Sì alla rimessione in termini nel caso di derubricazione

Qualora il reato contestato diventi suscettibile di estinzione ai sensi degli articoli 162 e 162 bis c.p. per effetto della modifica dell’originaria e preclusiva imputazione effettuata con la sentenza che definisce il giudizio, il giudice, oltre ad irrogare la corrispondente sanzione, è tenuto, con la stessa sentenza e d’ufficio, sempre previa domanda dell’interessato, a rimettere in termini l’imputato per proporre domanda di oblazione subordinando l’efficacia della condanna al perfezionamento del relativo iter procedimentale. È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte Cassazione, sez. II penale, con la sentenza n. 40037/2011 depositata il 7 novembre.

Il caso. L’imputato veniva condannato dal Tribunale di Venezia alla pena di ammenda di € 2000,00 per il reato di acquisto di cose di sospetta provenienza art. 712 c.p. , derubricando l’originaria imputazione di ricettazione art. 648 c.p. , con la concessione della sospensione condizionale della pena. Contro la sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione in quanto il Tribunale avrebbe violato l’articolo 162 bis c.p. per non aver ammesso il ricorrente all’oblazione, nonostante nelle conclusioni fosse stata espressamente proposta l’istanza di oblazione nel caso in cui il reato di ricettazione fosse stato derubricato in quello di cui all’art. 712 c.p La questione proposta ai giudici del Palazzaccio riveste elementi di novità rispetto a quanto già sancito in precedenza per casi analoghi. Infatti, le sezioni Unite si erano già pronunciate in passato, con la sentenza n. 7645/2006, affermando che in tema di estinzione del reato per oblazione, la rimessione in termini dell’imputato art. 141 disp. att. comma 4 bis c.p.p. non si applica nell’ipotesi in cui la modifica dell’imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condanna. Ciò perché l’articolo 141 disp. att. comma 4 bis richiede il rispetto della procedura del contradditorio tra le parti, con il pubblico ministero che modifichi l’imputazione, il giudice rimetta in termini l’imputato che a sua volta dovrà presentare l’istanza per la formulazione del parere del pubblico ministero e la valutazione finale da parte del giudice. In questo caso, tuttavia, l’imputato non aveva presentato l’istanza di oblazione neppure nelle conclusioni da qui l’inapplicabilità dell’articolo 141 disp. att. comma 4 bis c.p.p Al contrario, nel caso in commento, affrontato dai giudici di Piazza Cavour, l’istanza di oblazione è stata tempestivamente presentata dall’imputato e disattesa dal giudice di merito. L’imputato ha agito correttamente. Il secondo principio stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 40037/2011 è di sicura rilevanza in quanto si inserisce in un ambito non preso in considerazione in precedenza se la richiesta di oblazione possa essere presentata anche nel caso in cui la derubricazione sia operata dal giudice al momento della deliberazione finale. La risposta degli Ermellini è affermativa in quanto sarebbe contrario agli articoli 3 e 24 della Carta repubblicana un sistema che consentisse l’accesso all’oblazione dopo la modifica dell’imputazione operata dal pubblico ministero e non dopo la derubricazione decisa dal giudice al momento della deliberazione finale. Al riguardo non si può che concordare con la motivazione addotta dai giudici che vedono nel caso contrario l’affermazione di un sistema che priverebbe irragionevolmente l’imputato, dietro sua richiesta, di accedere all’istituto di favore solo perché il pubblico ministero mantiene ferma una imputazione che il giudice ritiene giuridicamente insostenibile. Oblazione discrezionale e indicazione di un termine. Resta da chiarire l’ iter che deve essere percorso per poter accedere all’istituto di favore per l’imputato. La Cassazione chiarisce che, dopo l’eventuale presentazione dell’istanza da parte dell’imputato, dovrà realizzarsi l’ulteriore verifica da parte dello stesso giudice della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 162 bis , terzo comma, per i casi di cd. oblazione discrezionale quindi l’ammissione al beneficio e l’indicazione di un termine non superiore ai dieci giorni per il versamento della somma dovuta, infine il pagamento da parte dell’istante. Nel caso in cui il pagamento avvenga nel termine stabilito, il reato si estingue e la relativa declaratoria sarà pronunciata, ad istanza di parte, dal giudice dell’esecuzione, funzionalmente competente, ai sensi dell’art. 676 c.p.p In caso contrario, la sentenza diventerà efficace ed eseguibile. Come si può apprezzare, l’operato della Cassazione risulta ineccepibile in punto di diritto, risolvendo una questione significativa in materia di oblazione. Da qui l’annullamento della sentenza del Tribunale, limitatamente alla mancata restituzione in termini dell’imputato per proporre istanza di oblazione, con rinvio allo stesso giudice, affinché, ferma restando l’avvenuta derubricazione del reato e la conseguente determinazione della pena, provveda alle ulteriori pronunce ai sensi dell’art. 141 disp. att., comma 4 bis c.p.p., in conformità ai principi enunciati.