Evasione fiscale, soglia di punibilità senza spese

La soglia d'imposta, oltre la quale scatta la condanna per evasione fiscale, va calcolata al netto dei costi sostenuti dal contribuente.

La soglia d'imposta, oltre la quale scatta la condanna per evasione fiscale, va calcolata al netto dei costi sostenuti dal contribuente. Ad affermarlo è la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8982 deposita l'8 marzo 2011. La fattispecie. Tre amministratori di fatto di una società, avendo evaso imposte per un ammontare superiore ai 77mila euro, venivano accusati di omessa dichiarazione ed evasione fiscale. Pertanto, il GIP disponeva il sequestro di tre immobili, ritenuti corrispondenti al profitto del reato. Il Tribunale confermava la misura cautelare disposta e i tre indagati ricorrevano per cassazione. Soglia d'imposta al netto dei costi. Al riguardo, la S.C. osserva come il Tribunale abbia errato nel ritenere che, ai fini del calcolo dell'imposta evasa, debba tenersi conto solo degli elementi positivi di reddito ai fini dell'integrazione del reato ex art. 5, D.Lgs. n. 74/2000, punito solo ove abbia determinato una evasione di imposta pari a 77,468,53 euro, per imposta evasa deve intendersi l'intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d'esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento tributario. Non solo. Al giudice penale individuare il tetto, anche confutando la CTP. Ai fini del superamento della soglia di punibilità stabilita dalla legge, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario. Limiti alla punibilità per evasione fiscale. Pertanto, sulla base di tali considerazioni, ai giudici di legittimità non resta che annullare con rinvio la condanna per evasione fiscale disposta nei confronti dei tre imputati.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 gennaio 8 marzo 2011, numero 8982 Presidente De Maio Relatore Amoresano Osserva 1 Con ordinanza in data 17 giugno 2010 il Tribunale di Pistoia rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di , e , avverso il provvedimento del GIP del 17.5.2010, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di quattro unità immobiliari appartenenti ai predetti, indagati per il reato di cui all'articolo 5 D.L.vo 74/2000. Premetteva il Tribunale che, nel corso di una verifica fiscale nei confronti della I.C.M. IN.CO.M. , era emersa la gestione diretta e continuativa di tre società romene da parte della predetta INCOM, tramite gli indagati, i quali si occupavano della conduzione delle attività produttive, degli aspetti gestionali e della organizzazione giornaliera/ordinaria, rivestendo quindi la qualifica di amministratori di fatto. Il GIP, ritenendo applicabile il disposto di cui all'1 comma 143 1.244/07. Tanto premesso, riteneva il Tribunale che ricorresse il fumus del reato ipotizzato, in quanto, svolgendo gli indagati attività di amministratori di fatto, avevano l'obbligo di presentazione della dichiarazione, con la conseguenza che la mancata presentazione rendeva applicabile la sanzione di cui all'articolo 5 D.L.vo 74/2000 Quanto alla eccepita mancata determinazione dell'esatto ammontare dell'imposta evasa, assumeva il Tribunale che, a differenza del provvedimento di confisca, in sede di sequestro preventivo ex articolo 321 comma 2 bis c.p.p. non fosse necessaria una siffatta precisa determinazione. Il quantum dell'imposta evasa calcolata come emergeva dalla stessa informativa della G.d.F. al lordo senza cioè tener conto dei costi non impediva l'imposizione del vincolo cautelare, tenuto conto, peraltro, che l'impossibilità di accertamento sarebbe stata determinata dalla mancata esibizione della documentazione da parte degli stessi indagati. L'incompletezza dei dati richiamati dalla difesa rendeva, comunque, allo stato, infondato l'assunto di aver sostenuto costi di gestione e produzione che avrebbero determinato il calcolo di una imposta al di sotto della soglia di punibilità. Infine, ai sensi dell'articolo 52 comma 5 DPR 633/72, per l'accertamento delle imposte non possono essere presi in considerazione elementi favorevoli per le detrazioni ove risultino da libri, registri, fatture e documenti di cui è stata rifiutata l'esibizione. 2 Ricorrono per Cassazione gli indagati, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge in relazione agli 321 c.p., non sussistendo i presupposti per disporre il sequestro. Come risulta chiaramente dal provvedimento del GIP, il sequestro è stato disposto perchè funzionale alla confisca per equivalente. Secondo la ormai pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione, tale sequestro nei confronti di un soggetto indagato per uno dei reati dì cui all'articolo 322 ter c.p. può essere disposto per il prezzo e non anche per il profitto del reato. I quattro immobili sono stati sequestrati per il valore corrispondente al profitto identificato nel quantum dell'imposta evasa il sequestro pertanto è illegittimo. In ogni caso non è indicata alcuna relazione tra i beni sequestrati ed il reato ipotizzato. Sul punto manca totalmente la