Il compenso del professionista pare eccessivo, ma la sovrafatturazione va provata

Annullato il sequestro preventivo disposto contro due soci accusati di aver gonfiato delle fatture perché, anche se il prezzo pagato eccede quello di mercato, è necessario dimostrare l’intento di costituire elementi passivi fittizi per la società.

In materia di misure cautelari reali non è consentito in sede di legittimità verificare la sussistenza del fatto-reato, ma solo accertare se il fatto contestato è configurabile come fattispecie astratta del reato nei termini di sommarietà tipici della fase delle indagini preliminari, potendo essere proposto ricorso per Cassazione solo per violazione di legge. Così afferma la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 920/12, depositata il 13 gennaio scorso. Il caso. Due titolari di una s.n.c. danno incarico ad un professionista di realizzare un sito internet per la società. Il compenso corrisposto pare però decisamente esoso. Per i due scatta così l’accusa di aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti al fine di poter inserire componenti negative nella dichiarazione dei redditi. Il p.m., ravvisato il fumus delicti, chiede allora che venga disposto il sequestro preventivo di alcune somme rilevanti sui conti intestati agli indagati e il G.i.p. si pronuncia per l’accoglimento. Non si tratta di operazione inesistente. L’avvocato dei due impugna il decreto di sequestro sostenendo l’insussistenza del fumus delicti e rilevando che, trattandosi di una prestazione di natura intellettuale, non è possibile operare una rigida valutazione di congruità e non si può procedere con un confronto coi costi di mercato. Il servizio, poi, è stato effettivamente reso e il denaro è dunque realmente il compenso per il lavoro svolto. Il Tribunale accoglie il ricorso e dispone il dissequestro ritenendo, tra l’altro, che l’ipotesi di fatture gonfiate non fosse assumibile nella fattispecie disciplinante le operazioni inesistenti. Il p.m. ricorre allora in Cassazione. Per la dichiarazione fraudolenta non è necessaria la falsità ideologica, basta quella materiale. Per prima cosa, la Suprema Corte ricorda come, secondo quanto già espresso in altre sentenze, l’utilizzo di fatture che siano false sotto il profilo materiale è sufficiente ad integrare il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di documenti per operazioni inesistenti, non essendo necessaria la falsità sotto il profilo ideologico. Nel giudizio di merito è stato dunque commesso un errore. Il Tribunale però, pur ritenendo eccessivo il compenso corrisposto al professionista, ha concluso che non ci fossero indizi sufficienti e gravi per ritenere che i soggetti abbiano posto in essere una sovrafatturazione mirata a costituire elementi passivi fittizi per la società. In materia di misure cautelari reali la Cassazione non può verificare la sussistenza del fatto-reato. In questo caso si tratta di una valutazione di merito che, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità. Del resto la Corte ricorda che in materia di misure cautelari reali, e segnatamente di sequestro preventivo, non è consentito in sede di legittimità verificare la sussistenza del fatto-reato ma, solo accertare se il fatto contestato è configurabile come fattispecie astratta del reato nei termini di sommarietà tipici della fase delle indagini preliminari, potendo essere proposto ricorso per Cassazione solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice . Nel caso di specie, la motivazione con cui il Tribunale ha ritenuto in punto di fatto che la prestazione dei servizi è effettivamente stata resa è sufficiente e non contraddittoria e il ricorso va dunque rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 dicembre 2011 – 13 gennaio 2012, n. 920 Presidente Petti – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Con decreto del 14 marzo 2011 il G.i.p. Presso il Tribunale di Trieste accoglieva la richiesta del Pubblico Ministero e disponeva a carico degli indagati B.G. e B.F. il sequestro preventivo di somme pari ad Euro 74.079,00 e di Euro 104.609,00 sui conti intestati o cointestati ad essi medesimi ravvisando il fumus delicti del reato contemplato del’art. 2 del d.lvo 74 del 2000 inserimento nella dichiarazione dei redditi di componenti negative di reddito attraverso l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti . Nell’ordinanza si dava atto che le fatture rilasciate da G.M. alla ditta Antonio Bosco & amp C. snc apparivano gonfiate in quanto il costo fatturato della prestazione, laddove fosse stata eseguita, sopravanzava il costo reale della medesima. 2. Avverso il decreto di sequestro il difensore proponeva impugnazione in particolare deducendo l’insussistenza del fumus delicti e le evidenziando che la prestazione di natura intellettuale richiesta dai B. al G. sfuggiva ad una rigida valutazione di congruità e non poteva perciò essere confrontata con i costi di mercato. Le somme contestate erano poi effettivamente transitate per cassa dai B. al G. , il quale aveva regolarmente svolto la sua attività di consulente informatico catturando il compenso a lui spettante. Il tribunale di Trieste con ordinanza del 7 aprile 2011 - 8 aprile 2011 accoglieva il ricorso e annullava l’ordinanza impugnata disponendo di dissequestro delle somme suddette. 3. Avverso questa pronuncia il procuratore della Repubblica presso il Trieste propone ricorso per cassazione con due motivi. Motivi della decisione 1. Con il ricorso, articolato in due motivi, il procuratore della Repubblica ricorrente denuncia la errata applicazione dell’art. 1, lettera a , del d.lgs. n. 74 del 2000. Deduce in particolare che il tribunale ha errato in quanto ha ritenuto che l’ipotesi delle cosiddette fatture gonfiate non sia assumibile nella fattispecie dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000. Infatti la nozione di fattura per operazioni inesistente comprende anche l’ipotesi della cosiddetta sovrafatturazione. 2. Il ricorso è infondato. Va considerato che in diritto la tesi del procuratore della Repubblica ricorrente è corretta avendo questa corte Cass., sez. 3^, 9 febbraio 2011 - 10 marzo 2011, n. 9673 ha affermato - e qui ribadisce - che integra il reato di cui all’art. 2, comma primo, del D.Lgs. n. 74 del 2000 e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, l’utilizzo, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente. Nella specie però il tribunale di Trieste, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha ritenuto in punto di fatto che la prestazione di servizi, di cui si dibatte, è effettivamente stata resa dal percettore della somma fatturata in favore degli indagati, titolari della ditta Antonio Bosco & amp C. s.n.c. per la realizzazione di un sito Internet in favore della società. Il tribunale ha anche espresso riserve sulla congruità del compenso corrisposto al professionista che tale sito Internet aveva realizzato, ritenendo in sostanza l’esosità dello stesso. Però ha anche affermato che non vi sono sufficienti e gravi indizi per ritenere una sovrafatturazione mirata a costituire elementi passivi fittizi per la società. È questa una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità essendo l’ordinanza del tribunale impugnabile soltanto per vizio di violazione di legge. Va ribadito in proposito quanto più volte affermato da questa corte ex plurimis Cass., sez. 2^, 25 febbraio 2009, n. 8587 secondo cui in materia di misure cautelari reali, e segnatamente di sequestro preventivo, non è consentito in sede di legittimità verificare la sussistenza del fatto-reato ma, solo accertare se il fatto contestato è configurabile come fattispecie astratta del reato nei termini di sommarietà tipici della fase delle indagini preliminari, potendo essere proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 325, 1 comma, c.p.p., solo per violazione di legge. Cfr. anche Cass., sez. 5^, 13 ottobre 2009, n. 43068, che parimenti che ha affermato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. 3. Pertanto il ricorso va rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.