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 31 maggio 4 ottobre 2011, numero 5442 Presidente Leoni Relatore Migliozzi Fatto Il sig. S. M., proprietario di un terreno sito in prossimità del fiume Brenta, nel Comune di Curtarolo, chiedeva, con istanza del 28 dicembre 2000, all'anzidetto Ente il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione sulla predetta area di un impianto di lavaggio e selezione di materiali inerti. Tale richiesta veniva respinta dal Comune con provvedimento del 5 luglio 2001, sul rilievo della non conformità urbanistica del progettato intervento contrasto con la destinazione urbanistica di zona agricola e fascia di rispetto fluviale e per non compatibilità paesaggistica come da parere contrario al rilascio di nulla osta espresso dalla commissione edilizia integrata . L'interessato impugnava innanzi al Tar per il Veneto tale provvedimento di diniego unitamente agli atti presupposti producendo altresì motivi aggiunti in relazione alla variante parziale di PRG concernente l'individuazione di nuovi percorsi ciclabili in aree propsicienti il fiume Brenta nelle more introdotta dal Comune di Curtarolo con le deliberazioni consiliari nn10/2002 e 24/2002. Con sentenza numero 172/04 l'adito Tar respingeva l'impugnativa sopra descritta, giudicandola infondata e avverso tale decisum insorge ora l'interessato affidando al proposto gravame le seguenti censure Eccesso di potere sotto il profilo della situazione di fatto e del difetto di motivazione. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 146 del d.lgs. numero 490/99. Violazione dell'articolo 2 della legge regionale numero 63/94 Violazione di legge. Falsa interpretazione dell'articolo 54 nonché del titolo VII del Piano Territoriale di coordinamento della Regione Veneto Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli articolo 32,33, 39 e 45 delle NTA .del PRG del Comune di Curtarolo. Eccesso di potere per falsità dei presupposti. Violazione e falsa applicazione della l.r. 24/85 Violazione e falsa applicazione dell'articolo 27 della l.r. numero 61/85 Eccesso di potere sotto il profilo della illogicità manifesta , del travisamento dei presupposti e della contraddittorietà del comportamento. Sviamento di potere Violazione di legge. Mancata applicazione degli articolo 24 e 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 numero 112 e degli articolo 3, comma 4 e 5 del DPR numero 20/10/1998 numero 447, come modificato dal d.p.r. 7/12/2000 numero 4440.Falsa applicazione dell'articolo 39 della legge regionale 13/4/2991 numero 11 Eccesso di potere sotto il profilo della contradditorietà e della carenza di motivazione Violazione di legge ed eccesso di potere . Violazione dell'articolo 2 della legge numero 1187/68. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei presupposti e della illogicità manifesta Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento Violazione falsa applicazione degli articolo 7 e ss della legge numero 241/90 Violazione dei principi di trasparenza e correttezza dell'azione amministrativa Violazione articolo 1 delle Norme specifiche di tutela del PTRC valevoli per l'ambito naturalistico numero 20 del medio corso del Brenta Si è costituito in giudizio l'intimato Comune di Curtarolo che contestato la fondatezza del proposto gravame di cui ha chiesto la reiezione. All'odierna udienza pubblica la causa è stata trattenuta in decisione. Diritto La controversia sulla quale la Sezione è chiamata a pronunciarsi riguarda la legittimità o meno di un diniego opposto dall'Amministrazione comunale di Curtarolo in ordine ad un progettato impianto produttivo di lavaggio e selezione di materiali inerti che l'appellante sig. S. M. intende realizzare sul territorio comunale, precisamente in un terreno posto lungo l'argine del fiume Brenta. Il giudice di primo grado con la sentenza qui impugnata ha ritenuto che le ragioni ostative enunciate dal Comune individuate specificatamente nella non compatibilità paesaggistica e non conformità