Via libera all’appello contro le modalità esecutive dell’obbligo di dimora

Le modalità esecutive della misura cautelare e le loro modifiche incidono sulla afflittività della misura e della limitazione della libertà personale, pertanto, possono essere soggette al processo di appello.

La fattispecie. Il Tribunale dichiarava inammissibili i due appelli proposti dal difensore di un marocchino. Quest’ultimo era ritenuto responsabile, insieme ad altri connazionali, di partecipazione ad un’associazione occulta dedita ad attività di proselitismo e di incitamento alla discriminazione, all’odio e alla violenza, rivestendo il ruolo di promotore e organizzatore. Le istanze respinte erano in merito alla modifica del regime di arresti presso il domicilio e, la seconda, volta ad ottenere il permesso di uscire dal territorio comunale per svolgere attività lavorativa. Il Tribunale ha negato l’appellabilità delle modalità di esecuzione dell’obbligo di dimora. Il Tribunale, rifacendosi a una sentenza delle Sezioni Unite n. 24/1996 , affermava che le decisioni attinenti il regime della concessa autorizzazione a svolgere attività lavorativa art. 283, secondo comma, c.p.p. non sono riconducibili alla materia delle misure cautelati personali” e non sono suscettibili di appello . Nel ricorso per cassazione del ricorrente si sostiene, invece, la piena riconducibilità alla materia delle misure cautelari personali, anche le decisioni concernenti le prescrizioni e le modalità di esecuzione della misura . Anche le limitazioni territoriali incidono sulle concrete modalità di applicazione della misura e sullo stato di libertà. La S.C. sentenza n. 45345/2011 depositata il 6 dicembre , condividendo l’interpretazione del ricorrente, annulla l’ordinanza impugnata e precisa che - come nel caso del divieto di comunicare con terze persone per chi è in custodia domiciliare, o nell’ipotesi di modifica del luogo di esecuzione degli arresti domiciliari - anche la decisione del giudice, in materia di autorizzazione a recarsi per ragioni di lavoro al di fuori del territorio ove l’indagato ha l’obbligo di dimora, incide sullo stato di libertà , con la conseguenza che tali decisioni sono soggette ad appello art. 310 c.p.p. . Questo principio viene meno solo nel momento in cui le modifiche sono, in concreto, così irrilevanti da non determinare apprezzabile e duratura modificazione dello status libertatis ” .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 ottobre – 6 dicembre 2011, numero 45345 Presidente Ferrua – Relatore Marini Rileva Con ordinanza in data 5 Aprile 2011, Tribunale di Brescia ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti dal Difensore del ricorrente avverso le ordinanze del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brescia in data 7 e 16 marzo 2011 con la prima è stata respinta l'istanza di modifica del regime di arresti presso il domicilio con la seconda è stata respinta l'istanza volta ad ottenere il permesso di uscire dal territorio comunale per svolgere attività lavorativa. La originaria misura cautelare del 22 Febbraio 2001 aveva disposto la custodia in carcere dell'indagato e di altri cittadini marocchini perché responsabili di partecipazione ad un'associazione occulta dedita ad attività di proselitismo e di incitamento alla discriminazione, all'odio e alla violenza, rivestendo il ricorrente il ruolo di promotore e organizzatore. Con ordinanza dell'8 Marzo 2011 il Tribunale di Brescia, quale giudice del riesame, ha valutato la sussistenza di grave quadro indiziario e disposto la modifica della misura cautelare in quella dell'obbligo di dimora nel comune di residenza. Con due distinti atti di appello il ricorrente ha censurato le ordinanze del 7 e del 16 marzo 2011 con cui il Giudice delle indagini preliminari ha respinto le istanze di modica del regime cautelare in atto. All'udienza camerale avanti il Tribunale il Sg. K. ha rinunciato alla prima impugnazione, perché superata dal provvedimento del Tribunale del riesame aveva che mutatolo stato di custodia, ed ha insistito per l'accoglimento dell'impugnazione avverso l'ordinanza del 15 marzo. Il Tribunale di Brescia, ritenuta inammissibile per rinuncia l'impugnazione avverso l'ordinanza del 7 marzo, ha dichiarato inammissibile anche l'appello proposto contro l'ordinanza del 16 marzo 2011. Secondo il Tribunale le decisioni attinenti il regime della concessa autorizzazione a svolgere attività lavorativa articolo 283, secondo comma, c.p.p. non sono riconducibile alla materia delle misure cautelari personali e non sono