C’è una condotta omissiva gravemente colposa? L’equo indennizzo non è dovuto

La condotta del genitore che omette di vigilare sulla figlia minorenne, che intrattiene regolarmente rapporti sessuali con adulti in cambio di denaro, è una circostanza ostativa all’erogazione dell’equa riparazione.

Anche una condotta omissiva può assumere i connotati di un comportamento gravemente colposo, idoneo ad essere ostativo al riconoscimento dell’equo indennizzo per ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p Se, infatti, una condotta omissiva, tenuta in violazione degli obblighi connessi ad una posizione di garanzia nella specie, genitore di figlia minorenne , può costituire fonte di responsabilità sia civile che penale, analogamente deve dirsi che tale tipo di condotta, una volta accertata la sua valenza eziologica e la sua natura gravemente colposa, può inibire il riconoscimento del predetto indennizzo. Lo ha stabilito la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44671/2011, depositata il 1° dicembre. L’equo indennizzo per ingiusta detenzione. La materia dell’equa riparazione per l’ingiusta detenzione trova la propria disciplina negli artt. 314 e 315 c.p.p Con la locuzione ingiusta detenzione , il codice di rito fa riferimento, in primo luogo, all’insieme delle misure precautelari applicate nei confronti dei soggetti sottoposti ad arresto o a fermo. In secondo luogo, vengono in rilievo le misure cautelari c.d. custodiali, che cioè prevedono la limitazione della libertà personale dell’indagato/imputato, tutelata nei limiti previsti dall’art. 13 della Costituzione. In terzo luogo, la detenzione può riferirsi ad erronei ordini di carcerazione, relativi a condanne irrevocabili, o ai casi di revoca del giudicato di condanna a seguito di revisione, o ancora all’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in un O.P.G. Ospedale Psichiatrico Giudiziario . I presupposti per l’erogazione dell’equo indennizzo sono 2. Le ipotesi in cui il soggetto sottoposto ad ingiusta detenzione può agire per l’ottenimento dell’equo indennizzo sono sostanzialmente riconducibili a due ordini di situazioni. Il primo ricorre nel caso di innocenza dell’indagato/imputato/condannato, ove nei confronti di quest’ultimo siano pronunciati provvedimenti di non luogo a procedere a seguito di udienza preliminare, o di assoluzione nel merito con esclusione del proscioglimento per improcedibilità dell’azione penale, oltre che per estinzione del reato a seguito di prescrizione , o ancora di archiviazione. Il secondo ordine di ipotesi di equo indennizzo si ha se il provvedimento di riduzione in vinculis è stato illegittimamente pronunciato. Ciò avviene, in buona sostanza, quando vi è l’assenza della flagranza di reato, dei gravi indizi di colpevolezza, o nell’ipotesi di revoca sopravvenuta del titolo esecutivo. In ogni caso, l’erogazione dell’equo indennizzo prescinde dall’accertamento del dolo o della colpa della condotta del magistrato, rilevando – sull’opposto versante della mancata corresponsione dell’indennizzo stesso – il comportamento doloso o gravemente colposo del soggetto che asserisce di esser stato ingiustamente detenuto. Il dolo o la colpa grave di natura omissiva escludono il diritto all’equa riparazione. La sentenza in commento amplia l’applicabilità del dolo e della colpa grave del richiedente che, ove presenti, ostano all’equa riparazione. Ciò è ancor più vero, nelle parole dell’estensore della decisione de qua , in tutti i casi in cui il richiedente non abbia rispettato gli obblighi in capo a lui incombenti, in ragione di una c.d. posizione di protezione art. 40 cpv. c.p. . Secondo la prevalente dottrina, in ipotesi di posizioni di protezione, il garante deve tutelare determinati beni giuridici, di volta in volta individuati in relazione alle singole fattispecie incriminatrici, rispetto a tutti i pericoli che possono minacciarli, pur se soltanto in astratto. Inoltre, la posizione di garanzia permane fino a quando il bene giuridico da tutelare resta nella sfera di protezione del garante. Tipico esempio di posizione di protezione, da tempo elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, è quella dei genitori nei confronti dei figli minorenni. Tale posizione trova fondamento, oltre che nell’art. 30 della Costituzione, anche e soprattutto nella disciplina civilistica di cui all’art. 147 c.c., correttamente richiamata nella sentenza commentata in base al combinato disposto delle norme testé citate, i genitori devono impedire che siano commessi reati nei confronti dei figli minorenni, incorrendo – in caso contrario – in responsabilità omissiva. Affinché peraltro tale responsabilità sia effettivamente configurabile, occorre che il soggetto, cui è riconducibile la posizione di garanzia, prenda effettivamente in carico il bene giuridico da tutelare. Il novum della pronuncia in commento consiste, dunque, nell’aver ricondotto ad ipotesi di dolo o di colpa grave, rilevanti ai sensi dell’art. 314, comma 1, ultimo periodo, c.p.p., il comportamento tenuto dal genitore che omette di vigilare sulla dissoluta condotta sessuale della figlia minorenne, la quale intrattiene regolarmente rapporti sessuali con adulti in cambio di denaro. Anche in tal caso, pertanto, ricorre una circostanza ostativa all’erogazione dell’equa riparazione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 ottobre – 1° dicembre 2011, n. 44671 Presidente Marzano – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto C.D. , a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza della Corte di Appello di Bologna, con la quale era stata rigettata la sua istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita agli arresti domiciliari per 180 giorni, per il delitto di induzione alla prostituzione minorile in danno della figlia quindicenne V. , contestato in concorso con il convivente, dal quale era stata assolta con la formula assolutoria ex art. 530 cpv cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste. La Corte territoriale ha ravvisato la circostanza escludente del diritto alia riparazione di cui all'art. 314, comma primo, cod.proc.pen., e cioè di avere concorso a dare causa all'emissione dei provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave, e cioè per essere venuta meno agli obblighi di protezione e sorveglianza sulla figlia minore, che, nonostante la giovane età, intratteneva plurimi rapporti sessuali con uomini diversi, molto più grandi di lei, utilizzando anche la casa in cui viveva con la madre, in particolare, la camera da letto con poster pornografici. La ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per violazione dell'art. 314 cod.proc.pen. facendo presente che il giudice della riparazione non aveva preso in considerazione la circostanza che i difficili rapporti intercorrenti tra la ragazza ed il patrigno non consentivano all'istante di controllare la vita privata della figlia inoltre, non vi erano prove idonee a dimostrare che la C. fosse a conoscenza delle attività poste in essere dalla ragazza, soprattutto tenuto conto delle gravi difficoltà economiche in cui versava la famiglia che potevano avere momentaneamente distolto l'attenzione della madre sulla figlia. Si pone altresì l'accento sulla indeterminatezza della condotta omissiva contestata all'istante. