Ok alla confisca dell'intera società se non si può scindere la provenienza lecita dei capitali da quella illecita

Se la società è inquinata , in maniera da non poter distinguere la parte lecita dei capitali dalla parte illecita, è possibile disporre il sequestro dell'intera società. A tal fine, non è richiesto un vincolo di pertinenzialità tra la cosa e il reato.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38538/2011 depositata il 25 ottobre, ha stabilito che il sequestro preventivo, ex art. 12 sexies l. n. 356/1992, può avere ad oggetto anche un'intera società, nei casi in cui sia riscontrabile un inquinamento dell'intera attività della stessa . Aggiunge altresì che, per questo tipo di sequestro, non è richiesto un vincolo di pertinenzialità tra la cosa e il reato. Il caso. Il Tribunale del riesame respingeva il ricorso, presentato dall'indagato per il delitto di usura art. 81 cpv. e 644 comma 1 e 5 n. 4 c.p. , avverso il decreto di sequestro preventivo sui suoi beni, quelli del coniuge e della società di cui egli era amministratore, finalizzato alla confisca per equivalente art. 12 sexies l. 356/1992 . Viene proposto ricorso per cassazione lamentando assenza del nesso di pertinenzialità di alcuni beni che, seppur acquisiti in epoca anteriore al tempus delicti, sono stati comunque sequestrati. In più, secondo il ricorrente, è illegittimo anche il sequestro dei beni di sua moglie, in quanto terza estranea rispetto al reato, nonché il sequestro dell'intera società da lui amministrata. Il riesame deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale. La Suprema Corte sottolinea, in primis, che tra i presupposti di ammissibilità del sequestro preventivo non c'è né la fondatezza dell'accusa né la colpevolezza dell'imputato, ma l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato sent. n. 40425/2008 . In più, i giudici di legittimità precisano che in materia di sequestro preventivo, ai fini della confisca di beni patrimoniali art. 12 sexies l. n. 356/1992 in tema di criminalità organizzata - o, come nel caso di specie, di usura - non è richiesto un vincolo di pertinenzialità tra la cosa e il reato previsto dall'art. 240 c.p. . Questo perché - aggiunge il Collegio - il legislatore ha operato una presunzione di accumulazione, senza distinguere se tali beni siano o no derivati dal reato per il quale si procede o è stata inflitta una condanna . È sufficiente dimostrare che l'attività svolta non può procurare al titolare apparente il bene contestato. In merito al sequestro dei beni del coniuge, la S.C. ha affermato che vi è una inversione dell'onere della prova ogniqualvolta il titolare apparente dei beni nel caso in esame, lo stesso coniuge non svolge una attività tale da procurargli il bene contestato. Società sequestrata se è impossibile distinguere tra parte lecita e illecita. Anche l'ulteriore motivo di ricorso è ritenuto inammissibile. Infatti, come già stabilito in passato dal Collegio sent. n. 2737/2010 , il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche un'intera società, nei casi in cui sia riscontrabile un inquinamento dell'intera attività della stessa, così da rendere impossibile distinguere tra la parte lecita dei capitali e quella illecita . Ricorso, pertanto, completamente inammissibile e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, più 1.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 30 settembre - 25 ottobre 2011, numero 38538 Presidente Fiandanese - Relatore Gentile Considerato in fatto Nell'ambito del procedimento penale a carico di M.B. il Tribunale di Latina, in data 18.10.2010, emetteva il decreto di sequestro preventivo sui beni dell'indagato, del coniuge e della società Augusta Immobiliare 55 srl di cui il M. era amministratore, provvedimento finalizzato anche alla confisca per equivalente ex art. 12 sexies Legge 356/92 in quanto il M. era indagato, tra l'altro, anche per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 644 co. 1 e 5 numero 4 c.p. - l'indagato proponeva impugnazione ma il Tribunale per il riesame di Latina respingeva il ricorso - ricorre per cassazione il M. a mezzo del Difensore di fiducia, deducendo MOTIVI ex art. 606, 1 co, lett. b c.p.p 1 - Con il primo motivo il ricorrente censura l'ordinanza per violazione dell'art. 12 sexies Legge 