I rapporti imposti alla convivente possono essere violenza sessuale

Gravissime accuse a carico di un uomo, poi alleggerite in Appello. Ma la questione si riapre, perché gli episodi raccontati dalla donna attestano una violenza sessuale inquadrabile come ritorsione dettata dalla convinzione del tradimento. Per questo, i rapporti, caratterizzati da percosse e offese, non possono essere considerati come consensuali.

Convivenza caratterizzata da sesso a ‘tinte forti’, accompagnato da offese e percosse. È legittimo parlare di violenza sessuale. Soprattutto se i rapporti vengono imposti – come in questa vicenda – come azione ritorsiva, dettata da una gelosia ossessiva Cassazione, sentenza numero 619/2012, sezione Terza Penale, depositata oggi . Fuitina. La scelta, rivelatasi poi errata, di una ragazza di andare a convivere con un uomo. Rapporti, affettivi e sessuali, normali. Fino a quando la gelosia del compagno non esplode La convinzione del tradimento, infatti, lo rende violento e ossessivo. Gli effetti? Tra l’altro, percosse, rapporti sessuali imposti con la forza, e addirittura appartamento chiuso a chiave per impedire alla donna di uscire. Quali reati? Eppure, nonostante tutto ciò, la Corte d’Appello, riformando la sentenza del Tribunale, condanna l’uomo solo per il reato di lesioni personali aggravate, comminandogli una pena di 6 mesi di reclusione. Assoluzione invece per i reati di violenza sessuale e sequestro di persona, che, in primo grado, avevano portato a decretare 7 anni e 6 mesi di reclusione. Per i giudici d’Appello, difatti, si evidenzia, anche dalle parole della vittima, un legame tra gli atti violenti dell’uomo e la sua gelosia , ma si esclude che le condotte, riguardanti l’aspetto sessuale, abbiano superato i limiti propri di un rapporto di reciproca attrazione . E, peraltro, secondo la ricostruzione dei fatti, l’appartamento utilizzato dalla coppia aveva a disposizione una porta secondaria, che avrebbe potuto consentire alla donna di fuggire in qualsiasi momento. Secondo la visione complessiva della pronuncia d’Appello è probabile che la giovane, stanca della gelosia e delle violenze, abbia deciso di rientrare presso i genitori ed abbia rafforzato l’immagine di vittima del convivente, anche mediante un racconto delle relazioni sessuali che mettesse in evidenza l’aspetto violento delle pretese e la propria impossibilità di opporsi . Geloso e violento. Durissime, ovviamente, le contestazioni mosse, sia dal Procuratore Generale che dalla vittima, alla sentenza d’Appello, con ricorso per cassazione. Obiettivo riaffermare la correttezza della ricostruzione effettuata dal Tribunale, e, quindi, la legittimità della dura condanna emessa in primo grado nei confronti dell’uomo. E le contestazioni trovano pieno accoglimento tra i giudici di Cassazione, per i quali la pronuncia di secondo grado presenta evidenti e gravi vizi logici , tanto da doverla annullare e rimettere la questione nuovamente nelle mani della Corte d’Appello. Su quali basi si fonda questa decisione? Soprattutto sulla considerazione che è un errore ritenere che le ragioni di gelosia impediscano di qualificare le aggressioni della sfera sessuale come reato , anzi, au contraire , secondo i giudici, poiché il reato di violenza sessuale è caratterizzato dal dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di offendere la sfera e la dignità sessuale della persona offesa , esso è inquadrabile anche come ritorsione dettata dalla gelosia . Peraltro, proprio le dichiarazioni della vittima – che non possono essere considerate credibili ‘a targhe alterne’ – attestano che l’uomo dopo aver maturato la convinzione di un tradimento da parte della convivente, le abbia imposto ripetuti atti sessuali agendo con violenza e contro la sua volontà Di rimando, quindi, non hanno fondamento le valutazioni, in Appello, sulla presunta decisione della ragazza di estremizzare il racconto delle violenze subite per rafforzare il proprio ruolo di vittima e per salvaguardare la propria immagine pubblica. E, allo stesso tempo, non è comprensibile, secondo i giudici di piazza Cavour, l’affermazione che i rapporti sessuali narrati dalla vittima possano essere compiuti consensualmente, anche se accompagnati da una apparente violenza , perché gli episodi raccontati possono essere ritenuti falsi e calunniosi, ma in nessun modo riconducibili alla sfera del consenso .