L’avvocato è poco serio: scriverlo al Consiglio dell’Ordine non è reato

Non è punibile il cliente che revoca il mandato al legale a causa della sua scarsa professionalità e denuncia il fatto all’Ordine usando espressioni dure e perentorie, purchè non si traducano in un attacco personale.

In materia di diffamazione, il requisito della continenza non può essere invocato a fondamento di una pretesa necessità di selezionare gli argomenti nei quali è articolata la critica, oggetto di libertà di scelta implicita nel riconoscimento della valenza anche costituzionale del relativo diritto, ma riguarda esclusivamente le espressioni utilizzate a tali fini espressioni che possono dirsi penalmente illecite solo nel momento in cui, per il loro carattere gravemente infamante o inutilmente umiliante, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui persona ne risulti denigrata in quanto tale. Così afferma la Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3188/12, depositata il 25 gennaio scorso. Il caso. Una persona si trova coinvolta in un procedimento penale e ha bisogno dell’assistenza di un avvocato. Ne scegli uno al quale rivolgersi. Poco dopo però, decide di revocare il mandato ravvisando un conflitto di interessi del legale che contemporaneamente difende un coindagato. Dopo la revoca, l’assistito si vede recapitare la richiesta del pagamento di un onorario pari a 3.000 euro. Al cliente sembrano decisamente troppi considerato che l’attività difensionale era durata appena una settimana e senza che fosse celebrata alcuna udienza. Al massimo, è disposto a versare 500 euro per il disturbo”. L’avvocato, a fronte del mancato pagamento, rifiuta di restituire la documentazione che il cliente gli aveva fatto pervenire. Comincia dunque uno scambio di corrispondenza tra i due. Ad un certo punto, il cliente decide di inviare un esposto indirizzato all’avvocato, ad un collega codifensore dell’indagato e al Consiglio dell’Ordine della città. Nell’esposto, il cliente scrive della poca serietà dell’avvocato, delle inverosimili pretese economiche di questo e del suo comportamento scorretto, concretizzatosi nel rifiuto della restituzione di documenti utili alla difesa. L’avvocato sporge querela per diffamazione e ingiuria e la questione finisce davanti al giudice di pace. Quest’ultimo pronuncia una sentenza di condanna alla pena di 800 euro di multa. Si arriva infine in Cassazione. Non si tratta di diffamazione, ma dell’esercizio di un diritto. A detta del cliente, il giudice di pace non avrebbe correttamente valutato i fatti al fine della determinazione della sussistenza dell’elemento psicologico del reato e della ravvisabilità del diritto di critica, delle scriminati previste dal codice per le offese in scritti prodotti dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative e per le ritorsioni e provocazioni. È corretto l’invio della missiva al Consiglio dell’Ordine. I giudici di legittimità riconosco che l’iniziativa dell’imputato è assistita dall’esercizio del diritto di critica, ravvisabile nell’addebito di scarsa diligenza e professionalità nello svolgimento delle pratiche affidate al professionista, in quanto diretto a motivare la revoca del mandato, anche laddove lo stesso sia rivolto in termini aspri . Inoltre, l’invio della missiva al Consiglio dell’Ordine non è illegittimo, potendo essere funzionale alla richiesta di controllo sul rispetto delle regole deontologiche. Anche l’invio al collega può essere considerato il modo per informare correttamente il codifensore degli sviluppi della vicenda. Le espressioni adottate non rappresentano un attacco personale. Appurato l’esercizio di un diritto da parte dell’imputato, ai fini del riconoscimento di una responsabilità penale, è necessario il superamento del limite della continenza. Tale requisito, precisa la Suprema Corte, non può essere invocato a fondamento di una pretesa necessità di selezionare gli argomenti nei quali è articolata la critica, oggetto di libertà di scelta implicita nel riconoscimento della valenza anche costituzionale del relativo diritto, ma riguarda esclusivamente le espressioni utilizzate a tali fini espressioni che possono dirsi penalmente illecite solo nel momento in cui, per il loro carattere gravemente infamante o inutilmente umiliante, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui persona ne risulti denigrata in quanto tale . Nel caso specifico, le espressioni utilizzate dal cliente, sicuramente dure e perentorie, non costituiscono un attacco alla persona del legale né alle sue capacità professionali in generale, essendo quest’ultimo addebito riferito alla specifica vicenda riferita nella missiva. Il comportamento dell’imputato è legittimo. La Suprema Corte ritiene dunque sussistente l’esimente dell’esercizio del diritto di critica che rende il fatto non punibile e, di conseguenza, annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 novembre 2011 – 25 gennaio 2012, numero 3188 Presidente Ferrua – Relatore Zaza Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata P.F. veniva condannato alla pena di Euro.800 di multa per il reato continuato di cui agli articolo 594 e 595 cod. penumero , commesso il 30.5.2007 inviando all'Avv. B.F. , al collega del predetto Avv. M. ed al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo un esposto contenente le espressioni mi sono reso conto della sua poca serietà professionale ho ritenuto di revocarle il mandato chiedendo al contempo che mi venissero restituiti documenti personali consegnati nel corso del primo incontro e, cosa ancor più grave, sino ad oggi non mi ha fatto pervenire documenti che necessitano per la mia difesa in relazione alle sue inverosimili pretese economiche le comunico che sono