urbanistica dell'opera de qua costituiscono valida ed idonea giustificazione della determinazione di non accoglibilità della richiesta di concessione edilizia. Ciò detto, il Collegio è dell'avviso che le osservazioni e prese statuizioni del Tar del Veneto qui gravate siano meritevoli di integrale conferma. Col primo mezzo d'impugnazione parte appellante appunta le sue critiche sul parere negativo reso in sede di rilascio di nulla osta paesaggistico dalla Commissione edilizia integrata che, a suo dire, sarebbe generico e non sufficientemente motivato, sostenendo altresì la compatibilità paesistica dell'opera in ragione dell'assenza di volumi edificabili. Le dedotte doglianze sono prive di pregio . Premesso che l'esistenza di un vincolo paesaggistico non comporta di per sé il divieto di qualsiasi struttura costruttiva, ma affida all'Autorità competente il compito di valutare la compatibilità dell'intervento con i beni tutelati Stato Sez VI 20 luglio 2009 numero 4560 e tenuto altresì conto del carattere vincolante del parere negativamente espresso dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo, sì da impedire di per sé il rilascio del chiesto titolo ad aedificandum cfr Cons Stato Sez. V 7/9/2009 numero 5232 , nella specie il parere in questione, alla luce delle notazioni da esso recate si appalesa immune dai vizi denunciati. Invero dalla lettura di tale atto si evince chiaramente l'iter logico seguito dalla Commissione che nell'esercizio di un tipico potere tecnico-discrezionale cfr, ex multis, Cons Stato Sez. IV 16/7/2010 numero 4591 ha avuto modo di enunciare nei confronti del progettato intervento una appropriata valutazione di disvalore paesaggistico, ancorando tale giudizio a concrete circostanze di luogo e di fatto, costituite dall'esistenza di un ecosistema, quello del fiume Brenta cui concorre, come opportunamente fatto presente dalla Cei la presenza in situ di piantumazioni autoctone la cui pregevolezza, come pure sottolineato da tale Organo, è meritevole di essere preservato proprio in relazione a quanto si intende realizzare da parte del sig. S. M L'interessato ritiene che quanto osservato dalla CEI costituisca insufficiente motivazione, ma, per il vero, non si riesce a comprendere che altro avrebbe potuto o dovuto dire l'Organismo in questione oltre a quanto concretamente e congruamente fatto presente, lì dove sono stati debitamente, ancorché succintamente messi in luce gli effetti per così dire perniciosi sull'habitat ambientale fluviale di un insediamento che per come strutturato e per le finalità da esso perseguite è ontologicamente inconciliabile con i tratti paesaggistici ambientali del sito che la CEI con il reso parere intende chiaramente tutelare. Della esaustività logica delle ragioni contenute nel suddetto parere ha dato peraltro adeguata contezza nella parte narrativa la sentenza il TAR del Veneto, sicché in relazione sia all'operato della Commissione Edilizia Integrata che alle osservazioni del giudice di primo grado di alcunché parte appellante può fondatamente dolersi. L'assenza poi di volumi edilizi tout court invocata dalla parte appellante non vale a mettere in non cale la valutazione negativamente espressa dall'Organo preposto alla tutela in questione la circostanza non vale certo a fornire del requisito di compatibilità paesaggistica l'intervento de quo dal momento che vengono in rilievo strutture, manufatti ed opere che per loro natura, caratteristiche e consistenza comportano una trasformazione dello stato dei luoghi idonea a recare un impatto negativo sul paesaggio circostante, sì da giustificare ,come da giudizio correttamente espresso dall'Autorità ivi preposta il non assentimento del progettato impianto. Col secondo motivo di ricorso parte appellante contesta la fondatezza di quanto asserito dal Comune circa il contrasto con le disposizioni dettate dal PTRC per la tutela del Medio Corso del Brenta. Ora, ove pure si dovesse convenire come sostenuto dallo S. sul fatto che le previsioni prescrizioni recate dal predetto strumento di pianificazione non riguardano l'area di che trattasi, quella recata dal PTRC è comunque solo una disciplina ulteriore ed aggiuntiva in tema di salvaguardia ecologica del territorio, di talché rimane comunque fermo, come sopra evidenziato, ai fini qui in contestazione, il riscontrato contrasto da parte degli Organi a ciò preposti, del realizzando opificio con i valori paesaggistici oggetto di tutela da parte del legislatore a mezzo della normativa di carattere primario di cui al d.lgs. numero 490/99 e tale circostanza è di per