Non sempre per il giudice dell'esecuzione è possibile revocare l'indulto

È precluso al nuovo giudice dell'esecuzione disporre la revoca dell'indulto una volta che il provvedimento diventa definitivo.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40127/2011 depositata il 7 novembre, ha stabilito che, una volta divenuto definitivo il provvedimento applicativo dell'indulto, è precluso al nuovo giudice dell'esecuzione disporne la revoca. La fattispecie. Due reati commessi rispettivamente nell'ottobre del 2003 e nel maggio 2009, altrettante sentenze di condanna e la concessione del condono. Beneficio che però, su richiesta del pm, veniva revocato dalla Corte d'appello di Napoli, pronunciando quale giudice dell'esecuzione. Il motivo della revoca dell'indulto? L'imputato aveva commesso nel 2007, e quindi entro i 5 anni dall'entrata in vigore della legge sulla concessione di indulto l. n. 241/2006 , un delitto non colposo - nello specifico si trattava di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope art. 73 d.p.r. 309/1990 - per il quale aveva riportato una condanna a pena detentiva non inferiore a 2 anni. Il nuovo reato non è un evento sopravvenuto al provvedimento concessorio L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo che il giudice dell'esecuzione non aveva adeguatamente considerato che per il nuovo delitto non colposo, commesso entro 5 anni dalla data di entrata in vigore della legge sull'indulto, il ricorrente aveva subito condanna divenuta definitiva prima che il GIP del Tribunale di Napoli concedesse l'indulto per le pene inflitte con le altre due sentenze di condanna. e lo conferma anche la Corte di Cassazione La Corte Suprema rileva che, contrariamente a quanto genericamente affermato dal giudice dell'esecuzione, la commissione del nuovo reato non costituiva, in effetti, un evento sopravvenuto al provvedimento concessorio , pertanto, riconosce che la Corte territoriale aveva applicato al ricorrente l'indulto, pur in presenza di una causa di revoca . che preclude al nuovo giudice dell'esecuzione la possibilità di revocare l'indulto. Il Collegio annulla l'ordinanza impugnata e precisa ulteriormente che una volta divenuto definitivo il provvedimento applicativo dell'indulto, al nuovo giudice dell'esecuzione, era precluso, in forza del generale principio del ne bis in idem operante, in quanto compatibile, anche nel procedimento esecutivo, vanificarne gli effetti, disponendone la revoca, sulla base di elementi preesistenti .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 settembre - 5 ottobre 2011, numero 36069 Presidente Brusco - Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20.9. 2011 il giudice di pace di Aosta riteneva A.E.C. responsabile delle lesioni subite da M.L. e la condannava a 300,00 Euro di multa. Il omissis , mentre la donna passeggiava nel centro di omissis , portando al guinzaglio un cane di grossa taglia, un Akita Inu, l'animale aveva azzannato il cane di piccola taglia, uno Schnauzer nano, di tale M. , parimenti al guinzaglio nel mentre quest'ultimo si chinava verso gli animali per dividerli ed evitare che il proprio cane venisse ucciso, veniva azzannato alla mano dall'altro cane e il morso gli cagionava l'asportazione della falange solo a seguito dell'intervento di una terza persona, tale N. , che sferrava un calcio al grosso cane, fu posto fine all'aggressione. Il giudice di pace rilevava che l'imputata, pur non essendo proprietaria del cane, lo aveva avuto in affidamento dal proprietario e quindi era responsabile del suo comportamento che il cane non era munito di museruola contrariamente a quanto prescritto per i cani di grossa taglia che era irrilevante che il cane non avesse mai manifestato aggressività verso le persone, essendo noto che nei comportamenti degli animali domestici sussiste sempre un elemento di imprevedibilità che deve comunque essere messo in conto che non poteva attribuirsi responsabilità alcuna alla persona offesa per avere istintivamente tentato di porre fine all'aggressione del cane Akita verso il proprio, aggressione che si prospettava con esito grave per l'animale più piccolo concludeva che il comportamento dell'imputata non era stato idoneo ad assicurare che il cane non nuocesse ai terzi. 