L’onere della prova per il paziente che chiede all’ospedale i danni per infezione a seguito di emotrasfusione

Nella controversia tra il paziente, che assuma di avere contratto un’infezione in conseguenza d’una emotrasfusione, e la struttura sanitaria ove quest’ultima venne eseguita, non è onere del primo allegare e provare che l’ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nella acquisizione e nella perfusione del plasma, ma è onere del secondo allegare e dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le leges artis che presiedono alle suddette attività.

È il principio affermato dalla S.C. con l’ordinanza n. 10592/21, depositata il 22 aprile. Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda di risarcimento danni proposta dall’attrice nei confronti del Ministero della Salute, dell’Assessorato per la sanità della Regione e del Commissario liquidatore dell’ex USL territoriale per aver contratto un’ infezione causata dal virus dell’HCV in conseguenza ad emotrasfusione a cui si era sottoposta nel 1987. La Corte d’Appello accoglieva il solo gravame dell’Assessorato e modificava il dies a quo di decorrenza degli interessi compensativi. La vicenda è dunque giunta all’attenzione della Corte di Cassazione. Tra le diverse censure proposte, risulta fondata quella con cui la danneggiata lamenta l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’addossare ad essa l’ onere di allegare e provare che l’ospedale eseguì la trasfusione con sacche di plasma prelevate da un proprio centro trasfusionale. La Cassazione afferma infatti che l’attrice aveva correttamente allegato in primo grado, a fondamento della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria , l’obbligo di assistenza gravante sull’ospedale e la conseguente garanzia del risultato di non infettare il paziente. Risultava dunque correttamente assolto l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda già nel primo grado del giudizio di merito. Il Collegio coglie dunque l’occasione per cristallizzare il principio di diritto secondo cui nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un’infezione in conseguenza d’una emotrasfusione, e la struttura sanitaria ove quest’ultima venne eseguita, non è onere del primo allegare e provare che l’ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nella acquisizione e nella perfusione del plasma, ma è onere del secondo allegare e dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le leges artis che presiedono alle suddette attività . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 18 febbraio – 22 aprile 2021, n. 10592 Presidente Amendola – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2007 L.L. convenne dinanzi al Tribunale di Catania il Ministero della salute, l’Assessorato per la sanità della Regione Sicilia ed il Commissario liquidatore della gestione stralcio della ex Usl della Provincia di Catania, chiedendone la condanna al risarcimento del danno. A fondamento della domanda dedusse di aver contratto una infezione causata dal virus dell’HCV in conseguenza di una emotrasfusione cui era stata sottoposta nell’ospedale Gravina di Caltagirone nel 1987. 2. Si costituirono unicamente il Ministero della salute e l’Assessorato regionale, chiedendo il rigetto della domanda. Con sentenza 17 maggio 2011 n. 1838 il Tribunale di Catania accolse la domanda nei confronti del Ministero e dell’Assessorato. 3. La sentenza venne appellata dalle due amministrazioni soccombenti. La Corte d’appello di Catania con sentenza 27 novembre 2017 n. 2198 accolse il solo gravame proposto dall’Assessorato, e rigettò la domanda attorea nei confronti di quest’ultimo. Modificò, altresì, il dies a quo di decorrenza degli interessi compensativi. La Corte d’appello motivò il rigetto della domanda nei confronti dell’assessorato osservando che l’attrice non aveva mai allegato che l’ospedale Gravina di Caltagirone abbia provveduto alle trasfusioni approvvigionandosi di sangue tramite un proprio centro trasfusionale e non, come avviene nella normalità dei casi, utilivando sacche di provenienza esterna . 4. Ricorre per cassazione avverso la suddetta sentenza L.L. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Il Ministero della salute e l’Assessorato della salute della regione siciliana hanno resistito con controricorso unitario. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo di ricorso L.L. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., nonché la nullità della sentenza impugnata. Benché il motivo sia formalmente unitario, l’illustrazione di esso contiene due censure, così riassumibili a la Corte d’appello ha reputato ammissibile l’appello del Ministero e dell’Assessorato, che invece si sarebbe dovuto ritenere inammissibile per genericità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. b la Corte d’appello ha pronunciato ultra petita, perché la difesa erariale non aveva mai eccepito alcun difetto di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa da parte dell’attrice. 1.1. La prima delle suesposte censure è infondata, perché l’appello proposto dalle amministrazioni non era affatto generico la difesa erariale aveva infatti dedotto che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto sussistente la responsabilità della struttura sanitaria, nonostante non fosse stato accertato il nesso di causalità tra l’operato di quest’ultima ed il danno. Fondata o meno che fosse tale allegazione, essa costituiva comunque un motivo di censura chiaro e comprensibile. 