sé sufficiente a giustificare legittimamente la negata autorizzabilità dell'impianto produttivo per cui è causa. Col terzo motivo di gravame vengono mosse censure in ordine alla seconda delle ragioni pure assunte dal Comune a sostegno del diniego e cioè il contrasto con la destinazione d'uso agricola impressa dal PRG alla zona in cui insiste l'area destinata ad ospitare l'impianto per cui è causa. In effetti su tali censure il Tar ha ritenuto di sorvolare , in ragione della natura per così dire assorbente conferita correttamente dal giudice di primo grado al motivo ambientale, stante la valenza ostativa della ragione opposta nondimeno va qui rilevata l'infondatezza delle doglianze attinenti il profilo urbanistico edilizio pure reiterate dall'interessato. Fermo che la parte prevalente dell'impianto si trova ubicata in zona agricola e che, come ammesso dalla stessa difesa dell'Ente resistente il terreno destinato per la gran parte all'insediamento in parola è classificato come E3, le norme tecniche di attuazione del PRG di Curtarolo come introdotte con la variante approvata con delibera della Giunta Regionale numero 229/2000 articolo 32 e ss dopo aver definito le ZTO E le parti del territorio destinate all'esercizio dell'attività produttiva agricola e fatto presente che per dette zone valgono le disposizioni della l.r. 5 marzo 1985 numero 24 tutela ed edificabilità delle zone agricole , prevedono diverse sottozone per le quali viene dettata una disciplina di limitata ammissibilità degli interventi edilizi, secondo variabili caratteristiche, sempre però compatibili con la destinazione rurale dei siti individuati. Al riguardo parte appellante con riferimento alla disciplina dettata per la sottozona E3 nel sottolineare il carattere residuale di tale zona agricola, invoca in sostanza l'applicabilità di quell'orientamento per cui nelle predette zone è possibile realizzare interventi edificatori non strettamente funzionali all'attività agricola Un siffatto argomentare non può essere utilizzato a valido supporto dei dedotti profili di illegittimità, per la semplice ragione che in relazione alla natura e consistenza della erigenda struttura, si è al di fuori dell'ambito oggettivo di applicabilità di quale che sia previsione di edificabilità o comunque trasformazione delle aree di che trattasi, nei sensi s'intende richiesti dalla parte appellante. Vanno qui in linea prioritariamente logica qui richiamati alcuni principi giurisprudenziali più volte affermati in subiecta materia da questo Consiglio di Stato, secondo cui le scelte urbanistiche sono connotate da un 'amplissima discrezionalità , sottratte al sindacato di legittimità se non per palesi vizi di irragionevolezza Sez. IV 9/7/2002 numero 3817 idem 6/2/2002 numero 664 , così come la scelta di destinare un'area ad uso agricolo risponde nell'ambito di un pianificazione omogenea del territorio comunale all'esigenza di salvaguardare la vocazione agricola delle aree stesse anche ai soli fini naturalistici questa Sezione 27/7/2010 numero 4920 la destinazione agricola impressa ad un suolo non risponde necessariamente al'esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione , dal momento che ben può essere concretamente volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni cfr Sez. IV 18/1/2011 numero 352 . Ora , pur a fronte d una normativa comunale che ammette vedi articolo 39 delle NTA una limitata presenza in zona E3 di interventi edilizi finalizzati comunque alla tutela del territorio agricolo , nella specie viene in rilievo un'opus un impianto di lavaggio e selezione di inerti che in ragione delle sue caratteristiche strutturali e alla sua concreta utilizzazione si appalesa del tutto inconciliabile con le finalità di una zona agricola anche a voler considerare la sottozona E 3 residuale . In particolare, il manufatto che si intende realizzare per le opere a farsi comprensivo delle aree ad esso pertinenziali è un opificio produttivo industriale che, in quanto tale, potrebbe trovare allocazione solo in altre aree a ciò dedicate, quelle, appunto, a destinazione industriale produttiva Zona D , in parti del territorio cioè vocate a tali scopi, dovendosi conclusivamente prendere atto della lapalissiana constatazione che un impianto di lavaggio e selezione di inerti tale è l'espressa definizione delle opere data dalla stessa parte appellante in sede di richiesta di titolo ad aedificandum per sua natura è distante anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo dell'area. Di qui la legittimità del rilevato contrasto del progettato intervento