La responsabilità del produttore di farmaci difettosi

La nozione di prodotto difettoso, ex art. 117 del Codice del Consumo, non riguarda ogni prodotto genericamente insicuro, ma, piuttosto, quello che non raggiunga lo standard di sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi, in relazione ad una pluralità di elementi, quali le modalità con cui è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche estrinseche, le istruzioni o avvertenze fornite dal produttore ai consumatori e l’uso cui lo stesso è destinato. Il concetto di sicurezza del prodotto, pertanto, è strettamente connesso all’assenza o carenza di istruzioni ed è differente da quello di vizio del prodotto, di cui all’art. 1490 c.c., che può invece coincidere anche con un’imperfezione, che non ne determini la pericolosità per il consumatore.

Con la sentenza n. 12225/21, depositata il 10 maggio, la Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, si è pronunciata sul tema della responsabilità del produttore per i danni cagionati da un prodotto farmaceutico difettoso. Il fatto. L’origine della vicenda processuale è riconducibile alla domanda risarcitoria proposta, nei confronti di una nota società farmaceutica , da parte di un consumatore che, dopo l’assunzione prolungata di un suo farmaco, aveva riscontrato una serie di patologie che, all’esito degli accertamenti medici espletati dal CTU, nominato dal giudice di primo grado, erano risultate direttamente e causalmente correlati all’assunzione del medicinale. Tale risultanza probatoria, unitamente alla qualificazione del farmaco in questione come prodotto difettoso , aveva inevitabilmente spinto il giudice ad accogliere le istanze attoree e a condannare la società convenuta al risarcimento del danno. La decisione, impugnata dalla convenuta, era stata confermata anche in secondo grado. Avverso tale provvedimento, la società farmaceutica proponeva ricorso, innanzi alla Corte di Cassazione. La nozione di prodotto difettoso. In via preliminare la Suprema Corte ha ritenuto innanzitutto necessario delineare i contorni della nozione di prodotto difettoso, così come rinveniente dall’art. 177 del vigente Codice del consumo, sulla scorta del quale si considera difettoso non ogni prodotto genericamente insicuro, ma, piuttosto, quello che non raggiunga lo standard di sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi, in relazione ad una pluralità di elementi, quali le modalità con cui è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche estrinseche, le istruzioni o avvertenze fornite dal produttore ai consumatori e l’uso cui lo stesso è destinato Cass. n. 29828/2018 . Il concetto di sicurezza del prodotto, pertanto, appare strettamente connesso alle ipotesi di assenza o carenza di istruzioni ed è differente da quello di vizio del prodotto, di cui all’art. 1490 c.c., che può invece coincidere anche con un’imperfezione, che non ne determini la pericolosità per il consumatore. Secondo la Corte, inoltre, il solo verificarsi di un danno non è necessariamente indice di pericolosità del prodotto, da cui possa derivare la responsabilità del produttore, essendo, a tal fine, necessario l’accertamento del mancato raggiungimento dei livelli minimi di sicurezza imposti dalla legge o richiesti dall’utenza Cass. nn. 13458/2013 e 25116/2010 . La responsabilità presunta del produttore. La responsabilità da prodotto difettoso costituisce un’ipotesi di responsabilità presunta, che impone al danneggiato di provare l’esistenza del difetto ed il nesso causale fra quest’ultimo ed il danno subito, mentre al produttore spetta l’ onere della prova liberatoria , consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva quando ha messo in circolazione il prodotto. Nel caso in cui il prodotto difettoso sia un farmaco, per escludere la propria responsabilità non basta che il produttore provi di aver fornito, attraverso il foglio illustrativo, delle generiche avvertenze inerenti la carenza di sicurezza del prodotto, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata informazione, atta a consentire al consumatore di acquisire non solo la generica consapevolezza del possibile verificarsi di danni, ma piuttosto la concreta possibilità di valutare correttamente il rapporto fra i rischi e i benefici del farmaco, così da potersi esporre al rischio in modo consapevole e volontario e da poter adottare tutte le possibili precauzioni.