356/92 e art. 321 c.p.p., per avere motivato in maniera inadeguata riguardo al fumus ed al periculum , in quanto - si erano presi in considerazione gli elementi indiziari agli atti del PM e della consulenza disposta da quest'ultimo che, però, erano del tutto insufficienti - si era ritenuta la presunzione di illecita provenienza dei beni acquisiti in epoca anteriore al tempus delicti trascurando ogni nesso di pertinenzialità - si era esteso il sequestro anche alla moglie dell'indagato sig.ra A D. , terzo estraneo rispetto al reato - si era ritenuto applicabile l'art. 12 sexies legge 356/92 anche alla persona giuridica Augusta Immobiliare 55 srl - si era ritenuto inammissibile il ricorso dell'indagato rispetto ai beni sequestrati alla società per carenza di legittimazione, ignorando che il M. ne era l'amministratore unico CHIEDE l'annullamento del provvedimento impugnato. Considerato in diritto I motivi di ricorso sono palesemente infondati. Quanto ai motivi relativi al merito del sequestro preventivo va subito evidenziato che lo stesso appare emesso nell'ambito dei criteri dettati dall'art. 321 c.p.p., atteso che il Tribunale ha motivato in ordine al fumus del reato di cui all'art. 644 c.p., richiamando i dati fattuali su cui si fondava l'imputazione e la necessità di assicurare l'eventuale confisca ex art. 12 sexies Legge 356/92, osservando - che l'attività usuraria del M. emergeva dalle dichiarazioni delle persone offese e dalle indagini svolte dalla PG - che tale elementi indiziari risultavano confermati - dalla molteplicità dei titoli sequestrati e - dalla consulenza contabile disposta dal PM - che, inoltre, il decreto di sequestro era stato emesso dopo il rinvio a giudizio, sicché vi era stata già una positiva delibazione dell'ipotizzata fattispecie di reato Il ricorrente censura tale motivazione con i motivi sopra sintetizzati, ma occorre osservare che le argomentazioni utilizzate non colgono nel segno atteso che tra i presupposti di ammissibilità del sequestro preventivo non c'è né la fondatezza dell'accusa né la colpevolezza dell'imputato, ma l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato, sicché l'indagine che il Tribunale deve compiere sulla gravità indiziaria è circoscritta alle cautele rese necessarie allo stato delle indagini, valutabili in termini complessivi all'esito della conclusione dell'attività investigativa. Cassazione penale, sez. II 15 ottobre 2008, numero 40425 . Sulla scorta di tali principi, la verifica del Tribunale del riesame sulle condizioni di legittimità della misura cautelare non deve tradursi in un'anticipata decisione della questione di merito riguardante la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi. Cassazione penale, sez. IV, 06 novembre 2008, numero 47032 . Ne deriva la piena sufficienza della motivazione ai fini della individuazione del fumus richiesto per la configurazione - in astratto - dell'imputazione di usura, restando assorbito in tale valutazione anche il motivo relativo alla possibile confisca ex art. 12 sexies L. 356/92, posto che l'astratta configurabilità dell'imputazione ex art. 644 c.p. configura il quadro normativo in cui collocare il ricorso a tale istituto. La Giurisprudenza è concorde nell'affermare il principio, cui si uniforma il Collegio, che Le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 numero 306, conv. in l. 7 agosto 1992 numero 356, consistono, quanto al fumus commissi delicti , nell'astratta configurabilità, nel fatto attribuito all'indagato di una delle ipotesi criminose previste dalle norme citate, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità e, quanto al periculum in mora , coincidendo quest'ultimo con la confiscabilità del bene, nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi . Cassazione penale, sez. II 16 gennaio 2009, numero 17877. Quanto ai motivi proposti riguardo alla sproporzione, la Giurisprudenza è consolidata nel ritenere che le questioni relative al merito dei criteri costitutivi degli istituti, quali la proporzionalità tra il valore dei beni in sequestro ed il reddito degli indagati, non possono formare oggetto di ricorso per cassazione, non essendo possibile surrettiziamente introdurre in sede di legittimità un controllo che investa, sia pure in via incidentale, il merito dell'imputazione