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 ottobre 2011 – 12 gennaio 2012, numero 619 Presidente Ferrua – Relatore Marini Rileva Con sentenza emessa dal Tribunale di Catania il 12 Febbraio 2007 il Sig. L. è stato condannato alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile perché ritenuto colpevole dei reati di violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni personale aggravate. reati cui è stata applicata la continuazione in relazione ai plurimi episodi commessi fino al 16 Novembre 2002. Il Tribunale ha ritenuto attendibili le accuse mosse dalla parte civile al proprio convivente e considerato provato che nei giorni 5, 6 e 11 novembre 2002, di poco successivi all'inizio della convivenza databile al 16 Ottobre 2002 iniziata contro la volontà della famiglia della ragazza, costui la abbia costretta a subire rapporti sessuali cui ella aveva manifestato dissenso e che la violenza posta in essere dall'imputato istituisca la causa delle lesioni personali accertate. Parimenti, il Tribunale ha ritenuto provato che la persona offesa venne trattenuta presso l'abitazione contro la sua volontà sia mediante la chiusura a chiave della porta dell'abitazione sia a causa del timore di reazioni ancora più violente dell'imputato. Avverso tale decisione il Sig. L. ha proposto appello contestando la sussistenza degli estremi dei reati. La Corte territoriale ha ritenuto provate le condotte violente come causa delle lesioni personali, ma ha escluso che sussistano prove sufficienti dei reati di violenza sessuale e di sequestro. Quanto al reato previsto dall'articolo 609- bis c.p., i giudici di merito hanno ritenuto che dalle stesse parole della persona offesa può ricavarsi un legame tra gli atti violenti dell’imputato e la sua gelosia, così escludendosi finalità di natura sessuale, e valutato che non vi sono elementi certi per affermare che le condotte dell'imputato abbiano superato i limiti propri di un rapporto di reciproca attrazione, mentre non può essere escluso che la persona offesa abbia sottolineato l'elemento della costrizione per ragioni di pudore rispetto alla natura degli atti sessuali compiuti. Del resto. il fatto che ella abbia riferito ad all’amica delle violenze fisiche subite ma non della costrizione a subire atti sessuali costituisce elemento significativo in senso favorevole alla versione difensiva. Quanto al reato previsto dall'articolo 605 c.p., la lamentata impossibilità della persona offesa di allontanarsi non trova riscontro nella presenza di una porta secondaria chiusa solo in modo sommario da cui ella avrebbe potuto allontanarsi nonostante la chiusura a chiave della porta principale dell'appartamento né la Corte territoriale trova ragionevole la dichiarazione secondo cui ella aveva timore di lasciare l'appartamento per timore delle più gravi reazioni del convivente. Del resto, le dichiarazioni dei testi G., G., C. e del m.llo V. non confortano l'immagine di una ragazza costretta a subire convivenza e condotte violente dell'imputato. In conclusione, la Corte di Appello considera probabile che la giovane, stanca della gelosia e delle violenze, abbia deciso di rientrare presso i genitori ed abbia rafforzato l'immagine di vittima del convivente anche mediante un racconto delle relazioni sessuali che mettesse in evidenza l'aspetto violento delle pretese la propria impossibilità di opporsi. Avverso tale decisione ricorrono sia il Procuratore Generale presso la Corte sia la parte civile. Il Procuratore Generale in sintesi lamenta 1. vizio di motivazione ex articolo 606. lett. e c.p.p. per avere i giudici di appello rovesciato” l'ampia motivazione del Tribunale ricorrendo a congetture e veri e propri teoremi che si prestano ad un giudizio di illogicità e di non corrispondenza alle risultanze processuali. In particolare, l'affermazione di una mancata correlazione tra le violenze e gli atti sessuali, con relazione che sarebbe per la Corte annullata dalle ragioni di gelosia, risulta smentita dalla stessa Corte allorché immediatamente dopo parla di apparente violenza” gli schiaffi connaturata alla tipologia di rapporti sessuali. In secondo luogo, la riconducibilità dei fatti alla sola attrazione sessuale tra i conviventi è frutto del mancato esame da parte della Corte delle dichiarazioni della persona offesa, la quale ha spiegato il rapido deteriorarsi dei rapporti proprio a seguito de-lle violenze subite, come puntualmente ricostruito dalla prima sentenza pag.27 2. vizio di motivazione ex articolo 606. lett. e c.p.p. per avere i giudici. di appello travisato le dichiarazioni della persona offesa in relazione alle condotte di violenza sessuale così da giungere infondatamente a correlare le minacce e le violenze dell'imputato a sole ragioni di gelosia e da attribuire alla persona offesa una finalità di tutela della propria onorabilità che l'avrebbe spinta a cercare giustificazioni conclusioni logicamente incompatibili