Per condannare il sanitario occorre ormai una certezza assoluta

Condotta omissiva impropria e danno. Diventa sempre più ostico provare il nesso di causalità.

Un procuratore generale ricorreva avverso una sentenza di merito che aveva pronunciato l’assoluzione nei confronti di una guardia medica, accusata, fra le altre ipotesi, di omicidio colposo. Questi aveva omesso di porre in essere ogni più opportuna iniziativa ad es. taglio cesareo tale da impedire l’aggravarsi di una condizione fetale critica che poi condusse al decesso di un neonato e alla grave menomazione cerebrale del gemello, in entrambi i casi per ipossia. La Cassazione, con la sentenza n. 46472/2011 depositata il 14 dicembre, conferma la sentenza appellata asserendo essa, come si è sopra esposto, è supportata da un lato dalla constata condizione di sofferenza pregressa e dall’altro dall’esigenza, imposta ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità c.d. sentenza Franzese” , che la prognosi in ordine all’effetto salvifico delle condotte omesse sia sostanzialmente certa alla stregua di un giudizio caratterizzato da elevata credibilità razionale . La bussola dell’elevata credibilità razionale. Entrambe le relazioni peritali svolte, la prima nell’incidente probatorio, non hanno consentito di integrare la certezza processuale di un giudizio di colpevolezza nei confronti dell’imputato. Si precisa a far data dal 2002 Sez. Un., 10 luglio , il giudice delle leggi, in ogni caso di verifica processuale del nesso causale fra condotta colposa impropria omissiva – ai sensi dell’art. 40 c.p. – ed evento di danno, ha alzato la soglia della rilevanza penale della condotta colpevole, facendo del maglio dell’elevata credibilità razionale un fattore assolutorio pressocché universale, nei casi degli accertamenti penali caratterizzati da alti indici di complessità. Non si intende nell’occasione entrare nei sottili spazi semantici interni a siffatta lapidaria espressione – evitando dunque di toccarne le spigolose connotazioni filosofiche ed epistemologiche -, di sovente ridotta ad uno stanco refrain da sbrigative sentenze assolutorie. Tuttavia, due punti critici consentono lo sviluppo di ulteriori considerazioni. Una prima difficoltà logica dove opera la concausalità dei fattori preesistenti. La sentenza definisce lo stato fetale patologico preesistente, ben conosciuto dal sanitario al momento del ricovero della partoriente, concausa degli esiti infausti prodotti, tale da interromperne la relazione con l’omissione del sanitario. Al contempo riconosce che siffatto stato patologico avrebbe dovuto motivare un’attenzione particolare da parte del sanitario che avrebbe dovuto porre in essere atti tali da evitare il pericolo di un aggravamento delle condizioni dei neonati. La preesistenza della patologia, in sostanza, opererebbe in senso esimente per l’imputato in punto di accertamento causale, in senso colpevolizzante in punto di elemento rappresentativo e poi volitivo interno all’agente. In verità, in ordine all’integrazione dell’elemento causale nei casi di omesso comportamento salvifico, la concausalità del fattore indipendente va calata sul comportamento omesso e non sulla apparente ed esclusiva relazione fra condizione patologica preesistente ed accadimento nefasto. Ancora più chiaramente, il giudizio contro fattuale richiede la costituzione in forme ipotetiche del comportamento omesso e, solo di seguito, l’indagine della relazione causale di questo con l’evento di danno. Il campo della valutazione causale muta forma ipotetica e scivola sul piano, ovviamente malfermo per la natura stessa del giudizio causale, delle relazioni fra una condotta congetturata ed un evento certo. La condizione patologica preesistente agisce ben prima quando consente di definire la condotta richiedibile ed omessa, sulla base delle conoscenze specialistiche e sanitarie del medico. Non opera, come invece pare dedursi dalla massima in commento in senso confermativo della sentenza di merito appellata, sul campo della relazione causale fra comportamento omesso ed evento. Non può, di seguito, essere assunta ad elemento sintomatico di un giudizio di esclusione causale, in senso esimente per l’imputato, come invece si opera nella sentenza in commento. Non bastano i nudi dati scientifici. A suo tempo, le Sezioni unite citate chiarirono la semantica dell’elevata credibilità razionale. Va intesa in senso processuale, siccome al dato statistico e scientifico – in senso sperimentalista – si lega una valutazione sillogistica e deduttiva, che segue la verifica della sussistenza di altre concause preesistenti tali da interrompere il nesso causale fra condotta omessa ed eventi nefasti. Di seguito andrebbe disposto un giudizio di reità anche laddove l’evento dannoso segue una condotta omissiva, siano assenti cause preesistenti e anche se, da un lato, manchino studi in grado di quantificare scientificamente la relazione causale oppure, dall’altro, questi studi rilevino un grado percentuale di relazione molto distante dalla certezza assoluta. Con la suddetta precisazione le Sezioni Unite intesero recuperare la processualità dell’accertamento penale, svincolandolo dal dominio di logiche puramente scientiste. La sentenza in commento manca in ordine a questo tipo di accertamento, rileva l’insufficienza del grado di certezza che lega omissione agli eventi nefasti prodotti, pur tuttavia concede poco alla valutazione delle concause – si intende alternative a quella di cui al precedente paragrafo -. Sul punto riecheggia, senza affrontarle, le complesse valutazioni peritali di cui ai precedenti gradi del giudizio che pur il Procuratore generale aveva ritenuto deficitarie, proprio in punto di concasualità. La sentenza smentisce, a parere dello scrivente, la centralità del giudizio logico e deduttivo che la più volte citata sentenza delle Sezioni Unite - a scapito del nudo dato statistico ritenuto non bastevole, per i limiti insiti alle risultanze scientifiche – ha ritenuto propedeutico all’integrazione di un giudizio processuale completo e sostenibile. Non si tratta di una giurisprudenza isolata, ormai con costanza i giudici affrontano le criticità dei più complessi accertamenti penali in tema di nesso di causalità spogliandosi del proprio giudizio a favore di quello tecnico – specialistico, smarrendo sul campo il senso della capacità ordinatoria che il giudice mantiene anche nel caso di una istruzione dall’alto indice di complessità.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 ottobre – 14 dicembre 2011, n. 46472 Presidente D’Isa – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. Il Tribunale di Marsala ha affermato la responsabilità di A.L. in ordine al reato di cui all'art. 589, comma 3, cod. pen. ed ha dichiarato non luogo a provvedere sulla domanda risarcitoria avanzata dalle parti civili costituite. La pronunzia è stata riformata dalla Corte d'appello di Palermo che ha adottato pronunzia assolutoria perché il fatto non costituisce reato. Il fatto è stato così ricostruito dei giudici di merito una donna in avanzato stato di gravidanza gemellare veniva ricoverata intorno alle quattro della notte presso il nosocomio nel quale l'imputato operava come medico di guardia del reparto di ostetricia. Il sanitario, pur in presenza di tracciati cardiotocografici che evidenziavano sofferenza fetale, ometteva di intervenire per accelerare il parto con atto chirurgico. Si addivenne, quindi, a parto naturale a seguito del quale il piccolo V. decedeva, mentre l'altro, D. , riportava grave danno encefalico. Al sanitario è stato mosso l'addebito di aver inspiegabilmente trascurato i dati allarmanti connessi ai detti tracciati cardiotocografici e di aver omesso le iniziative che la condizione di sofferenza fetale imponevano. La pronunzia assolutoria ha invece escluso l'esistenza della prova certa in ordine all'evitabilità degli eventi per effetto di una tempestiva esecuzione di parto cesareo. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore generale della Repubblica. Si assume che le conclusioni raggiunte dalla Corte d'appello negano apoditticamente che la condotta dell'imputato abbia avuto il ruolo di concausa degli eventi in esame. Il collegio non ha letto correttamente l'indagine peritale. Essa, pur in un quadro che non consentiva di escludere un' eventuale patologia pregressa e non permetteva quindi di ritenere con certezza l'esclusiva incidenza della prematurità del parto e delle patologie correlate, ha ritenuto che l'immediata effettuazione del parto cesareo subito dopo il ricovero della donna allorché le patologiche alterazioni dei tracciati cardiotocografici attestavano la sofferenza acuta dei due feti avrebbero comunque impedito il protrarsi di siffatta sofferenza, il cui prolungarsi per oltre tre ore fino alla nascita naturale ha inevitabilmente peggiorato le condizioni dei nascituri, non avendoli sottratti all'ipossia, quale che ne fosse la causa, né all'ulteriore trauma