2 avvocati e la cliente offrono denaro al confidente del testimone: è reato

La Cassazione propende per una lettura estensiva della fattispecie, ravvisabile anche laddove non sia sussistito un contatto diretto fra agenti e testimone.

Più imputati, due avvocati e la cliente, ricorrevano per cassazione avverso la sentenza di merito che li condannava per aver offerto utilità economiche al testimone di un già costituito processo. L’offerta illecita si era realizzata mediante l’intercessione di un collega del testimone medesimo, che tuttavia nell’occasione non suffragò quel sodalizio. Gli imputati, fra le altre richieste, contestavano la mancata integrazione della condotta di subornazione art. 377 c.p. , in ogni suo elemento costitutivo. La Cassazione, Sesta sezione Penale, n. 1709/2012 depositata il 17 gennaio, rigettava le relative contestazioni, reputava congrue e motivate le argomentazioni di merito in ordine alla perfetta conoscenza della reità della condotta di offerta economica da parte degli imputati e, in particolare, riteneva integrata la condotta tipica del reato di subornazione, non impedita dalla frapposizione reale di un soggetto, estraneo al patto criminale, che avrebbe dovuto costituire il ponte di collegamento fra gli imputati ed il testimone del processo. Il dubbio anche la c.d. offerta indiretta è condotta subornatrice? La Cassazione propende per una soluzione estensiva dell’ombrello applicativo della fattispecie di subornazione, quando accerta la logicità della sentenza di merito che ritiene integrato il reato anche nel caso di offerta c.d. indiretta, siccome rivolta ad un soggetto intermediario non direttamente coinvolto nelle sequele testimoniali, tuttavia in grado di poter prendere contatto ed influenzare le costituende deposizioni processuali di un individuo terzo a questi confidenzialmente legato. Il dubbio sta nella rilevanza da riconoscere a quell’area ibrida costituita dalla relazione amicale fra individuo c.d. mediano e soggetto passivo della condotta subornatrice e al giudizio su come l’articolazione oggettiva interna alla fattispecie di subornazione consenta di ricomprendere la suddetta tipologia di offerta. La soluzione della Cassazione è incerta? In realtà la Cassazione in commento non indaga la pura oggettività della norma, che prescrive una relazione causale diretta – fra offerta e soggetto passivo della subornazione – mirante ad inquinare le maturazioni probatorie. Sovrappone piuttosto le verifiche in punto di consistenza psicologia degli imputati – evidentemente certi di poter influenzare colui che avrebbe testimoniato -, acquisendo addirittura dal comportamento processuale degli avvocati imputati un forte indizio sintomatico della forza dell’offerta avanzata e dunque della loro piena fiducia nel successo del tentativo corruttivo. Tuttavia sta nel tessuto della norma il limite di siffatta impostazione, siccome questa postula una relazione diretta, non interrompibile dalla frapposizione di elementi fisici ulteriori, nel caso costituiti dall’intercessione necessaria di un soggetto terzo portatore dell’offerta originaria. A meno che, all’interno di questa relazione indiretta, il nesso causale fra i due soggetti passivi della subornazione, quello mediato e quello finale, si presenti come ragionevolmente certo ed univoco – per la forza, ad esempio, della relazione amicale o professionale - sì da restituire a quella relazione il ruolo autenticamente letterale e costitutivo – in senso oggettivo - della fattispecie. Ancora sui limiti della soluzione la coperta troppo corta delle imputazioni penali. Più chiaramente la Cassazione cerca di chiudere il cerchio salvando l’agente c.d. mediato, perché di fatto non ha avanzato l’offerta c.d. indiretta al soggetto passivo della subornazione, calando le scure delle sanzioni penali su coloro che hanno avanzato quella offerta. Come accennato appare precario il sillogismo giudiziario che la sostiene. Per superare l’ermetismo della fattispecie della subornazione, la quale richiede l’immediatezza – o la diretta relazione – della comunicazione dell’offerta fra agenti e soggetto passivo/testimone, l’unica via possibile - a cui la Corte non accenna limitandosi ad argomentare in punto di elemento soggettivo – è definire la più ampia relazione causale fra agenti principali, agente c.d. mediato e soggetto passivo della subornazione, nei