con le dichiarazioni della donna riportate alle pagg. 6 e 7 del ricorso 3. vizio di motivazione ex articolo 606, lett. e c.p.p. per avere i giudici di appello travisato le dichiarazioni della persona offesa e dei verbalizzanti con riferimento al reato di sequestro di persona. In modo del tutto arbitrario la Corte afferma che la scelta di chiudere a chiave la porta di ingresso rispondesse al desiderio dell'imputato di tutelare la convivente dalle eventuali visite dei familiari che ella stessa non desiderava. Altrettanto arbitraria è l'ipotesi che la giovane potesse allontanarsi utilizzando una porta secondaria, ipotesi incompatibile con le dichiarazioni rese in udienza dal m.llo C. 4. vizio di motivazione ex articolo 606, lett. e c.p.p. per avere i giudici di appello per avere complessivamente ricostruito i fatti con passaggi logicamente illogici, non fondati sulle risultanze probatorio e addirittura contrastanti con le dichiarazioni della persona offesa, con il risultato di operare una ricostruzione congetturale priva di solidi fondamenti negli atti. La Parte civile tramite il Difensore propone ampi motivi di ricorso, sintetizzabili come segue 1. Vizio di motivazione in relazione al n ato ex articolo 609- bis c.p. A fronte delle chiare parole della sentenza del Tribunale, che riconosce la non veridicità di alcune affermazioni dell’imputato e dichiara ben più credibile” la versione della persona offesa pagg. 25-27 , la Corte di Appello opera un travisamento del chiaro contenuto delle dichiarazioni di costei in particolare attribuisce i rapporti sessuali ad una attrazione reciproca e ad una comune volontà che sono incompatibili con il crudo racconto delle violenze sessuali subite e dimostra di non comprendere le ragioni per cui la giovane parlando con la Sig.ra G., amica del convivente, parlò delle percosse, i cui effetti erano visibili, ma non delle violenze sessuali 2. Vizio di motivazione in relazione al reato ex articolo 605 c.p. avendo la Corte a omesso di considerare che dagli atti emergono due distinti periodi di convivenza uno caratterizzato da normali e consensuali relazioni ed un secondo, iniziato il 5 novembre. in cui la convinzione del tradimento spinge l'imputato a condotte sempre più violente e umilianti b del tutto ingiustificatamente affermato che la chiusura a chiave dell'ingresso fosse voluta dall'imputato per proteggere la convivente da visite dei familiari che ella stessa non desiderava, spiegazione che contrasta con le stesse dichiarazioni dell'imputato pagg. 23 e 26 dell'interrogatorio del 1° febbraio 2003 secondo cui egli temeva che la convivente potesse denunziarlo per le lesioni subite c in modo contrastante con le dichiarazioni del m.llo C., la Corte ritiene esistente una porta secondaria da cui la ragazza avrebbe potuto fuggire d errate sono poi le conclusioni in fatto che la Corte ha desunto dalle dichiarazioni delle testi G. e C. ricorso. pagg. 9-11 senza in alcun modo affrontare la diversa e puntuale lettura che di quelle dichiarazioni ha dato il Tribunale pag. 29 e del tutto incoerenti risultano, infine, una serie di passaggi motivazionali della sentenza di appello che la ricorrente illustra dettagliatamente alle pagg. 14 e 15. Osserva La motivazione della sentenza impugnata presenta evidenti e gravi vizi logici che impongono l'annullamento della decisione e il rinvio alla Corte di Appello per una nuova valutazione. Come ricordato in apertura del ricorso del Procuratore Generale, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ricordato che in caso di riforma della sentenza appellata la Corte d'Appello deve procedere ad una puntuale e articolata illustrazione delle ragioni che conducono alle diverse conclusioni, in c iò facendosi carico di motivare in modo logico e coerente le valutazioni che sostengono i passaggi essenziali della decisione. Ora, non vi è dubbio che la sentenza del Tribunale di Catania ha rivelato una particolare cura motivazionale e ha affrontato in modo articolato gli snodi della vicenda, muovendo dal giudizio di credibilità della versione offerta dalla persona offesa ed esaminando in modo critico il testimoniale addotto dall'accusa e dalla difesa. A fronte di questa puntuale motivazione della prima sentenza. la Corte di Appello giunge ad affermare che le dichiarazioni della persona offesa non sono credibili quando ricostruiscono le violenze sessuali e la segregazione domiciliare, mentre sono credibili quando ricostruiscono le percosse subite e le lesioni che ne sono conseguite. Tale impostazione della sentenza di Appello si fonda su alcuni passaggi motivazionali che presentano evidenti vizi di coerenza rispetto al materiale