Cass. Penumero Sez. V, 07.07.1993 . In ogni caso, va osservato che il Tribunale ha motivato riguardo agli indizi sulla sproporzione facendo ricorso ad argomenti esenti da illogicità evidenti e perciò non censurabili in questa sede, come la estrema modestia dei redditi dichiarati dall'indagato e dalla moglie, del tutto inidonei a giustificare il patrimonio accumulato. Né possono ritenersi fondati i rilievi sulla dedotta mancanza di pertinenzialità essendo principio ormai acquisito che il sequestro preventivo e la successiva confisca dei beni patrimoniali previsti dall'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992 numero 306, conv. dalla l. 7 agosto 1992 numero 356, prescindono dall'accertamento della data di acquisto dei beni, giacché non sono subordinati all'accertamento di un nesso eziologico tra i reati presupposti tassativamente indicati nella suddetta norma e i beni oggetto della cautela reale e del successivo provvedimento ablatorio, dal momento che il legislatore ha operato una presunzione di accumulazione, senza distinguere se tali beni siano o no derivati dal reato per il quale si procede o è stata inflitta condanna. Ne consegue che non è necessaria la sussistenza del nesso di pertinenzialità tra la cosa e il reato prevista dall'art. 240 c.p., essendo sufficiente un vincolo pertinenziale, di significato peculiare e più ampio, tra il bene e l'attività delittuosa facente capo al soggetto, connotato dalla mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza del patrimonio nel possesso del soggetto nei confronti del quale sia stata pronunciata condanna o sia stata disposta l'applicazione della pena. Cassazione penale, sez, II, 18/05/2010, numero 27171 . Per quanto riguarda le censure sul sequestro dei beni della società Augusta Immobiliare 55 srl , premesso il principio per il quale il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato può riguardare una intera società ed il relativo compendio aziendale quando sia riscontrabile un inquinamento dell'intera attività della stessa, così da rendere impossibile distinguere tra la parte lecita dei capitali e quella illecita Cass. Pen Sez. I, 21.12.2010 numero 2737 , va rimarcata la correttezza della pronunzia di inammissibilità del reclamo perché proposto direttamente e personalmente dal M. , soggetto non legittimato, mentre andava proposto dalla società. Si tratta di una decisione in linea con i principi elaborati dalla Giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato come l'indagato che proponga richiesta di riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo di un bene di cui egli non sia titolare, deve vantare un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, Cass. Penumero sez. V, 21.10.2008 numero 44036 circostanza correttamente ritenuta assente nella specie. Infine sono inammissibili i motivi con i quali si censura l'ordinanza per avere ritenuto legittimo il sequestro di beni intestati al coniuge, atteso che in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di cui all'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, numero 306, conv. in l. 7 agosto 1992, numero 356, sussiste, a carico del titolare apparente di beni, una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, in forza della quale è sufficiente dimostrare che il titolare apparente nella specie coniuge dell'indagato non svolge un'attività tale da procurargli il bene, per invertire l'onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l'acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo. Cassazione penale, sez. VI, 24/10/2000, numero 3889 . È appena il caso di osservare che, a fronte della motivazione del Tribunale che ha rilevato la totale insufficienza dei redditi della sig.ra D. ai fini della proporzionalità con il bene a lei intestato nonché la completa sovrapponibilità della sua posizione reddituale ed economica con quella del marito, nessuna deduzione concreta è stata allegata nei motivi di ricorso che, sul punto, risultano del tutto generici. I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell'art. 606 lett. e c.p.p. in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicché sono da ritenersi inammissibili. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro.1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.