con la normativa urbanistico-edilizia comunale, opposta, unitamente alle ragioni di non compatibilità paesaggistica, a sostegno del diniego per cui è causa. Non sono configurabili, poi, a carico del provvedimento de quo i profili di illegittimità per contraddittorietà e sviamento pure denunciati dall'appellante in relazione al fatto che esisterebbero sempre lungo il fiume Brenta altri impianti del genere di quello qui in contestazione. In primo luogo non è dimostrato che si versi in situazioni del tutto omologhe a quella qui in rilievo, inoltre non è dato sapere la risalenza nel tempo di tali strutture anche in relazione alla individuazione del regime giuridico ad esse applicabile ed in ogni caso, le eventuali situazioni di irregolarità che si sarebbero in precedenza verificate non valgono certo a giustificare un operato dell'Amministrazione che continui perpetrare ulteriori illegittimità produttivi di ulteriori, indebiti alterazioni ambientali di uno stato dei luoghi già vulnerato. Vanno pure disattese le censure dedotte col quinto e sesto motivo d'appello con cui viene denunciata la mancata attivazione della procedura di definizione dell'istanza di autorizzazione secondo la normativa recata in tema di sportello unico. In primo luogo va rilevato, come già messo correttamente in luce dal TAR, che alla data di adozione del provvedimento di diniego 5 luglio 2001 non era ancora decorso il termine novanta giorni previsto dall'articolo 39 comma 7 della l.r. numero 11/2001 per l'attivazione della invocata procedura dello sportello unico , sicché alcun obbligo in tal senso può rinvenirsi a carico dell'Amministrazione e correlativamente alcun inadempimento . Ad ogni modo, quanto agli aspetti sostanziali della questione, non si può certo pensare ad una automatica , pedissequa applicazione della normativa dello sportello unico, con la convocazione della conferenza dei servizi per il solo fatto che la parte interessata ne avesse fatto esplicita richiesta, peraltro, solo successivamente alla presentazione della domanda di rilascio di concessione edilizia. Invero, non può certo essere sottratto all'Amministrazione comunale il potere dovere di valutare l'esistenza dei presupposti giustificativi del ricorso al modulo procedimentale ex articolo 14 della legge numero 241/90 in luogo della decisione di procedere in via ordinaria, una volta che, secondo la scansione cronologica dei fatti che ha contraddistinto la vicenda all'esame, era intervenuto in data 21 giugno 2001 verbale numero 497 il parere negativo della Commissione Edilizia Integrata , atto di per sì prioritariamente logico ad ogni altra eventuale positiva definizione della pratica. Rimangono da esaminare i restanti mezzi d'impugnazione motivi 7,8,9 e 10 reiterativi dei motivi aggiunti di primo grado proposti avverso la variante urbanistica nelle more intervenuta che individua lungo il fiume Brenta delle piste ciclabili e in ordine alle questioni sollevate non si può non convenire sulla statuizione di sostanziale improcedibilità del giudizio assunta dal primo giudice. Invero, anche a voler ammettere che le nuove sopravvenute previsioni urbanistiche siano illegittime, un eventuale annullamento delle stesse non gioverebbe minimamente alla parte appellante dal momento che la rimozione di tale normativa non comporta il travolgimento dell'originario provvedimento di diniego impugnato con il ricorso principale di primo grado che poggia su autonomi, legittimi motivi di carattere preclusivo. Di talché, con riferimento a tali mezzi d'impugnazione l'annullamento giurisdizionale non essendo in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente produce una sostanziale improcedibilità dei motivi di gravame in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 3/9/2009 numero 5191 . Quanto, infine, alla pretesa risarcitoria pure formalmente fatta valere, la stessa si appalesa improponibile vuoi in relazione alla inosservanza dell'onere di dimostrazione dei danni derivanti dalla mancata attivazione dell'attività sottesa alla chiesta autorizzazione, vuoi perché in assenza di atti illegittimi e/o comportamenti contra legem da parte dell'Amministrazione comunale , non può configurarsi cfr Ad Pl. numero 12/07 una condotta della P.A. causativa di responsabilità patrimoniale. In forza delle sue stesse considerazioni, l'appello è infondato e come tale va respinto. Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e competenze del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in euro 3.000,00 tremila/00 oltre IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.