2. Avverso tale sentenza il difensore della A. ha proposto ricorso per cassazione deducendo inosservanza di legge ed in particolare della ordinanza del Ministero della salute del 9 settembre 2003. Sostiene che gli effetti della zuffa tra i due cani sarebbero rimasti circoscritti agli stessi se la persona offesa non si fosse sciaguratamente determinata a separare con le nude mani gli animali in lotta al fine di sottrarre il proprio cane dal morso di quello condotto dall'imputato. La sentenza non tiene conto di due circostanze fondamentali risultanti dalla predetta ordinanza, prodotta dalla difesa dell'imputata, e cioè che il cane dell'imputato non figurava nella lista dei cani pericolosi mentre vi era incluso lo schnauzer nano condotto dalla persona offesa dunque il cane dell'imputata non era sottoposto all'obbligo di museruola e guinzaglio e non poteva ritenersi una colpa dell'imputata sotto tale aspetto, come invece aveva fatto la sentenza impugnata. Con un secondo motivo lamenta il difetto di motivazione non essendo possibile conoscere dalla lettura della sentenza sulla base di quali argomentazioni l'imputata è stata riconosciuta colpevole e quale comportamento avrebbe dovuto tenere si sarebbe dovuto riconoscere il caso fortuito. Considerato in diritto Il ricorso è infondato risultando correttamente accertata e motivata la responsabilità dell'imputata. Rileva in primo luogo il Collegio che non rileva la circostanza dedotta dalla difesa circa la mancata considerazione da parte della sentenza impugnata della circolare del Ministero della salute da cui deriverebbe l'obbligo della museruola per lo schnauzer e non per l'akita inu, dal momento che quand'anche quest'ultimo animale avesse avuto la museruola l'incidente si sarebbe ugualmente verificato, atteso che, come risulta dalla impugnata sentenza, il cane di grossa taglia era sopraggiunto alle spalle dello schnauzer e lo aveva azzannato è invece evidente che se l'akita avesse avuto la museruola, non avrebbe potuto azzannare l'altro cane, tenendolo in bocca e scuotendolo come risulta sempre dalla impugnata sentenza. Quanto all'accertamento della colpa della A. la stessa risulta evidente a prescindere dalla esistenza o meno dell'obbligo della museruola, dal momento che la donna non è stata in grado di controllare il comportamento del cane. È pacifico, e peraltro non è contestato, che chi ha in affidamento anche temporaneo un cane è tenuto alla custodia del medesimo, obbligo di custodia che sorge ogni qualvolta sussista una relazione anche di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, in quanto l'art. 672 c.p. collega il dovere di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al suo possesso, da intendere come detenzione anche solo materiale e di fatto, non essendo necessaria un rapporto di proprietà in senso civilistico sez. IV 2.7.2010 numero 34813 rv. 248090 . Questo obbligo la donna non è stata in grado di rispettare nel momento in cui il cane che ella teneva al guinzaglio ha aggredito il cane di un'altra persona, determinando la reazione del tutto legittima del proprietario di tentare di separare gli animali la donna, che pure aveva al guinzaglio il proprio animale, non è stata in grado di controllare l'animale e di fronteggiare la situazione, certamente non imprevedibile dal momento che nel comportamento degli animali vi è sempre una componente di aggressività anche, e talvolta specialmente, nei confronti degli altri animali, che deve essere tenuta in conto. È evidente che se il cane Akita avesse avuto la museruola, il cui uso si imponeva, a prescindere dalla sussistenza di un obbligo legale, proprio per la grossa taglia dell'animale e per non essere la donna, proprio per la sua qualità di semplice detentore momentaneo dell'animale, in grado di conoscere le possibili reazioni dell'animale anche nei confronti degli altri cani, il fatto non si sarebbe verificato come pure è evidente che la donna non è stata in grado di intervenire tempestivamente, come poi ha fatto un occasionale passante che ha sferrato un calcio all'animale, per porre fine all'aggressione prima che il cane rivolgesse la propria aggressività nei confronti dell'uomo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.