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 11 novembre 2020 – 10 maggio 2021, n. 12225 Presidente Spirito – Relatore Scarano Svolgimento del processo Con sentenza del 27/2/2018 la Corte d'Appello di Verona, rigettato quello in via incidentale spiegato dal sig. T.R., in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Bayer s.p.a. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Venezia n. 64 del 2013, ha rideterminato in diminuzione l'ammontare in favore del primo liquidato dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento dei danni dal medesimo sofferti all'esito dell'assunzione del farmaco Lipobay 0,2 - dalla suindicata società immesso sul mercato italiano e dalla medesima successivamente ritirato - che gli aveva provocato la c.d. miopatia dei cingoli. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Bayer s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso il T., che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di unico complesso motivo, illustrato da memoria. Già chiamata all'udienza camerale del 24/1/2020, la causa è stata rinviata alla pubblica udienza. Motivi della decisione Con il 1 motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 114, 117 c.d. Codice del consumo , in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 117, 118, 120 c.d. Codice del consumo , in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Con il 3 motivo denunzia violazione dell'art. 132 c.p.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si duole che la corte di merito abbia - con motivazione apparente e con erronea valutazione delle emergenze processuali e in particolare della CTU - ravvisato la sua responsabilità ex artt. 2043 e 2050 c.c., laddove, applicando la disciplina speciale del c.d. Codice del consumo, in base alla quale ai fini della qualificazione del prodotto in termini di difettosità assume rilievo non già la relativa innocuità bensì la sicurezza che ci si può ragionevolmente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato immesso in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi e alle istruzioni e avvertenze fornite all'uso, nella specie il prodotto farmaceutico in argomento Lipobay, anche in ragione della ampia informativa fornita , non avrebbe potuto ravvisarsi come difettoso. Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che il problema della difettosità non può coincidere con la semplice possibile insorgenza di effetti collaterali nocivi, ma deve invece ricondursi al problema di un corretto bilanciamento del rapporto rischio/beneficio relativo alla somministrazione dello stesso , e che, omettendo di considerare se il farmaco Lipobay potesse considerarsi agli effetti di legge difettoso tale giudice ha altresì del tutto omesso di spiegare perchè mai potesse costituire un risultato anomalo rispetto alla normalità delle aspettative la patologia lamentata dalla controparte, essendo essa perfettamente conosciuta dalla Classe Medica come possibile effetto avverso del farmaco, chiaramente segnalata nell'informativa fornita con il prodotto , informativa che consentiva al paziente e al medico - che peraltro nella fattispecie coincidono nella persona del Dott. T. - di valutare il relativo rapporto rischio beneficio decidendo se esporsi o meno ai remoti rischi di effetti indesiderati collegati all'uso di tale specialità medicinale a fronte di un evidente e pressochè certo vantaggio terapeutico e di assicurare che attraverso l'attento rispetto di avvertenze, precauzioni d'impiego, dosaggi e modalità d'uso raccomandati fosse possibile prevenire o quantomeno immediatamente bloccare l'insorgere di eventuali effetti indesiderati . Si duole che la corte di merito abbia erroneamente valutato le emergenze processuali, e in particolare della espletata CTU, essendosi limitata ad aderire passivamente alle valutazioni erronee svolte dal giudice di prime cure, circa la presunta esaustività e completezza dell'analisi peritale svolta nel corso del primo grado di giudizio, senza prendere alcun tipo di posizione su nessuno degli specifici rilievi sopra ricordati, e così di fatto omettendo di fornire la ben che minima spiegazione in merito alle ragioni per cui ha ritenuto di rigettare lo specifico motivo di gravame sollevato da Bayer sotto tale profilo . Con unico motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione degli