suscettibili di appello, così come stabilito dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con la sentenza numero 3 del 1996. Avverso tale decisione propone ricorso il Sig. K. tramite il Difensore. Il ricorrente lamenta in primo luogo l'errata applicazione dell'articolo 310 c.p.p. e la piena riconducibilità alla materia delle misure cautelari personali anche le decisioni concernenti le prescrizioni e le modalità di esecuzione della misura. Il Tribunale avrebbe fatto cattiva lettura dei principi fissati con la sentenza numero 24 del 1996 delle Sezioni Unite Penali secondo tale decisione, infatti, sono esclusi dal novero dei provvedimenti appellabili solo quelli che dispongono misure temporanee e contingenti, rientrando, invece, nella sfera dell'impugnazione anche le decisioni in tema di autorizzazione a svolgere attività di lavoro, che incidono in modo diretto sulla libertà della persona. Lamenta, poi, un vizio motivazionale dell'ordinanza nella parte in cui qualifica come rilevante la distinzione fra il regime dell'articolo 283, secondo comma, e quello previsto dagli articolo 284, comma terzo, e 283, comma quarto, c.p.p Risulta errata, a parere del ricorrente, ritenere che il mancato richiamo per l'obbligo di dimora della disciplina prevista per gli arresti presso il domicilio comporti la non applicabilità al primo del regime sull'appello, soluzione che contrasta con l'articolo 277 c.p.p. e con l'articolo 3 Costituzione. Del resto, in materia di disciplina dell'obbligo di dimora la Corte di Cassazione Sezione Sesta, sentenza numero 40395 del 2007 ha ritenuto ammissibile l'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l'autorizzazione per l'indagato di recarsi al lavoro in comune diverso da quello ove era obbligato a dimorare. Osserva La Corte ritiene che il ricorso meriti accoglimento con riferimento all'appello proposto contro l'ordinanza emessa in data 16 marzo 2011. Non può, infatti, essere condivisa l'interpretazione adottata dal Tribunale che considera le modalità esecutive dell'obbligo di dimora come materia estranea al regime della libertà personale e non soggette a controllo mediante la procedura dell'appello. La Corte di Cassazione si è più volte espressa in ordine all'incidenza che hanno sulla libertà della persona e sull'afflittività della misura cautelare i provvedimenti che disciplinano le modalità di esecuzione della misura stessa. Con sentenza numero 21296 del 2009 in procedimento Pozzi rv 243678 della Sesta Sezione Penale e con sentenza numero 13271 del 2010 della Quinta Sezione Penale rv 249505 , la Corte ha ritenuto che l'applicazione del divieto di comunicare con terze persone sia misura che incide sulla libertà della persona in stato di custodia domiciliare e come tale suscettibile di controllo mediante atto di appello, così come, per la Terza Sezione Penale sentenza numero 13119 del 2011, Basile, rv 249946 rivestono il medesimo rilievo i provvedimenti in tema di modifica del luogo di esecuzione degli arresti domiciliari. Ritiene la Corte che le decisioni adesso ricordate contengano il principio di ordine generale secondo cui le concrete modalità di applicazione della misura cautelare e le modifiche delle stesse incidono sull'afflitti vita della misura e, di conseguenza, sulla limitazione della libertà personale e debbono essere soggette al controllo giudiziale ex articolo 310 c.p.p., a meno che non siano in concreto prive di rilevanza oppure presentino carattere temporaneo e meramente contingente tale da non determinare apprezzabile e duratura modificazione dello status libertatis”, ed è questo il caso della decisione delle Sezioni Unite Penali, numero 24 del 1996, citata. Di conseguenza, anche le limitazioni dell'ambito territoriale entro il quale la persona indagata può svolgere la, autorizzata, attività lavorativa sono elemento che incidono sulle concrete modalità di applicazione della misura e sullo stato di libertà. Sulla base di quanto precede può affermarsi il principio che le decisioni del giudice in tema di autorizzazione a recarsi per ragioni di lavoro al di fuori del territorio ove l'indagato ha l'obbligo di dimora incidono sullo stato di libertà e qualificano l'esecuzione della misura cautelare, con la conseguenza che dette decisioni sono soggette ad appello ai sensi dell'articolo 310 c.p.p L'ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio al Tribunale di Brescia perché proceda all'esame dell'appello proposto dall'odierno ricorrente. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia per l'esame dell'appello.