termini di una ragionevole certezza di consequenzialità. Appare altrimenti inevitabile lo scollamento con i rigori testuali dell’art. 377 c.p La Cassazione condanna gli agenti, nega tuttavia la premessa necessaria a siffatto giudizio di reità, nega ossia che l’agente c.d. mediato ha rivolto l’offerta al futuro testimone del celebrando processo, chiudendo in radice la possibilità di quella stretta consequenzialità. Parrebbe più corretto derubricare quel tentativo di condotta corruttiva ad un mera istigazione non accolta, limitando le pur dovute censure a profili di tipo deontologico e professionale. Un rilievo processuale, la sanzione per violazione delle garanzie difensive tutela solo il dichiarante. La Cassazione ritiene che le dichiarazioni del c.d. soggetto mediato, anche se ritenute rese in violazione delle garanzie difensive art. 63 c.p.p. – attivabili perché almeno astrattamente configurabile a suo carico una ipotesi di concorso in reità - , siano comunque pienamente utilizzabili nei confronti dei terzi imputati/avvocati. Sostenevano questi ultimi che per configurare il reato di subornazione occorre l’integrazione del requisito della relazione diretta – inclusiva, eventualmente, delle forme di una relazione indiretta, quando questa certamente conduce all’offerta corruttiva nei confronti del soggetto passivo -. Nel caso il soggetto c.d. mediato sarebbe agente attivo e secondario di una condotta subornatrice a concorso necessario, con dovuta applicazione delle relate premure previste dall’art. 63 cit., attivabili anche in caso dell’insorgenza di un mero sospetto di reità. Senza entrare nel merito delle diffuse prassi d’indagine che spesso omettono di compiere i dovuti avvertimenti, occorre brevemente isolare un punto di analisi. La Cassazione aderisce a quell’orientamento che fa della garanzia prevista un presidio a tutela del solo dichiarante escludendo, per ciò solo, che l’eventuale ravvisata violazione della norma possa travolgere le dichiarazioni rese a carico di soggetti terzi – nel caso, gli avvocati imputati -. Ne segue che anche laddove ci sia una mera ipotesi di indizio di reità a carico del dichiarante – e nel caso di cui è commento parevano esserci almeno intuitivamente le condizioni – la Procura avrebbe dovuto attivare le garanzie ex art. 63 cit. Questa violazione comunque non giova agli imputati, per la Cassazione quella normativa non è redatta nel loro interesse di soggetti terzi bensì nell’interesse del solo dichiarante agente c.d. mediato, e quelle dichiarazioni manterrebbero dunque efficacia erga alios pienamente avanzabili nei loro confronti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 – 17 gennaio 2012, n. 1709 Presidente De Roberto – Relatore Citterio Ragioni della decisione 1. Gli avvocati G C. e F N. e la signora M B. sono stati condannati dai due Giudici del merito per concorso nel reato di cui all'art. 377 c.p. consumato in omissis . Secondo quanto ricostruito dai primi Giudici, in tal giorno i due legali, difensori della B. in un processo penale per circonvenzione di incapace in danno di Bo.Li., poi deceduta lasciando quale unica erede la stessa B. , e appropriazione indebita, si erano presentati in ospedale al Dott. R T., cardiologo della B. , per fargli sottoscrivere dichiarazione già predisposta attestante che la paziente era pienamente in grado di intendere e volere. Analoga dichiarazione era stata tempo prima chiesta, senza esito, dalla stessa B Dopo il rifiuto argomentato del Dott. T., i due gli avevano chiesto informazioni sul Dott. V.A., medico curante della donna e suo amico, il quale svolgeva la propria attività in un ambulatorio dei cui locali era proprietaria la Bo Nel corso del colloquio, in particolare, i due avevano lasciato chiaramente intendere - secondo il narrato del T. - che se V. avesse alleggerito il contenuto di precedenti dichiarazioni già rese in istruttoria e sfavorevoli alla B. al momento della visita era fissato il dibattimento e il pubblico ministero aveva già indicato il Dott. V. nella propria lista ci avrebbe guadagnato l'ambulatorio. 2. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze in data 25.9.2009 ricorrono i tre imputati, mediante i rispettivi difensori. 3. La B. avv. Ventura e Polcri propone due motivi - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto dell'affermazione di responsabilità della donna con il ruolo di mandante. - erronea applicazione dell'art. 377.1 c.p., perché l'attivazione del Dott. T. verso il Dott. V. sarebbe stata frutto di determinazione autonoma e non sollecitata dagli imputati, e non sarebbe corretto argomentare” che T. non si sarebbe reso conto delle implicazioni processuali specifiche del contesto. 3.1 Il ricorso è inammissibile, perché i motivi sono del tutto generici, limitandosi ad accennare ad alcune tematiche probatorie, con affermazioni solo assertive, senza alcun confronto argomentativo con le specifiche ed analitiche affermazioni della sentenza d'appello, in particolare a p. 10 e 11 confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 c.p.p., perché la sua funzione tipica è proprio e solo quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso Sez. 6, sent, 20377 dell'11.3-14.5.2009 e Sez. 6, sent. 22445 dell'8 - 28.5.2009 . Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende. 4. Gli imputati C. e N. , con unico atto del comune difensore, deducono i seguenti motivi - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla ricostruzione del fatto, perché in definitiva la Corte distrettuale avrebbe innanzitutto fondato la decisione su un apprezzamento personale del T. che esulerebbe dall'ambito dell'art. 194.3 c.p.p., perché il teste ha dichiarato anche di non ricordare le parole effettivamente pronunciate dai ricorrenti, e, poi, si sarebbe contraddetta attribuendo al T. il ruolo di longa manus inconsapevole della pendenza penale pur avendo questi dichiarato che i due si erano a lui presentati proprio come difensori della B. , comunque argomentando ulteriormente tale inconsapevolezza solo in termini tautologici e con travisamento della prova sul punto della prevedibilità del successivo contatto tra T. e V. , dopo la visita dei legali al primo - erronea applicazione dell'art. 377.1 c.p. in riferimento alla ed offerta indiretta e, in subordine, inutilizzabilità delle dichiarazioni del T. ex art. 63 c.p.p., perché l'accusa presupporrebbe necessariamente il ruolo concorsuale del T. , ma nei rapporti tra i legali e T. sarebbe configurabile, per le stesse affermazioni del secondo, solo un'istigazione non accolta, essendo il successivo contatto con V. solo esito di autonoma determinazione del medesimo T. . In ogni caso mancherebbe prova del dolo di istigazione, anche per il ricorso della Corte distrettuale al termine di prevedibilità del successivo contatto, e, comunque, in caso di istigazione dolosa accolta le dichiarazioni di T. sarebbero inutilizzabili ex art. 63 c.p.p., posto che questi era stato esaminato due settimane dopo essere stato già indicato da V. come la persona che era stata incaricata di riferirgli la proposta corruttiva - violazione dell'art. 37 c.p. in ordine alla durata della pena accessoria inflitta e omessa motivazione della Corte distrettuale sul punto pur tempestivamente eccepito nell'atto di appello. 4.1 Il primo motivo è manifestamente infondato. La Corte distrettuale ha ben spiegato perché il mancato ricordo di T. in ordine alle parole specifiche pronunciate dai due avvocati imputati è irrilevante ad escludere l'affidabilità del ricordo puntuale del senso univoco del discorso da loro fatto, che metteva con certezza inequivoca in collegamento il contenuto di precedenti dichiarazioni con la possibilità di ottenere la piena disponibilità dell'ambulatorio dove svolgeva attività professionale p. 6 motivazione, 7, 8 e dichiarazioni teste S. p. 10 . Le deduzioni della difesa sul punto sono pertanto volte ad una rivalutazione del fatto preclusa in questa sede. In particolare, poi, quanto alla inconsapevolezza del Dott. T. la Corte fiorentina ha affermato cosa diversa da quanto attribuitole dai ricorrenti che in realtà evidenziano una potenziale contraddizione interna alle sommarie informazioni rese dal teste, che producono a sostegno del loro assunto , spiegando che solo dopo aver parlato con il Dott. V. ed avere appreso compiutamente del suo ruolo nel processo, nonché dell'effettivo contenuto delle sue precedenti dichiarazioni in relazione anche ai precedenti suoi contatti e rapporti con la B. ed alle profferte di quest'ultima, aveva compreso a pieno il senso corruttivo della prospettazione ricevuta dai due avvocati. Ed anche questo è apprezzamento di merito non incongruo ai dati riferiti e sorretto da motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che