del parto per via vaginale, costituente secondo le indicazioni dei consulenti un grave stress per i prematuri. Coerentemente i consulenti hanno precisato di non poter quantificare. con riferimento al gemello sopravvissuto l'entità del danno cerebrale attribuibile all'errato comportamento dell'imputato, pur essendo da questo derivato un sicuro aggravamento della sofferenza e quindi delle lesioni e, con riguardo all'altro gemello in quale misura tale comportamento abbia contribuito a causarne il decesso, pur essendone stata sicura concausa. I consulenti ed i periti hanno in realtà affermato l'esistenza del nesso causale tra la condotta dell'imputato e gli eventi lesivi occorsi ai due feti ed altresì che tale condotta ha svolto un ruolo concausale nella determinazione degli esiti infausti, in aggiunta alla condizione di verosimile sofferenza anteriore al parto, maturata in corso di gravidanza. Singolarmente la Corte d'appello ha ritenuto che l'accertamento peritale sia del tutto dirimente in senso assolutorio in quanto all'esito dello stesso non risulta la prova del nesso tra la condotta gli elementi. Quanto al giudizio controfattuale si osserva che, mentre si conviene che l'incertezza circa l'eventuale sofferenza anteriore al parto non consente di ritenere che l'anticipazione del parto stesso avrebbe potuto evitare del tutto le patologie, appare veramente apodittico l'assunto, peraltro fatto proprio dalla Corte solo implicitamente, secondo il quale non potrebbe ritenersi con certezza neppure che la tempestiva effettuazione del cesareo sarebbe valsa ad impedirne l'aggravamento. Il convincimento della Corte in proposito risulta disancorato dalle emergenze probatorie. La relazione causale può poi essere ritenuta particolarmente per il piccolo deceduto nella fase finale del travaglio. Infatti, evidentemente l’ulteriore trauma rappresentato dal parto per via naturale ha costituito un ulteriore grave stress prevedibilmente insopportabile per un feto che versava nelle estreme condizioni di sofferenza comprovate a posteriori. La sottrazione del piccolo V. ad un simile stress e comunque al protrarsi della sofferenza acuta avrebbe sicuramente consentito allo stesso di sopravvivere almeno in quelle circostanze di tempo in cui viceversa è deceduto. 2.1 La difesa dell'imputato ha presentato una memoria. 3. Il ricorso è infondato. La sentenza impugnata premette di aver disposto la rinnovazione dell'indagine peritale che ha confermato le conclusioni della perizia disposta con incidente probatorio e che, se correttamente lette, avrebbero consentito pure al primo giudice di adottare pronunzia assolutoria. Si soggiunge che il Tribunale non ha compiuto una appropriata indagine sul nesso di causalità tra la condotta contestata all'imputato e gli eventi verificatisi. Si rammenta che l'esistenza del nesso causale richiede una condicio sine qua non, un antecedente senza il quale l'evento non si sarebbe verificato, da valutare sulla base del criterio della credibilità razionale o elevata probabilità logica, conformemente all'insegnamento delle Sezioni unite di cui vengono tracciate le enunciazioni di maggiore rilievo. Il piccolo D. ha riportato encefalopatia ipossico-ischemica plausibilmente riconducibile ad asfissia in assenza di altre verosimili cause. La normalità dei precedenti esami riconduce l'asfissia ad epoca prossima al parto. Le indagini diagnostiche rivelarono sin dall'inizio del ricovero sufficienti indicazioni idonee a prospettare una condizione di sofferenza fetale tale da richiedere un urgente taglio cesareo. Ne deriva che nella valutazione dell'operato del sanitario si configurano aspetti di erronea condotta per non aver adeguatamente valutato il tracciato cardiotocografico, che avrebbe fornito dati oggettivi indicativi di sofferenza fetale. Si soggiunge che i periti hanno proposto l'asfissia durante il parto solo come ipotesi più probabile tanto che per il feto di V. non si può stabilire con certezza la causa del decesso, in quanto non è stato effettuato un esame necroscopico. Il riscontro clinico della presenza di un doppio giro di funicolo attorno al collo fetale può far ipotizzare una condizione ipossica grave che ha determinato il decesso. Anche per il piccolo D. l’asfissia come causa della patologia insorta viene prospettata come ipotesi valutata con il mero criterio della verosimiglianza. Oltre a ciò, secondo la Corte d'appello, rileva che i periti hanno affermato di non poter esser certi che un parto