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Come già osservato da questa Corte v. da ultimo, Sezione IV, 10 dicembre 2008, Zappetta, rv. 242746 , il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l'equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione differenti. In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziarla o probante smentita dall'assoluzione , ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell'imputato, l'adozione della misura, traendo in inganno il giudice. È quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dalla istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nel reato di induzione alla prostituzione minorile in danno della figlia V. . Nella specie, non vi è dubbio che la Corte territoriale, con motivazione logica ed ampia, ha spiegato che le condotte ascritte all'istante, pur non costituendo illecito penale, sono state Idonee a determinare l'applicazione della misura cautelare. In particolare, il giudice della riparazione ha valorizzato che 1 il processo penale a carico della C. aveva preso le mosse da una segnalazione della moglie dell'ex compagno della C. , padre delle figlie di quest'ultima, che aveva ricevuto una confidenza dalla sorella di V. riguardante la circostanza che la ragazza sarebbe stata indotta a prostituirsi dalla madre e dal nuovo compagno di questa 2 Il giudice di merito, nell'assolvere l'imputata aveva espressamente affermato che la condotta della C. ben integrava gli estremi di un diverso fatto reato consistente nel non avere impedito che uomini avessero rapporti sessuali con V. , infraquindicenne, in cambio di denaro artt. 40, comma secondo, e 600 bis, comma secondo, cod. pen. 3 l'Istante era venuta meno agli obblighi di protezione e sorveglianza sulla figlia minore V. , come minimo dovendosi ascrivere a lei una macroscopica culpa in vigilando 4 la C. teneva rapporti diretti con alcuni di questi uomini adulti che le manifestavano l'intenzione di incontrare V. . Ciò premesso, va affermato in questa sede che anche una condotta omissiva può assumere i connotati di un comportamento gravemente colposo idoneo ad essere ostativo al riconoscimento dell'equo indennizzo, una volta accertata la sua valenza eziologica e la sua natura gravemente colposa. In particolare, per quanto attiene all'ambito familiare, è già stato posto in evidenza v. la citata sentenza Zappetta che, ai sensi dell'art. 147 cod.civ., i genitori hanno l'obbligo di istruire ed educare la prole. Tale disposizione normativa determina la nascita in capo al genitore di una posizione di garanzia, connessa al suo dovere di tutela e sorveglianza, che può essere origine di responsabilità sia in campo civile che penale. La giurisprudenza è oramai consolidata nel ritenere che l'inadeguatezza dell'educazione Impartita e della vigilanza esercitata su un minore, può costituire fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito da costui commesso, ai sensi dell'art. 2048 cod.civ. explurimis Cass. Civ. Sezione III, 29 maggio 2001, n. 7270, rv. 547081 . Trattasi di responsabilità per fatto proprio, non per fatto altrui, giustificata da una culpa in educando o in vigilando . Anche in campo penale la violazione degli obblighi connessi alla posizione di garanzia di genitore, è stata ritenuta fonte di responsabilità, con specifico riferimento ai reati di natura sessuale. In senso conforme, questa Corte ha stabilito che il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell'art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell'integrità psico-fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all'art. 40 cpv. c.p., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli, sempre che sussistano le condizioni rappresentate a dalla conoscenza o conoscibilità dell'evento b dalla conoscenza o riconoscibilità dell'azione doverosa incombente sul garante c dalla possibilità oggettiva di impedire l'evento v. Sezione III, 14 dicembre 2007, n. 4730/08, Berti, rv. 238698 . Pertanto, se una condotta omissiva, tenuta in violazione degli obblighi connessi alla qualità di genitore, può costituire fonte di responsabilità sia civile che penale, analogamente deve dirsi che tale tipo di condotta, una volta accertata la sua valenza eziologica e la sua natura gravemente colposa, ben può inibire il riconoscimento dell'equo indennizzo ai sensi dell'art. 314 cod.proc.pen, comma 4. Nel caso di specie la Corte territoriale ha evidenziato come la C. sia venuta meno agli obblighi di protezione e sorveglianza sulla figlia minore consentendo alla stessa il sistema di vita altamente pregiudizievole, sopra descritto, che una sia pure minima attenzione da parte della madre avrebbe dovuto evitare e comunque troncare. Pertanto, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima rivalutazione della sentenza penale di assoluzione v. Sezioni unite, 23 dicembre 1995 n. 43, Sarnataro , ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all'emissione della misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma del primo comma dell'art. 314 cod.proc.pen., ha escluso il diritto della istante alla riparazione, essendo indubbiamente le circostanze succitate idonee concause determinanti l'emissione di una misura cautelare a carico della C. . Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese sostenute dall'Amministrazione resistente in questo giudizio, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 750,00.