Avvocato diffamato online, legittimo il sequestro del sito

Nessuna violazione del diritto alla manifestazione del pensiero, né regge l’intenzione di dimostrare la veridicità dei fatti. Gli scritti del cliente arrabbiato – e curatore del sito – sono un reato in piena regola. Nessuna zona franca, quindi, per il web.

Legittimo il sequestro del sito web ? Assolutamente sì, se esso è strumento per la diffamazione. Ciò supera, nettamente, il diritto alla libera manifestazione del pensiero. La vicenda, proposta all’esame dei giudici della Cassazione – e chiusa con la sentenza numero 46504/2011, Quinta sezione Penale, depositata oggi –, richiama un tema sempre più d’attualità. Soprattutto considerando il ricorso alla ‘rete’ per la diffusione di notizie e di opinioni. Navigata casuale. Un giro online , così, giusto per divertimento, magari facendo un salto sui siti di informazione e sui social network . E poi ci scappa la sorpresa Come capitato a un avvocato, ritrovatosi, inconsapevolmente, protagonista in un sito web curato da un suo cliente. Il ritratto dell’avvocato, però, era tutt’altro che edificante sul sito erano riportate considerazioni ed apprezzamenti denigratori della sua professionalità , arrivando addirittura a porre in dubbio il possesso dei necessari titoli abilitativi . E, ciliegina sulla torta, espressioni diffamatorie erano contenute anche nell’indice del sito. Sottoposto a sequestro. Logica la richiesta avanzata dall’avvocato di mandare offline il sito, logico l’accoglimento da parte del Giudice per le indagini preliminari. E difatti la homepage è tuttora sostituita dalla indicazione di Sito web sottoposto a sequestro . Provvedimento confermato, peraltro, anche dal Tribunale del riesame, che respinge la richiesta del curatore del sito di renderlo nuovamente accessibile agli internauti. A sostenere tale decisione non solo la sussistenza del fumus commissi delicti ma anche del periculum in mora , tenendo presenti la diffamazione nei confronti dell’avvocato e il fatto che, in origine, un primo provvedimento cautelare, limitato alla sola pagina elettronica che conteneva le espressioni diffamatorie, era stato frustrato dall’inserimento, nello stesso sito, di altro testo, a sua volta denigratorio . Eppoi, viene anche chiarito che irrilevante era la pretesa di dimostrare la veridicità dei fatti riferiti nei testi elettronici . A contestare questa decisione, ovviamente, il curatore del sito, che, tramite il proprio legale, presente ricorso in Cassazione. Rilevanza sociale? Che peso si può dare alle attività di informazione – o presunte tali – di un sito web ? Per il curatore del sito incriminato, proprio questo ruolo deve essere valutato e, poi, tutelato. Non a caso, nel ricorso viene richiamata l’ attività istituzionale, di meritoria rilevanza sociale, del sito , e viene contestato il provvedimento di sequestro perché impedirebbe la libera disponibilità da parte di associati, collaboratori ed utenti . Ubi maior La prospettiva tracciata dal ricorrente, però, non convince assolutamente i giudici della Cassazione. Difatti, in primo luogo viene considerata acclarata la valenza denigratoria del contenuto delle pagine elettroniche e viene ritenuto concreto il pericolo di reiterazione della condotta illecita . Poi, in secondo luogo, soprattutto, viene sottolineato che è stato sottoposto a sequestro lo strumento tramite il quale il reato era stato consumato , e in questa ottica non può aver peso la sua naturale destinazione alla comunicazione . Ciò significa rigettare il ricorso e confermare il provvedimento di sequestro. A margine, però, i giudici di piazza Cavour affrontano anche il tema – sempre delicato e sempre attuale – della garanzia del diritto alla libera manifestazione del pensiero, così come previsto dalla Costituzione. Ebbene, la manifestazione del pensiero, a prescindere dal mezzo, non può essere garantito anche per consumare reati , come la diffamazione, per l’appunto. In questa ottica, non si può ipotizzare che il sequestro del sito web non sia legittimo perché blocca l’accesso, non solo ai collaboratori ma anche agli internauti. Così, chiariscono i giudici, si rischierebbe di creare una zona franca , rendendo i siti web immuni dalla giurisdizione penale invece, questi strumenti sono soggetti agli stessi principi ed agli stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione, incontrando tutti i limiti previsti dalla legge penale .