità della pretesa lesione, che non escludeva l'eventuale possesso degli imputati, trattandosi di lavori di scavo che prevedevano il ripristino della antecedente situazione di fatto . 3. Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, deducendo la violazione degli artt. 52 e 393 cod. pen., nonché la carenza e la manifesta illogicità della motivazione, per non avere la Corte di merito considerato che la condotta da loro tenuta era stata determinata dalla necessità di tutelare, nell'immediatezza, il loro diritto di comproprietà e di compossesso della particella di terreno interessata dai lavori, peraltro neppure preannunciati, e a non vedersi conseguentemente ostacolato l'accesso alla loro abitazione. 4. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Osserva la Corte che, per quello che si evince dalla sentenza impugnata, i lavori di scavo per l'allaccio alla rete idrica e fognaria commissionati dalle parti civili interessarono un appezzamento di terreno sul quale gli imputati vantavano il diritto di comproprietà e sul quale insisteva l'unica strada di accesso all'abitazione dei medesimi, che - peraltro - non erano stati preavvertiti della esecuzione dei lavori. Ciò posto, non può ignorarsi che gli imputati, posti dinanzi a tale situazione per così come al momento appariva, avvertirono soggettivamente una lesione o comunque una turbativa dei loro diritti e posero in essere una immediata reazione difensiva, impedendo al manovratore della macchina operatrice di proseguire ulteriormente nei lavori di scavo e sollecitando contestualmente l'intervento sul posto dei Carabinieri. Tale reazione difensiva non può ritenersi violenza illecita ai fini del reato di ragion fattasi, in quanto giustificata, nella convinzione soggettiva degli imputati, dalla necessità di scongiurare, in quel determinato contesto, il consolidarsi della nuova situazione, percepita come illegittima e non chiara nei suoi ulteriori sviluppi. La liceità, nella flagranza dello spoglio subito, della violenza manutentiva è desumibile sul piano della fattispecie penale di cui all'art. 393 cod. pen. dal termine arbitrariamente utilizzato dal legislatore, posto che, diversamente opinando, tale termine avrebbe un valore pleonastico. 5. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.