urgente mediante taglio cesareo eseguito subito dopo il ricovero avrebbe modificato la prognosi prenatale. Vengono quindi proposte alcune considerazioni in ordine alla incompleta attendibilità della cardiotocografia e circa la difficoltà di interpretarla in presenza di parto gemellare. Si considera altresì che uno dei due neonati pesava circa 400 grammi meno dell'altro e che ciò rende verosimile l’ipotesi che il secondo feto fosse portatore di patologia ipossica prenatale non rilevata nel corso di una gravidanza che era comunque a rischio. Nel suo nucleo, la sentenza impugnata rimarca che, secondo i periti, la condotta dell'imputato fu improntata ad un incornprensibile ritardo nell'adozione di procedure per anticipare il parto, poiché tutti i tracciati evidenziavano anomalie che avrebbero dovuto suscitare allarme tale da predisporre un monitoraggio continuo al fine di valutare la possibilità di esecuzione di taglio cesareo. Inoltre, in considerazione della condizioni di gemellante, di prematurità, di discordanza della crescita fetale era altamente ipotizzabile una condizione di sofferenza prepartum che aveva potuto agire in modo considerevole nella codeterminazione dei danni fetali. Si assume, dunque, che tale condotta omissiva abbia svolto un ruolo concausale nella determinazione degli esiti infausti, in aggiunta alla precedente condizione di sofferenza maturata nel corso della gravidanza che non era stata adeguatamente monitorata. I periti hanno altresì ritenuto che, in considerazione dei pregressi fattori di rischio dei feti, legati alla gemellante, alla prematurità ed alla ridotta crescita fetale, non sia possibile asserire con certezza che l'esecuzione di un taglio cesareo potesse evitare le patologie neurologiche patite attualmente dal piccolo D. . Tale valutazione viene condivisa dalla Corte d'appello la presenza di univoci elementi indicativi di una preesistente grave sofferenza fetale, emersa sostanzialmente da tutti gli elaborati tecnici, non consente di esprimere alcun giudizio probabilisticamente fondato secondo criteri rigorosi sull'attribuibilità alla condotta dell'imputato delle drammatiche conseguenze di cui in imputazione. Si aggiunge che il breve tempo nel quale l'imputato ebbe ad intervenire nella vicenda non consente di valutare con certezza la possibilità giuridica di pretendere dallo stesso una condotta medica diversa. Ma ciò che in definitiva risulta risolutivo è che manca la possibilità di dimostrare che, se l’imputato avesse operato in maniera diversa, si sarebbero evitate le conclusioni infauste. Tale valutazione di merito appare nel suo complesso immune da censure. Sia pure in modo disorganico la sentenza enuncia principi di diritto e valutazioni di fatto che non mostrano vizi logico-giuridici. In sintesi, la gravidanza era a rischio ed avrebbe richiesto ben più intenso monitoraggio il sanitario che ha preso in cura la gestante nelle ultime ore prima del parto ha senza dubbio sottovalutato la significativa dei segni di sofferenza denunziati dal tracciato tococardiografico tale leggerezza è sicuramente censurabile sotto il profilo della colpa professionale tuttavia, non vi sono elementi di giudizio che consentano di ritenere con certezza che la tempestiva esecuzione di parto con taglio cesareo avrebbe eliso le conseguenze dannose subite dai feti all'esito di parto spontaneo. Tale ultima argomentazione è decisiva. Essa, come si è sopra esposto, è supportata da un lato dalla constatazione di sofferenza pregressa e dall'altro dall'esigenza, imposta dai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità S. U. Franzese , che la prognosi in ordine all'effetto salvifico delle condotte omesse sia sostanzialmente certa alla stregua di un giudizio caratterizzato da elevata credibilità razionale. In breve, per la Corte d'appello, la presenza di una pregressa condizione patologica dei feti non consente di affermare senza dubbio che le ultime ore prima del parto siano state decisive per l'insorgenza o l'ingravescenza dei danni. Tale valutazione in fatto giunge al termine di complesse indagini medico-legali di cui la pronunzia da diffusamente conto e non può essere qui sindacata senza scendere in considerazioni di merito precluse a questa Corte di legittimità. D'altra parte, pure non censurabile è la adottata regola di giudizio della certezza, che si rivela conforme al già indicato e condiviso insegnamento delle Sezioni unite. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.