soli rilevano ai sensi dell'art. 606.1 lett. E c.p.p Le deduzioni della difesa sul punto finiscono pertanto per sollecitare la rivalutazione del fatto attraverso la rilettura del materiale probatorio, preclusa in questa sede. E sempre al fatto attengono le censure alle argomentazioni della Corte distrettuale relative all'assenza di contatti successivi tra i due legali e il dottor T. o il dottor V. ed alle modalità con cui si svolse il controesame di quest'ultimo da parte dell'avv. C. l'apprezzamento della Corte fiorentina nuovamente non è incongruo ai dati riferiti ed è immune dai due soli rilevanti vizi logici. Il che rileva ad attestare l'infondatezza anche dell'ultima deduzione del motivo, avendo in realtà la Corte distrettuale spiegato e ritenuto il concorso tra i due legali e la B. con specifiche argomentazioni, che richiamano il precedente consapevole e conosciuto rapporto diretto tra le due donne ed i due medici, nel quale va inserito il contatto dei due avvocati con il Dott. T. anche in ordine alla proposta destinata obiettivamente al Dott. V. , che riprendeva quanto la B. allo stesso Dott. V. aveva già maliziosamente prospettato. Il secondo motivo è in parte diverso da quelli consentiti ed in parte manifestamente infondato. In definitiva il Giudice d'appello ha spiegato, con puntuale riferimento agli atti - per ogni affermazione - e con apprezzamento complesso ed unitario del materiale probatorio, che il parlare con T. , una volta ricevuto il suo diniego alla sottoscrizione della dichiarazione già predisposta con condotta comunque in sé contraria alle regole sulle indagini difensive , di V. e del contesto dell'ambulatorio era sul piano logico inequivoco riscontro della veridicità dell'assunto del teste, e che proprio la reazione dell'avv. C. in sede di controesame dibattimentale del V. costituiva riscontro logico delle aspettative specifiche ben diverse del legale su quanto V. avrebbe dovuto dire, il che confermava l'effettiva ed efficace intenzione dei due imputati di giungere a V. tramite T. . Quindi un approccio dei primi due al secondo nella consapevolezza - insieme con la B. - dei rapporti di conoscenza ed esperienza professionale ed anche amicale tra il secondo ed il terzo, pure in specifico riferimento alla defunta B. la prospettazione di un collegamento tra il contenuto delle dichiarazioni che V. avrebbe potuto fare e la successiva piena disponibilità dell'ambulatorio la acquisizione, da parte di T. , della consapevolezza del carattere corruttivo di tale prospettazione solo dopo aver parlato con V. e dopo quindi che questi lo aveva reso pienamente a conoscenza di quanto già avvenuto anche in ordine alle precedenti profferte della B. proprio relative all'ambulatorio . Si tratta di un complessivo apprezzamento di merito articolato, che i ricorrenti vorrebbero fosse vanificato da una rilettura del materiale probatorio invece preclusa, rilettura necessaria per fondare anche l'eccezione in rito che infatti è stata coerentemente disattesa dalla Corte del merito che ha espressamente giudicato insussistente ogni possibile dolo concorruttivo del T. , il che rende irrilevanti le questioni in rito proposte sul ruolo di questi . 4.2 il terzo motivo è fondato. L'ultimo comma dell'art. 377 c.p. dispone che la condanna per questo reato importa l'interdizione dai pubblici uffici, senza indicare preventivamente l'entità specifica della durata né un minimo ed un massimo della stessa diversi da quelli indicati in via generale dall'art. 28 penultimo comma c.p Nella fattispecie doveva perciò trovare applicazione l'art. 37, con la conseguente determinazione della durata di tale pena accessoria nella misura di un anno. Trattandosi di conclusione imposta dalla norma e priva di alcuna discrezionalità, ad essa può provvedere direttamente questa Corte suprema, ai sensi dell'art. 620.L c.p.p Consegue pertanto, quanto a questi due ricorrenti, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla durata della pena accessoria con la sua rideterminazione come da dispositivo, con il rigetto dei ricorsi nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di G C. e F N. limitatamente alla durata della pena accessoria, che ridetermina in un anno. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Dichiara inammissibile il ricorso di M B. , che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.