motivazione. Il Tribunale non ha, poi, tenuto alcun conto della costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale l'accertamento e la determinazione dell'imposta evasa. In applicazione del principio contenuto nell'articolo 193 c.p.p., anche nella fase delle indagini preliminari, ai fini dell'accertamento dei reati tributari, vanno considerati, in ordine al fumus, tutti gli elementi indiziari e prova sia a favore che a sfavore dell'indagato . Il Tribunale, invece, ha tenuto conto soltanto degli elementi positivi di formazione del reddito. Eppure dalle indagini della polizia giudiziaria erano emersi elementi negativi concorrenti alla determinazione del reddito e della base imponibile delle tre società romene. I bilanci di tali società erano stati puntualmente esaminati, e la polizia tributaria aveva correttamente tenuto conto degli elementi positivi e negativi come emerge da una semplice lettura dei processi verbali di constatazione . Per gli anni 2007 e 2008, che costituiscono oggetto del procedimento cautelare, non vi era certamente il superamento della soglia di punibilità. Anche perché dal preteso debito fiscale verso l'Italia doveva dedursi necessariamente l'imposta romena sui redditi delle società. II rifiuto del Tribunale di considerare gli elementi negativi è palesemente illegittimo anche con riferimento all'articolo 53 Cost. . Con il secondo motivo denunciano la violazione dell'1 comma 143 L. 244/07. E' pacifico che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente possa essere disposto soltanto per i reati tributari commessi a partire dal 1 gennaio 2008. Il sequestro per la pretesa evasione di imposta per l'anno 2007 è pertanto illegittimo. Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'18 L. 241/90. L'articolo 52 riguarda l'IVA e non le imposte sul reddito, come erroneamente ritiene il Tribunale. Le preclusioni in detta norma previste non possono, comunque, rilevare in sede di accertamento penale in ogni caso non vi è stato rifiuto di esibizione, dovendo la richiesta essere avanzata nei confronti dei rappresentanti legali. I ricorrenti non avevano alcuna legittimazione a ricevere la richiesta. Peraltro, a norma dell'articolo 6 comma 4 L.212/2000, al contribuente non possono essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria. Infine non sussiste alcuna discordanza tra i dati offerti dai ricorrenti e quelli risultanti dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di verifica. 3 Il ricorso è fondato nei limiti e nei termini di seguito indicati. 3.1 Correttamente il Tribunale ha ritenuto che, in relazione ai reati tributari, la confisca per equivalente si applichi sia al prezzo che al profitto del reato. L'10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 D.L.vo 10 marzo 2000 numero 74 si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'articolo 322 ter del codice penale . Il richiamo in toto all'articolo 322 ter cod.penumero la giurisprudenza successiva è assolutamente conforme ex multis Cass. sez. l numero 30790 del 30.5.2006 sez. 2 numero 10838 del 20.12.2006 sez. 2 numero 23425 del 12.4.2007 sez. 6 numero 37090 del 30.5.2007 sez. 6 numero 5401 del 28.1.2009 . 3.2 Infondato è anche il motivo, con cui si denuncia la omessa motivazione in relazione alla pertinenzialità dei beni sequestrati al reato ipotizzato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte nei casi in cui il profitto consiste nel denaro, appare difficile sostenere l'applicabilità di quella giurisprudenza che subordina l'operatività del sequestro alla verifica che il profitto del reato sia confluito effettivamente nella disponibilità dell'indagato Cass. sez. 5, 3 luglio 2002 v numero 32797, P.M. in proc. Silletti Cass. sez. 3, 20 marzo 1996 numero 1343, P.M. in proc. Centofanti , in quanto trattandosi di sequestro per equivalente, tale necessità deve ritenersi superata. Subordinare l'operatività del sequestro o la confisca per equivalente a tale condizione vorrebbe dire negare la stessa funzionalità della misura e ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra res e reato che la legge non richiede. In questo tipo di confisca il denaro oggetto di ablazione non è necessariamente il denaro proveniente dal delitto, ma una somma di denaro che equivale a quella, cioè il tandundem, che corrisponde solo per valore al prezzo o al profitto del reato. In conclusione, nel caso dell'articolo 322 ter c.p. beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato Cass. sez. 6, 27 gennaio 2005 numero 11902, Baldas cfr. Cass. sez. 6 numero 31692 del 5.6.2007 conf. Cass. sez. 3 numero 25129 del 17.4.2008 Cass. sez. Z numero 24167 del 16.5.2003. E' stato escluso, quindi, anche alla luce della Decisione-quadro del Consiglio dell'Unione europea 2005/212/GAI, che la confisca per equivalente prevista dall'articolo 322 ter cod. penumero e, quindi, il sequestro preventivo ad essa finalizzato, postulino l'esistenza di un nesso di pertinenzialità tra i beni da confiscare ed il reato addebitato al soggetto che ne dispone, atteso che, con detta decisione, il