artt. 2043,2059 c.c., D.P.R. n. 314 del 1990, art. 11, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omesso esame di fatto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si duole che la corte di merito abbia confuso tra danno non patrimoniale e danno patrimoniale, nonchè erroneamente escluso il danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica. I motivi di entrambi i ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati. Va anzitutto osservato che il requisito - richiesto a pena di inammissibilità, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, risulta nel caso dai ricorrenti - principale ed incidentale - non osservato laddove viene dai medesimi rispettivamente operato il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito in particolare, all' atto di citazione notificato a mezzo posta in data 17 luglio 2007 docomma 2 del fascicolo di primo grado , alle istruzioni fornite dalla casa produttrice , alle affermazioni e produzioni documentali di controparte , al foglietto illustrativo del farmaco in questione , al ritiro della cerivastatina dal mercato internazionale alla comunicazione inviata da Bayer all'allora Ministero della sanità in data 8 agosto 2001, docomma 5 Bayer del fascicolo di primo grado , al comunicato n. 329 dell'8 agosto 2001 della Direzione Generale della Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza del Ministero della salute, docomma 6 Bayer del fascicolo di primo grado , al fallito tentativo di conciliazione della causa , all'interrogatorio libero del Responsabile della Farmacovigilanza di Bayer Dott. B.S. , alle memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6 , alla prova testimoniale , alla espletata CTU, alla richiesta di rinnovazione della CTU , alla sentenza del giudice di prime cure, all'atto di appello notificato in data 7 febbraio 2013 docomma 3 , alla relazione tecnica integrativa di Commenti alla CTU a firma del Prof. C.G. dell'Istituto di Neuroscienze - Sezione di Padova depositata nel corso del giudizio di appello , alla pag. 24 della CTU svolta nel primo grado di giudizio , alle pag. 30 e ss. dell'atto di appello , da parte della ricorrente in via principale al docomma A/8 , al docomma A/10 , al docomma A/12 , al docomma A/13 , al docomma A/14 , al docomma A/15 , al docomma A/16 , all' atto di citazione notificato in data 17.07.2007 , alla propria comparsa di costituzione e risposta del giudizio di 1 grado alle memorie ex art. 183 c.p.c. , alle testimonianze , alle acquisizioni documentali , alla sentenza del giudice di prime cure, all' atto di appello notificato in data 07.02.2013 , al foglietto illustrativo che accompagnava il farmaco Lipobay , alle certificazioni delle Commissioni in atti , alla documentazione clinica in atti , alle dichiarazioni dei redditi , da parte del ricorrente in via incidentale limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente - per la parte d'interesse in questa sede - riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti es., della ricorrente in via principale parti della sentenza di 1 grado, parti della informativa fornita dalla Casa Farmaceutica , parti della CTU dal ricorrente in via incidentale parti della comparsa di costituzione d'appello , parti della CTU medico-legale , pagg. 22/23/24 dell'elaborato peritale , il parere per la revoca dell'autorizzazione all'immissione in commercio resa da Comitato Scientifico per le specialità medicinali dell'Emea del marzo 2002 , CTU pag. 24 , il bugiardino , senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame v. Cass., 16/3/2012, n. 4220 , con precisazione anche dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità v. Cass., 23/3/2010, n. 6937 Cass., 12/6/2008, n. 15808 Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157 , la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile cfr., Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469 Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701 . A tale stregua, l'accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata nell'impugnata decisione rimangono invero dagli odierni ricorrenti non idoneamente censurati. Non sono infatti sufficienti affermazioni - come nel caso - apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione. E' al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo v., da ultimo, Cass., 5/7/2019, n. 18046 . Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827 Cass., 18/3/2015, n. 5424 Cass., 12/11/2014, n. 24135 Cass., 18/10/2014, n. 21519 Cass., 30/9/2014, n. 20594 Cass., 5 19/6/2014, n. 13984 Cass., 20/1/2014, n. 987 Cass., 28/5/2013, n. 13190 Cass., 20/3/2013, n. 6990 Cass., 20/7/2012, n. 12664 Cass., 23/7/2009, n. 17253 Cass., 19/4/2006, n. 9076 Cass., 23/1/2006, n. 1221 . Senza sottacersi, con particolare riferimento al 3 motivo del ricorso principale, come al di là della relativa formale intestazione la ricorrente deduca in realtà doglianze anche di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053 , nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l'illogicità e l'insufficienza della motivazione ovvero l'omessa e a fortiori l'erronea valutazione delle emergenze processuali v. pag. 26 del ricorso in via principale cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312 . Con riferimento al ricorso in via principale, va sotto altro profilo - quanto al merito - osservato che come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo v. in particolare Cass., 20/11/2018, n. 29828 all'art. 117 del Codice del Consumo e già al D.P.R. n. 224 del 1988, art. 5 viene definito difettoso non già ogni prodotto insicuro bensì quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, ai comportamenti che in relazione ad esso si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione v., da ultimo, Cass., 20/11/2018, n. 29828 . Si è al riguardo precisato che il concetto di difetto è sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione, ovvero alle ipotesi dell'assenza o carenza di istruzioni, ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza. Non corrisponde pertanto nè alla nozione di vizio di cui all'art. 1490 c.c., in base al quale può trattarsi di un'imperfezione del bene che può anche non comportare un'insicurezza del prodotto, nè a quella di difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo, postulando invero un pericolo per il soggetto che fa un uso del prodotto o per coloro che, comunque, si trovano in contatto con esso v. Cass., 29/5/2013, n. 13458 . Il legislatore ha, inoltre, precisato che il prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio e che il prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie. Si è ulteriormente sottolineato che, anche assumendo come parametro integrativo di riferimento la nozione di prodotto sicuro contenuta nella disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti di cui all'art. 103 Codice del consumo e già al D.Lgs. n. 172 del 2004 , il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo farsi riferimento ai requisiti di sicurezza dall'utenza generalmente richiesti in relazione alle circostanze specificamente indicate all'art. 117 Codice del consumo e già al D.P.R. n. 224 del 1988, art. 5 , o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia v. Cass., 20/11/2018, n. 29828 Cass., 29/5/2013, n. 13458 . Si è osservato come la verificazione del danno di per sè non deponga per la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo per una sua più indefinita pericolosità, invero insufficiente a fondare la responsabilità del produttore laddove non venga in concreto accertato che la stessa pone il prodotto al di sotto del livello di garanzia e di affidabilità richiesto dalle leggi in materia o dall'utenza v. Cass., 29/5/2013, n. 13458 Cass. 13/12/2010, n. 25116 . Quanto all'onere della prova, l'art. 120 del Codice del Consumo come già il D.P.R. n. 224 del 1988, art. 8 prevede che il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno mentre il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità ex art. 118 Codice del Consumo. Spetta allora anzitutto al danneggiato dimostrare che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l'uso, che ha subito un danno e che quest'ultimo deriva dal difetto. Fornita dal danneggiato tale prova, il produttore ha l'onere di dare la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione, o che all'epoca non era riconoscibile come in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche v. Cass., 29/5/2013, n. 13458 . La responsabilità da prodotto difettoso integra pertanto un'ipotesi di responsabilità presunta e non già oggettiva , incombendo al danneggiato che chiede il risarcimento provare gli elementi costitutivi del diritto fatto valere, in particolare l'esistenza del difetto del prodotto e