processuale e una manifesta illogicità, non impropriamente ricondotta dal Procuratore generale alla categoria del ''teorema privo di sostegno probatorio. Osserva in sintesi questa Corte 1. costituisce errata applicazione della legge penale e risulta caratterizzata da vizio logico la parte della motivazione in cui la Corte territoriale ritiene che le ragioni di gelosia impediscano di qualificare le aggressioni della sfera sessuale come reato ex articolo 609- bis c.p. perché difetterebbe in capo ali'imputato la specifica finalità richiesta dalla fattispecie legale. Come la giurisprudenza ha avuto modo di affermare ripetutamente. il delitto previsto dall’articolo 609- bis c.p. è caratterizzato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di offendere la sfera e la dignità sessuale della persona offesa, non occorrendo l'ulteriore finalità di soddisfacimento del desiderio dell’autore per tutte si veda la sentenza di questa Sezione. numero 21336 del 2010. rv 247282 . In altri termini, commette violenza sessuale anche colui che imponga rapporti alla vittima per finalità di vendetta o di umiliazione o di affermazioni di supremazia o, come nel caso in esame, come ritorsione dettata da gelosia. 2. La lettura delle dichiarazioni della persona offesa, come riportate in atti. non lasciano dubbi circa il fatto che, dopo aver maturato la convinzione di un tradimento da parte della convivente, l'imputato !le abbia imposto ripetuti atti sessuali agendo con violenza e contro la sua volontà. Tali dichiarazioni e il contesto probatorio esaminato puntualmente dai primi giudici non rendono comprensibile su quale base la Corte di appello affermi pag. 1 della motivazione che il racconto della violenza dell'imputato in occasione degli atti sessuali trovi ragione nella volontà della donna di non dare di sé un immagine da lei ritenuta moralmente disdicevole” non si ravvisa, infatti, in motivazione quale sia la fonte del giudizio di riprovevolezza morale che la dichiarante avrebbe avuto di se stessa e della propria condotta. Sul punto la Corte rileva l'assoluta illogicità del ragionamento dei giudici di appello qualora la ragazza avesse voluto limitarsi ad accreditare la propria posizione di vittima priva di margini di scelta, non aveva alcuna necessità di narrare delle congiuzioni orali e anali, di cui nessun altro, se non lei era a conoscenza, e sarebbe stato sufficiente fare riferimento a normali rapporti sessuali compiuti sotto minaccia o violenza. In altri termini. questa Corte ritiene privo di coerenza logica e, addirittura, paradossale l'ipotesi che per difendere la propria immagine la persona offesa abbia deciso di rendere pubbliche proprio quelle. secondo i giudici di appello inesistenti, forme di relazione sessuale che gli stessi ritengono sconvenienti. 3. L’impostazione della Corte di Appello che pone a carico della persona offesa la distorsione dei fatti al fine di giustificare la relazione a sfondo sessuale appare logicamente incompatibile con un altro dato che emerge dagli atti e che gli stessi giudici di appello danno per acquisito la ragazza ha riferito, ed il fatto era noto a tutti, che la scelta di fuggire da casa con l’imputato era stata libera e che liberamente aveva intrapreso una convivenza more uxorio”, così che non sussiste alcuna ragione per la quale ella potesse pensare di tutelare la propria immagine pubblica ricorrendo ad un racconto secondo cui le violenze erano iniziate qualche tempo dopo l'avvio della vita in comune. 4. Né si comprende su quale base documentale o dichiarativa la Corte territoriale fondi l'ipotesi sempre a pag. 1 che al caso concreto si attagli il principio secondo cui i rapporti sessuali narrati possano essere compiuti consensualmente. anche se accompagnati, eventualmente. da una apparente violenza la c.d vis grata puellis” ”. A tal proposito si deve rilevare che parole della persona offesa descrivono ripetute congiunzioni orali e una congiunzione anale precedute e accompagnate da percosse, violenze e frasi minacciose tale racconto può essere ritenuto falso e calunnioso, ma in nessun caso riconducibile alla sfera del consenso, anche indiretto o presunto. I profili di illogicità e contraddittorietà esposti rendono la sentenza impugnata meritevole di annullamento in ordine alla sola decisione sui reati di violenza sessuale e sequestro di persona, restando invece immune da censure la decisione sul reato di lesioni per la quale non vi è impugnazione. e impongono il rinvio al giudice di merito per un nuovo esame, che terrà conto dei principi fissati con la presente decisione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte dì Appello di Catania.