Consiglio dell'Unione europea, lungi dal voler restringere i limiti di applicabilità dell'istituto in discorso, come se, in precedenza, le legislazioni degli Stati membri ne consentissero l'applicazione in misura eccessiva o arbitrario, ha invece inteso imporre soltanto una disciplina minima uniforme in funzione della repressione di reati ritenuti di particolare allarme sociale e nocività economica principio affermato, nella specie, a fronte della tesi difensiva secondo cui la Decisione summenzionata consentirebbe la confisca , e quindi il sequestro, di beni solo se legati al reato da vincolo eziologico diretto o, quanto meno, derivanti da sproporzione tra il patrimonio del soggetto e il suo reddito legittimo cfr. Cass. sez. 2 numero 10838 del 20.12.2006. L'esclusione della necessità di un nesso di pertinenzialità tra i beni da confiscare ed il reato addebitato e confermata da Cass. sez. 6 numero 31692 del 5.6.2007, Cass. sez. 6 numero 11902 del 27.1.2005 cit. Cass. sez. 6 numero 7250 del 19.1.2005. 3.3 Erroneamente, però, il Tribunale ha ritenuto che, ai fini del calcolo dell'imposta evasa, debba tenersi conto solo degli elementi positivi di reddito. E' pacifico che, ai fini della integrazione del reato di cui all'articolo 5 D.Lgs. numero 74/2000, punito solo ove abbia determinato una evasione di imposta pari a euro 77,468,53, per imposta evasa deve intendersi l'intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d'esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento tributario cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 21213 del 26.2.2008 . Ed è altrettanto indubitabile che ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui all'articolo 5 D.Lgs. numero 74/2000, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 21213/2008 cit. . 3.3.1 Il Tribunale, pur con i limiti del procedimento cautelare, non poteva, quindi sottrarsi, alla luce delle deduzioni offerte dalla difesa in ordine agli elementi negativi , all'accertamento del superamento della soglia di punibilità prevista dall'articolo 5 D.Lgs. numero 74/2000 e quindi dell'esistenza stessa del fumus del reato ipotizzato . La giurisprudenza di questa Corte cfr.in particolare sez. unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi è, ormai, orientata nel ritenere che nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una piena cognitio del Tribunale. L'accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono in una prospettiva di ragionevole probabilità di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro ex multis Cass. penumero sez., 3 numero 40189 del 2006 ric. Di Luggo . Il controllo non può quindi limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi conto, nell'accertamento del fumus commissi delicti , degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive. Secondo anche la già citata sentenza sez. unumero numero 23/1997 , non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del c.d. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell'astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, Carli Cass., sez. 3, 1.7.1996, Chiateilino 30.11.199, Russo 2.4.2000, P.M.c.Cavagnoli numero 5145/2006 . In conclusione la verifica da parte del giudice del riesame del fumus commissi delicti , ancorché limitata all'astratta configurabilità del reato ipotizzato dal p.m., importa che lo stesso giudice, lungi dall'essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell'accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata cfr. Cass. penumero sez. l numero 15914 del 16.2.2007-Borgonovo . Gli ulteriori richiami, fatti dal Tribunale, per sottrarsi all'esame, di cui era stato investito dalle prospettazioni difensive in relazione al mancato superamento della soglia di punibilità , non risultano pertinenti. Come fanno rilevare i ricorrenti, infatti, l'articolo 52 comma 5 DPR 633/72 riguarda l'IVA e non le imposte sul reddito. 3.3.1.1 Lo stesso Tribunale, peraltro, nonostante gli erronei come si è visto enunciati di partenza, finisce, poi, per prendere in esame le argomentazioni difensive, ritenendo, allo stato, infondata la pretesa di avere sostenuto costi di gestione e produzione che avrebbero determinato il calcolo di una imposta al di sotto della soglia di rilevanza penale si limita però ad evidenziare l'incompletezza dei dati richiamati dalla difesa che non trovano riscontro nei bilanci di esercizio. Trattasi di motivazione questa assolutamente apodittica ed apparente. A norma dell'articolo 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge. Secondo le sezioni unite di questa Corte sentenza numero 2/2004. Terrazzi , nel concetto di violazione di legge, però, può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'articolo 606 lett. e c.p.p., né tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. 3.4 Rimanendo assorbita ogni altra doglianza, l'ordinanza impugnata va annullata, con rinvio al medesimo Tribunale per nuovo esame alla luce dei rilievi e dei principi sopra enunciati . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Pistoia.