il collegamento causale tra difetto e danno cfr. Cass., 29/5/2013, n. 13458 . La prova della difettosità del prodotto può essere peraltro data anche per presunzioni semplici. A tale stregua, acquisita tramite fonti materiali di prova o anche tramite il notorio o a seguito della non contestazione la conoscenza di un fatto secondario, il giudice può in via indiretta dedurre l'esistenza del fatto principale ignoto nella specie, il difetto del prodotto , sempre che le presunzioni abbiano il requisito della gravità il fatto ignoto deve cioè essere desunto con ragionevole certezza, anche probabilistica , della precisione il fatto noto, da cui muove il ragionamento probabilistico, e il l'iter logico seguito non debbono essere vaghi ma ben determinati , della concordanza la prova deve essere fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto v. Cass., 29/5/2013, n. 13458. Cfr. altresì Cass., 26/6/2008, n. 17535 Cass., 2/3/2012, n. 3281 , giacchè gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza, essendo invero inammissibile la c.d. praesumptio de praesumpto, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un'altra presunzione v. Cass., 28/1/2000, n. 988 Cass., 28/1/1995, n. 1044. E già Cass., 3/7/1969, n. 2443 nonchè, da ultimo, Cass., 6/7/2018, n. 17720 . Si è altresì sottolineato che in tema di danno da prodotto difettoso le norme di fonte comunitaria, volte a realizzare un'armonizzazione globale - e non già minima v. Corte Giust., 25/4/2002, C-52/00 Corte Giust., 25/4/2002, C154/00 Corte Giust., 25/4/2002, C-183/00 , ma nemmeno completa v. Corte Giust., 20/11/2014, C-310/13 Corte Giust., 21/12/2011, C-495/10 Corte Giust., 4/6/2009, C-285/10 Corte Giust., Grande Sezione, 10/1/2006, C-402/03 -, delle legislazioni degli Stati membri del settore della responsabilità per danno da prodotto difettoso Direttiva 85/374/CEE, in tema di responsabilità da prodotti difettosi, recepita con D.P.R. n. 224 del 1988, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 114-127, Codice del consumo Direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza dei prodotti, recepita con il D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 102-113, Codice del consumo , non trovano invero applicazione in via esclusiva ma vengono ad affiancarsi e non si sostituiscono alla disciplina dettata dall'ordinamento interno v. Cass., 1/6/2010, n. 13432 Cass., 29/4/2005, n. 8981, Cfr. anche, da ultimo, Cass., 7/11/2019, n. 28626 , non rimanendo pertanto da quella del c.d. Codice del consumo esclusa, stante la diversità di ratio e ambito applicativo, l'operatività anche della norma di cui all'art. 2050 c.comma cfr., da ultimo, Cass., 7/3/2019, n. 6587 . Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell'impugnata sentenza fatto invero sostanzialmente corretta applicazione. E' rimasto in sede di merito accertato che nella tarda primavera del 1999, in seguito all'assunzione del farmaco Lipobay 0,2 farmaco fornitogli, essendo medico di base, dagli informatori farmaceutici della Bayer s.p.a. per circa due mesi , l'originario attore ed odierno controricorrente aveva iniziato ad accusare una serie di disturbi quali astenia, facile irritabilità, affaticamento e dolenzia muscolare , e che, pur avendo sospeso il trattamento all'esito di accertamenti clinici dai quali era emerso un elevato livello di CPK nel sangue , le sue condizioni di salute erano progressivamente peggiorate tanto che nel mese di OMISSIS veniva ricoverato in clinica con diagnosi di miopatia con importante interessamento enzimatico , sicchè, a seguito di ulteriore peggioramento della predetta patologia muscolare , vi fu un nuovo ricovero nel OMISSIS con diagnosi di miopatia a lenta evoluzione , con comparsa nel OMISSIS di primi sintomi di coinvolgimento dell'apparato respiratorio , seguito da un ulteriore ricovero nel OMISSIS presso l'Ospedale di OMISSIS dove fu confermata la pregressa diagnosi di miopatia ai cingoli a lenta evoluzione e pneumopatia con deficit ventilatorio restrittivo di grado lieve , e da un ennesimo ricovero nel mese di OMISSIS presso l'Unità Operativa di Fisiopatologia Respiratoria dell'Ospedale di OMISSIS per un ulteriore aggravamento . Atteso che l'autorizzazione al commercio non vale di per sè ad escludere la responsabilità civile del produttore cfr. D.Lgs. n. 219 del 2006, art. 39, recante attuazione della Direttiva 2001/83/CE e successive Direttive di modifica relativa a un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonchè della Direttiva 2003/94/CE l'autorizzazione non esclude la responsabilità anche penale del produttore e del titolare dell'AIC , i requisiti pubblicistici valendo a realizzare solo un minimum di garanzia per il consumatore v. Corte Giust., 29/5/1997, C-300/95 e considerato, per altro verso, che la valutazione di pericolosità non attiene ai meri dati scientifici ma coinvolge anche la percezione e le aspettative dei consumatori v. Corte Giust., 11/4/2001, C477/00 Corte Giust., 28/10/1992, C-219/91 , ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci non essendo invero sufficiente la mera prova dello stato dell'arte , va osservato che nel rigettare la censura mossa dall'allora appellante ed odierna ricorrente in via principale secondo cui un prodotto difettoso è tale solo quando risulta totalmente inadatto al commercio, e non quando si verifica il rischio di possibili effetti indesiderati, peraltro debitamente segnalati nelle avvertenze come nel caso di specie , sulla scorta delle risultanze dell'espletata CTU, e in considerazione altresì dei fattori estrinseci quali obesità e ipertensione che potevano aver aggravato il quadro clinico , nonchè delle modalità di assunzione del farmaco giudicate corrette dal collegio peritale , la corte di merito ha ribadito la sussistenza nella specie del nesso di causalità tra l'assunzione del farmaco in argomento e la riscontrata miopatia dei cingoli con dispnee notturne già ravvisata dal giudice di prime cure, in ragione della tossicità neuromuscolare della Cerivastatina, principio attivo contenuto anche nel Lipobay in linea con i riconosciuti rilievi della comunità scientifica . Ha al riguardo ulteriormente sottolineato come all'accertamento della sussistenza nella specie del nesso di causa tra l'assunzione del Lipobay e la patologia contratta dal T. non ostano le eventuali e opinabili sviste del giudice di primo grado nell'esposizione del caso quanto al nomen della patologia di cui si discute , invero non significative nè idonee ad invalidare il convincimento al riguardo e, per altro verso, come risulti del tutto irrilevante la dedotta mancata coincidenza tra la patologia sviluppata dall'odierno controricorrente e l'effettuato ritiro volontario dal commercio del farmaco in questione per le problematiche legate alla rischiosità di un'eventuale insorgenza di rabdomiolisi esclusivamente in due specifiche circostanze a ove il Lipobay fosse stato somministrato insieme ad un farmaco contenente un diverso principio attivo il Gemfibrozil b ove il Lipobay fosse stato somministrato a dosaggi iniziali assai elevati quali lo 0,8 mg dose mai assunta dal T. , nonchè, del pari, l' affermata relazione con le patologie indicate come possibili effetti indesiderati nelle avvertenze d'uso , in quanto al fine di accertare la civile responsabilità del produttore del farmaco nel caso di specie va preso in considerazione il giudizio espresso dal CTU sulla relazione tra l'assunzione del Lipobay prodotto dalla S.p.A. Bayer e la patologia concretamente sviluppata dall'attore . Orbene, diversamente da quanto del tutto apoditticamente censurato dall'odierna ricorrente la quale in violazione - come detto - del requisito a pena d'inammissibilità richiesto all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, si limita a genericamente dolersi della omessa considerazione di alcuni degli indici di fatto emersi dall'istruttoria svolta nel corso del giudizio in particolare, la rischiosità insita in qualsiasi farmaco a base di statine di portare all'insorgenza di mialgie e il chiaro contenuto dell'informativa fornita assieme al prodotto Lipobay in rapporto alla natura dei malesseri sofferti dal Dott. T. , dalla pur sintetica motivazione dell'impugnata sentenza - resa anche a fronte di analoghe censure dall'odierna ricorrente e allora appellante anche in quella sede proposte - emerge come in sostanziale applicazione della disciplina comunitaria nonchè del Codice del consumo nell'impugnata sentenza la corte di merito abbia invero ravvisato l'esistenza nella specie della difettosità del farmaco in argomento al momento della relativa commercializzazione a cagione del principio attivo cerivastatina in esso contenuto, determinante l'accentuato rischio di malattie del muscolo rispetto a dosi equipollenti