sempre disposto a pagare il suo disturbo nella misura sopra riferita e solo ed unicamente quella poiché è evidente che quanto da lei richiesto non trova assolutamente riscontro nell'attività minima professionale da lei asseritamente svolta nel mio interesse ”. L'imputato ricorrente deduce, anche con memoria difensiva successivamente presentata, violazione di legge e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato e comunque alla ravvisabilità della scriminante del diritto di critica e di quelle di cui agli articolo 598 e 599 cod. penumero , lamentando che il Giudice di Pace non abbia valutato a questi fini - l'intero svolgimento della vicenda, nella quale, dopo aver revocato il mandato difensivo all'Avv. B. per il conflitto di interessi individuato nella contemporanea difesa di un coindagato, l'imputato si vedeva destinatario della richiesta di un onorario pari ad Euro 3.000 circa per un'attività defensionale effettuata solo dal 3 al 10 maggio del 2007 senza che fosse celebrata alcuna udienza, importo successivamente ridotto ad Euro.700 in sede giudiziale, ed a fronte dell'offerta di pagamento parziale della somma di Euro 500 subiva il rifiuto della restituzione della propria documentazione, depositata solo nel successivo mese di luglio all'Ordine degli Avvocati di Palermo - l'intento dell'imputato di richiedere semplicemente all'Ordine degli Avvocati di Palermo una verifica sulla serietà deontologica del difensore - il successivo scambio di corrispondenza fra l'imputato e l'Avv. B. , nel corso della quale quest'ultimo contestava l'avvenuta revoca del mandato, addebitava dall'imputato il mancato pagamento dell'onorario richiesto e lo accusava altresì di subordinazione nei confronti del coindagato, tanto comunicando per iscritto anche il pubblico ministero procedente ed hanno pertanto luogo al reciprocità di offese e rilevando altresì contraddittorietà della sentenza impugnata laddove riconosceva in astratto la sussistenza della scriminante del diritto di critica per poi negarla in concreto per il ritenuto superamento di un limite di continenza da valutarsi viceversa in prospettiva differente da quella del diritto di cronaca. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Il contenuto della missiva oggetto di imputazione, come riportato in premessa, rende evidente l'intento dell'imputato di dare spiegazione della revoca del mandato precedentemente conferito all'Avv. B. con la ritenuta inadeguatezza dell'attività professionale svolta dallo stesso e con la sproporzione, rispetto a detta attività, degli onorari richiesti, nonché di lamentare la mancata restituzione della documentazione di causa consegnata al legale. In questi termini, l'iniziativa dell'imputato è assistita dall'esercizio del diritto di critica, ravvisabile nell'addebito di scarsa diligenza e professionalità nello svolgimento delle pratiche affidate al professionista, in quanto diretto a motivare la revoca del mandato, anche laddove lo stesso sia rivolto in termini aspri Sez. 5, numero 14056 del 15.1.2008, imp. Scarvaci, Rv. 239470 . Tale legittimo esercizio non viene meno per il fatto che la missiva sia stata nella specie indirizzata al competente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, potendo la critica essere funzionalizzata a richiedere il controllo sul rispetto delle regole deontologiche Sez. 5, numero 33994 del 5.7.2010, imp. Cernoia, Rv. 248422 e neppure in considerazione dell'invio dell'esposto per conoscenza all'Avv. M. , correttamente informato degli sviluppi della vicenda in quanto codifensore del P. . Accertato questo presupposto, peraltro non escluso nella stessa sentenza impugnata, ne segue che l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato richiede il superamento, nell'esercizio del diritto, del limite della continenza condizione, questa, non ricorrente nel caso in esame. Il requisito della continenza non può essere invocato a fondamento di una pretesa necessità di selezionare gli argomenti nei quali è articolata la critica, oggetto di libertà di scelta implicita nel riconoscimento della valenza anche costituzionale del relativo diritto, ma riguarda esclusivamente le espressioni utilizzate a tali fini Sez. 5, numero 36602 del 15.7.2010, imp. Selmi, Rv.248432 espressioni che possono dirsi penalmente illecite solo nel momento in cui, per il loro carattere gravemente infamane o inutilmente umiliante, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui persona ne risulti denigrata in quanto tale Sez. 5, numero 15060 del 23.2.2011, imp. Dessi, Rv.250174 . Orbene, le espressioni adoperate nello scritto contestato, pur se connotate da indubbia perentorietà e durezza, non si risolvono in alcun passaggio in attacchi alla persona del legale primo destinatario ed alle sue capacità professionali in generale. L'addebito di scarsa serietà professionale, se correttamente valutato in collegamento con l'accenno immediatamente precedente al maturarsi di una convinzione del P. e correttamente inserito nel contesto della missiva, risulta chiaramente riferito alla specifica vicenda descritta in quest'ultima, e quindi alla linea di condotta segnatamente tenuta dal querelante nell'occasione e le successive attribuzioni di inverosimiglianza delle pretese economiche del B. e di mera assertività delle prestazioni dallo stesso addotte a sostegno delle relative richieste rientrano senz'altro nei limiti delle valutazioni del P. sull'infondatezza delle pretese della controparte e sull'insanabilità del contrasto che portava alla revoca del mandato. Sussiste pertanto nella condotta contestata l'esimente dell'esercizio del diritto di critica, per effetto della quale il fatto non è punibile. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.