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 settembre – 14 dicembre 2011, n. 46504 Presidente Colonnese – Relatore Scalera Osserva B. M. impugna personalmente con ricorso l'ordinanza del 26 novembre 2009, con cui il Tribunale del Riesame di Torino ha rigettato l'appello da lui proposto avverso il provvedimento di quel GIP, che aveva disposto il sequestro preventivo del sito internet , di cui esso ricorrente disponeva la cautela reale era stata disposta su istanza dell'avvocato E. F. cui il B. aveva conferito un incarico professionale, poi revocato. La professionista aveva scoperto fortuitamente che sul sito suindicato erano riportate considerazioni ed apprezzamenti denigratori della sua professionalità, tanto che era stato perfino revocato in dubbio il possesso da parte sua dei necessari titoli abilitativi, ed espressioni diffamatorie erano contenute sia nell'indice, ove risultava menzionata una causa intrapreso dal B. nei suoi confronti, sia in un testo intitolato Operazione Fori Rotali puliti”. Era stato disposto il sequestro dell'intero sito perché un primo provvedimento cautelare, limitato alla sola pagina elettronico che conteneva le espressioni diffamatorie, era stato frustrato dall'inserimento nello stesso sito di altro testo a sua volto denigratorio. Il Tribunale aveva condiviso le valutazioni del GIP in ordine sia alla sussistenza del fumus commissi delicti che del periculum in mora , desunto quest’ultimo proprio dallo condotta con cui ero stato eluso il primo provvedimento cautelare aveva peraltro osservato il Tribunale che irrilevante era la pretesa del B. di essere ammesso a dimostrare la veridicità dei fatti riferiti nei testi elettronici. Con il ricorso il B. deduce la nullità del provvedimento per 1 violazione di legge, prospettata come difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti della cautela ed all'omessa valutazione del danno grave ed irreparabile cagionato all'attività istituzionale, di meritoria rilevanza sociale, del sito 2 violazione dell'art. 321 terzo comma cod. proc. pen., perché non sarebbe a suo avviso ammissibile il sequestro preventivo di un sito internet. in quanto imporrebbe un vincolo di indisponibilità che ne impedirebbe la libera disponibilità da parte di chiunque, associati, collaboratori ed utenti. Il ricorso è nel complesso destituito di fondamento e va perciò rigettato. Ii primo motivo è manifestamente infondato, atteso che l'ordinanza impugnata contiene ampia e specifica motivazione tanto in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti che al periculum in mora , osservando che non v'era dubbio alcuno in ordine alla valenza francamente denigratoria del contenuto delle pagine elettroniche di cui s'è detto, e concreto era il pericolo di reiterazione della condotta illecita, dovendo considerarsi come al primo sequestro aveva fatto immediato seguito oltre testo denigratorio di analogo contenuto. Il secondo motivo è destituito di fondamento ove si consideri che è stato sottoposto a cautela reale lo strumento tramite il quale il reato era stato consumato, e non ha rilievo la natura del bene che ne è stato oggetto, non potendo ritenersi che la sua naturale destinazione alla comunicazione con più persone possa impedirne il sequestro preventivo se, come nel coso di specie, solo l'adozione della suddetta misura cautelare appaia idonea ad assicurare che la condotta illecita non si ripeterà. Il ricorso sul punto pare adombrare un conflitto di tutele tra il diritto alla libera manifestazione del pensiero, garantito dall'art. 21 della Costituzione, e le norme che consentono il sequestro preventivo degli strumenti che costituiscono il veicolo tramite il quale il pensiero viene manifestato. Valga in contrario osservare che la manifestazione del pensiero, a prescindere dal mezzo utilizzato, non può essere garantita anche per consumare reati come, nel caso di specie, la diffamazione. Il problema pertanto si sposta, perché si tratta di verificare se il contenuto del testo divulgato ha o no carattere diffamatorio. Questa Corte ha da tempo stabilito quali sono i criteri in base ai quali testare la liceità della pubblicazione di determinate notizie, che sarà ritenuta solo nel caso in cui la notizia sia vera, sia pubblicata nel rispetto dei limiti di continenza, risponda ad un interesse effettivo dei consociati alla sua conoscenza. Nel caso di specie tuttavia il ricorrente non contesta la rilevanza penale degli apprezzamenti denigratori dell'avvocato F., limitandosi a sostenere apoditticamente che comunque non sarebbe consentito il sequestro di un sito web” perché limitativo dei diritti di coloro che collaborano all'allestimento del sito e degli utenti che intendessero farvi accesso. L'assunto è non solo gratuito, ma anche collidente con i principi cardine dell'ordinamento vigente, perché verrebbe a prospettare una sorta di zona tronca, che renderebbe immune dallo giurisdizione penale i siti elettronici rispetto, per esempio, ai quotidiani o ai notiziari radio e televisivi, conclusione che è certamente inaccettabile. Deve allora concludersi ribadendo che i siti elettronici sono soggetti agli stessi principi ed agli stessi divieti dettati per tutti i mezzi di comunicazione, incontrando tutti i limiti previsti dalla legge penale. Nel caso di specie un reato di diffamazione è stato reiteratamente consumato utilizzando il sito elettronico, che è stato sottoposto a sequestro preventivo, in quanto unico mezzo idoneo per scongiurare la reiterazione del reato. Il ricorso va pertanto rigettato, ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali.