Libero il notaio senza sigillo e smart card

Non può esserci peculato se sigillo e smart card sono stati ritirati. In più, la consulenza contrattuale e fiscale non integrano l'esercizio abusivo della professione, quindi le misure cautelari non sono consentite.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26158/2011 depositata il 5 luglio, ha stabilito che il notaio a cui sono stati ritirati sigillo e smart card è impossibilitato dal reiterare il reato di peculato. Le sue consulenze contrattuali e fiscali non integrano l'esercizio abusivo della professione e, anche se fosse, non è consentita l'applicazione di misure cautelari. La fattispecie. Il gip applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di un notaio, che si era reiteratamente appropriato dell'equivalente in denaro di cambiali ricevute per la riscossione da istituti di credito. Già sottoposto in passato a tale misura, il professionista era stato anche interdetto dalla professione notarile, con ritiro del relativo sigillo e della smart card per la conclusione degli atti. In realtà, però, il notaio continuava a lavorare anche grazie all'aiuto di due colleghi compiacenti che firmavano gli atti, ai quali poi fatturava prestazioni di consulenza . Il Gip, quindi, aveva ritenuto necessaria la misura cautelare domiciliare per evitare la reiterazione dei reati. Il notaio propone ricorso per cassazione. Privato del sigillo e della smart card era impossibilitato a compiere atti tipici del notaio. Secondo il ricorrente, l'impossibilità di compiere atti tipici del notaio fa venir meno i presupposti di fatto per la reiterazione del reato di peculato, pertanto la rinnovazione della custodia cautelare non è legittima. L'attività di consulenza contrattuale e fiscale non può essere compresa in quella tipica della professione notarile. Premesso questo, nel caso di specie, non può trattarsi di esercizio abusivo di una professione art. 348 c.p. proprio perché le attività di consulenza svolte dal ricorrente non rientrano in quelle tipiche del notaio. A prescindere da ciò, è da rilevare che la fattispecie citata, visto il limite di pena edittale pari a un massimo di sei mesi, non consente l'adozione di misure cautelari. I fatti di peculato continuato non risultano reiterati mancano i pericula libertatis. Per tutte queste ragioni la S.C. annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone l'immediata liberazione del ricorrente.

Corte di Cassazione, sez VI Penale, sentenza 5 luglio 2011, n. 26158 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 3 dicembre 2010, il Tribunale di Firenze, adito ex art. 309 c.p.p., confermava l'ordinanza in data 12 novembre 2010 dei Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di in relazione al reato di peculato continuato ascrittogli, commesso nell'ambito della sua attività professionale di notaio, essendosi egli reiteratamente appropriato dell'equivalente in denaro di cambiali ricevute per la riscossione da istituti di credito in tra il dicembre del 2008 e il dicembre del 2009 . Analoga misura era stata in precedenza applicata con ordinanza dei G.i.p. del 14 luglio 2010 e successivamente revocata con ordinanza del 29 luglio 2010 per il venir meno delle esigenze cautelari, avendo reso sostanziale confessione ed essendo egli stato interdetto dalla professione notarile, con ritiro del relativo sigillo e la presa in consegna dello studio e dei documenti da parte di altro notaio delegato dal Consiglio notarile di Firenze. Ne derivava, secondo detta successiva valutazione del G.i.p., che fosse impedito di fatto dal compiere atti tipici del notaio e in particolare che egli potesse reiterare ulteriori condotte di peculato, avendo gli istituti di credito revocato le convenzioni con il suo studio. Nella ordinanza di revoca della misura cautelare si dava atto che il aveva ammesso di frequentare ancora lo studio per consulenze gratuite di tipo immobiliare o testamentario a favore di clienti già conosciuti condotta che si riteneva non ricadere nell'ambito del provvedimento di interdizione e che comunque non poteva portare alla consumazione di ulteriori fatti di peculato analoghi a quelli che cui si procedeva a suo carico. Successivamente era venuto in luce che contrariamente a quanto da lui asserito, si era stabilmente servito di due colleghi compiacenti, ai quali veicolava propri clienti, che si limitavano alla formale sottoscrizione di atti da lui predisposti, essendo egli di fatto presente alla formazione degli atti, e che tale attività non era affatto svolta gratuitamente, tanto che emetteva fatture per consulenze a favore dei colleghi, regolarmente pagate e che talvolta i clienti emettevano assegni con beneficiario in bianco consegnandoli direttamente a lui. Tali circostanze conducevano alla nuova applicazione della misura cautelare, avendo il G.i.p. ritenuto, nella ordinanza del 12 novembre 2010, che esse, seppure non direttamente omogenee rispetto alle condotte di peculato contestate, concretavano il pericolo che già condannato per fatti di violazione delle norme in materia fiscale, simulazione di reato, falsità in atto pubblico, potesse reiterare reati in danno di soggetti che venissero in contatto con lui nell'ambito della sua attività professionale. Inoltre, le esigenze cautelari avevano ripreso concretezza a seguito della cessazione dell'efficacia del provvedimento di interdizione dalla professione, a partire dai 3 novembre 2010. Si riteneva conclusivamente necessario, per fare fronte a dette esigenze, il ripristino della misura cautelare domiciliare. 2. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame esprimeva condivisione alle ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. 3. Ricorre per cassazione con atto sottoscritto personalmente nonché dal difensore avv. . 3.1. Denuncia con un primo motivo la violazione dell'art. 299 c.p.p., e il vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari, rilevando che erano tuttora attuali gli elementi di fatto che aveva condotto in precedenza alla revoca del provvedimento cautelare, costituiti sia dal ritiro del sigillo notarile sia dalla revoca da parte degli istituti di credito delle convenzioni relative all'attività di protesto dei titoli cambiari. Dunque, privato inoltre anche della smart card necessaria per le operazioni notarili, era tuttora impossibilitato a compiere atti tipici del notaio. 3.2. Con un secondo motivo, con cui si denuncia la violazione dell'art. 348 c.p. e dell'art. 274 c.p.p., il ricorrente osserva, richiamando anche un orientamento giurisprudenziale, che l'attività di consulenza contrattuale o fiscale non poteva certamente essere compresa in quella tipica della professione notarile, come del resto, sia pure contraddittoriamente, riconosciuto dalia stessa ordinanza impugnata, secondo cui aveva emesso fatture per consulenze non previste dall'ordinamento notarile. Ne conseguiva che l'ordinanza si era basata sulla prospettazione dì un reato, quello di cui all'art. 348 c.p. che non solo non era giuridicamente configurabile, essendo detta attività di consulenza non specifica della professione notarile e neppure di altra professione, ma che non poteva costituire base, stanti i limiti edittali, per l'adozione dì un provvedimento cautelare. 3.3. Con un terzo motivo, il ricorrente denuncia sotto altro aspetto la violazione dell'art. 274, comma 1, lett. e , c.p.p., osservandosi che il pericolo di reiterazione delle condotte contestate doveva ritenersi insussistente per Se ragioni già dette e che comunque le fatture emesse per la consulenza prestata si riferivano a periodo precedente alla ordinanza del 14 luglio 2010 con la quale era stata emessa per la prima volta la misura cautelare. Da allora non erano sopraggiunti elementi nuovi, e comunque illegittimamente con la nuova misura cautelare si tenderebbe a impedire un'attività, estranea alle funzioni tipiche del notaio, finalizzata a soddisfare esigenze elementari di vita sue e del suo nucleo familiare. 3.4. Con un quarto motivo, sotto ulteriore profilo, denuncia la violazione dell'art. 274, comma 1, lett. e , c.p.p., rilevando che impropriamente si richiamano nella ordinanza impugnata precedenti penali che o sono venuti meno a seguito di giudizio revisione della condanna frode fiscale o non sono della stessa indole dei reato di peculato falsi in atto pubblico . 3.5. Infine denuncia la violazione dei principio dì presunzione di non colpevolezza garantito dall'art. 27, comma secondo, Cost., e dall'art. 6, n. 2 della CEDI , che impediscono ogni forma di restrizione della libertà personale in funzione di anticipazione della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso appare fondato. 2. Le condotte considerate dall'ordinanza con la quale è stata ripristinata la misura carceraria, stando allo stesso contenuto argomentativo dell'ordinanza impugnata, non hanno nulla a che fare con quelle per il quale è stato sottoposto a procedimento penale e sottoposto a misure dì coercizione personale. 3. Tali ulteriori condotte riguarderebbero attività professionali abusivamente esercitate, integranti in ipotesi il reato di cui all'art. 348 c.p., per il quale, a norma dell'art. 280 c.p.p., non sono adottabili misure di coercizione personale mentre il procedimento penale che viene qui in considerazione attiene a fatti di peculato continuato appropriazione del denaro ricevuto in riscossione di cambiali affidate da istituti di credito che non solo non risultano essere stati reiterati, ma che nemmeno allo stato lo potrebbero, stante l'accertata revoca da parte degli istituti di credito delle convenzioni con il suo studio, che non risulta essere stata superata da fatti nuovi. 4. Mancando del tutto, quindi, i pericula libertatis rappresentati nell'ordinanza impugnata, questa deve essere annullata senza rinvio, con conseguente liberazione dell'imputato se non detenuto per altra causa. La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone la immediata liberazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.