di altre statine, e, pertanto, una minore sicurezza del medesimo rispetto ad altri farmaci della stessa categoria ipocolesterolemizzanti evidenziata nell'espletata CTU. Farmaco di cui è stata accertata la decisiva rilevanza causale nella determinazione della malattia dei cingoli con dispnee notturne sofferta dall'odierno controricorrente e ricorrente in via incidentale, siffatta patologia concretamente sviluppata avendo invero nello specifico caso de quo costituito sintomatica ipotesi di concretizzazione di uno dei paventati rischi che hanno indotto l'odierna ricorrente al relativo ritiro dal commercio che, pur se volontario, depone invero per la violazione del principio di precauzione anteriormente all'immissione in commercio al fine di evitare, attesa la riconosciuta tossicità neuromuscolare, la causazione di patologie quale in particolare la rabdomiolisi dei muscoli ai relativi assuntori. In altri termini, il farmaco difettoso di cui trattasi ha nello specifico caso concreto in esame assunto carattere anche dannoso. Considerato, sotto altro profilo, che ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci non è invero sufficiente nemmeno la mera prova di aver fornito - tramite il foglietto illustrativo c.d. bugiardino - un'informazione che si sostanzi in una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto cfr. Cass., 15/3/2007, n. 6007 , essendo necessaria un'avvertenza idonea a consentire al consumatore di acquisire non già una generica consapevolezza in ordine al possibile verificarsi dell'indicato pericolo in conseguenza dell'utilizzazione del prodotto bensì di effettuare una corretta valutazione in considerazione delle peculiari condizioni personali, della particolarità e gravità della patologia nonchè del tipo di rimedi esistenti dei rischi e dei benefici al riguardo, nonchè di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l'insorgenza del danno, e pertanto di volontariamente e consapevolmente esporsi al rischio con eventuale suo concorso di colpa ex art. 1227 c.c., in caso di relativa sottovalutazione o di abuso del farmaco , non può infine sottacersi che, a fronte di specifica censura dall'odierna ricorrente e allora appellante mossa anche in sede di gravame La compagnia farmaceutica precisa che non poteva esservi alcun nesso causale tra l'assunzione del farmaco e l'insorgenza della malattia invalidante denunciata dall'attore, il cui rischio era del resto segnalato anche nel foglio delle avvertenze inserito nelle confezioni in vendita , la corte di merito ha ritenuto le indicazioni recate nel foglio delle avvertenze c.d. bugiardino nella specie invero inidonee ad escluderne la responsabilità in argomento cfr. Cass., 7/3/2019, n. 6587. Con riferimento all'obbligo del consenso informato del paziente quale legittimazione e fondamento del trattamento sanitario cfr. altresì, da ultimo, Cass., 10/12/2019, n. 32124 alla stregua delle risultanze dell'espletata CTU sulla base di una valutazione, effettuata secondo il criterio della prognosi postuma ex ante avuto cioè riguardo alle circostanze esistenti al momento dell'esercizio dell'attività . La corte di merito ha pertanto confermato la decisione del giudice di prime cure sul punto sulla base di una valutazione, implicante accertamenti di fatto, spettante al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità in presenza come nella specie di motivazione più sopra riportata congrua cfr. Cass., 19/7/2018, n. 19180, Cfr. altresì, con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 15/2/2019, n. 4545 Cass. 20/5/2015, n. 10268 Cass. 19/1/2007, n. 1195 , e in ogni caso non meramente apparente - e pertanto inesistente - cfr. Cass., 30/6/2020, n. 13248 Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476 Cass., 30/5/2019, n. 14754 Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053 . Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative v. Cass., 20/10/2005, n. 20322 , e nell'inammissibile pretesa di una lettura dell'asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932 . Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell'art. 360 c.p.c., in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443 . All'inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi, principale e incidentale. Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principale e incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.