1.2. Anche la censura con cui si lamenta il vizio di ultrapetizione è infondata. In primo grado il Tribunale ritenne sussistente una responsabilità contrattuale dell’ospedale l’assessorato regionale propose appello sostenendo che la propria responsabilità poteva essere invocata solo a titolo extracontrattuale, con quanto ne conseguiva in punto di onere di allegazione e prova la Corte d’appello ha ritenuto fondato tale motivo d’appello, osservando che la responsabilità dell’assessorato poteva essere unicamente di tipo aquiliano, e sotto questo aspetto nessuna condotta illecita extracontrattuale a carico dell’Assessorato era stata mai allegata dall’attrice. Ultrapetizione pertanto non vi fu, giacché alla Corte d’appello fu chiesto di stabilire se l’assessorato dovesse rispondere a titolo contrattuale od a titolo extracontrattuale la Corte d’appello ha optato per la seconda soluzione e ne ha tratto le debite conseguenze sul piano degli oneri di allegazione e di prova. 2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1176, 1218, 1228 e 2697 c.c Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha addossato ad essa attrice l’onere di allegare e provare che l’ospedale di Caltagirone eseguì la trasfusione con sacche di plasma prelevate da un proprio centro trasfusionale. 2.1. Il motivo è fondato. In primo grado l’attrice a fondamento della colpa dell’azienda ospedaliera aveva allegato - in sintesi - che l’obbligo di assistenza sanitaria gravante sull’ospedale comportava la garanzia del risultato di non infettare il paziente, ed aveva invocato il principio res ipsa loquitur, in virtù del quale il fatto stesso dall’infezione dimostrava di per sé che l’ospedale aveva tenuto una condotta colposa. L’attrice dunque, nell’atto introduttivo del giudizio, aveva - allegato di avere subito un danno alla salute in conseguenza di un trattamento sanitario - invocato la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria. L’attrice, pertanto, aveva compiutamente assolto in primo grado l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda tale onere, infatti, quando venga invocata la responsabilità contrattuale si esaurisce nella allegazione dell’esistenza del contratto e di una condotta inadempiente. L’attrice, di conseguenza, non aveva alcun onere di allegare e spiegare come, quando e in che modo l’ospedale di Caltagirone si fosse approvvigionato delle sacche di plasma risultate infette. Ad essa incombeva il solo onere di allegare una condotta inadempiente del suddetto ospedale. Era, per contro, onere della struttura sanitaria allegare e dimostrare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., di avere tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza. Ne discende che la Corte d’appello, dinanzi alla domanda attorea sopra descritta, avrebbe dovuto in concreto accertare se l’assessorato, successore dell’azienda ospedaliera, avesse o non avesse provato la causa non imputabile di cui all’art. 1218 c.c., a nulla rilevando che l’attrice non avesse allegato che l’ospedale abbia provveduto alle trasfusioni approvvigionandosi di sangue tramite un proprio centro trasfusionale . Per quanto detto, infatti, la circostanza che l’ospedale provvedesse o non provvedesse da sé all’approvvigionamento di plasma non era un fatto costitutivo della domanda, ma era un fatto impeditivo della stessa, che in quanto tale andava allegato e provato dall’amministrazione convenuta. Trascurando di stabilire se l’assessorato avesse fornito tale prova, pertanto, la Corte d’appello ha effettivamente violato gli artt. 1218 e 2697 c.c 2.2. Ritiene doveroso questa Corte aggiungere che il precedente richiamato dalla Corte d’appello a fondamento della propria decisione e cioè Sez. 3, Sentenza n. 3261 del 19/02/2016 non è pertinente, ove si legga la massima - come è sempre doveroso - alla luce del contenuto effettivo della motivazione. Nel caso deciso dalla suddetta sentenza, infatti, una persona infettata in seguito ad una emotrasfusione aveva convenuto in giudizio la struttura sanitaria questa, costituendosi, aveva eccepito la propria assenza di colpa, e dimostrato di avere eseguito la trasfusione con plasma fornito dalla struttura sanitaria pubblica e corredato di tutta la documentazione certificativa dell’avvenuto superamento dei controlli prescritti all’epoca dei fatti. Il giudice di merito accolse tale eccezione e rigettò la domanda nei confronti della struttura tale sentenza venne impugnata per cassazione dalla parte danneggiata. La Corte di cassazione rigettò tuttavia il ricorso del danneggiato, affermando che eseguire un’emotrasfusione con plasma tracciato e del quale gli enti competenti avevano accertato l’asetticità costituisce una condotta diligente ex art. 1176 c.c Quindi nel precedente invocato dalla Corte d’appello la sentenza di merito reiettiva della domanda risarcitoria venne confermata da questa Corte sol perché la struttura sanitaria aveva concretamente dimostrato la propria assenza di colpa. Una vicenda, dunque, ben diversa da quella odierna, nella quale nei gradi di merito nulla si è accertato circa la condotta dell’ospedale, il rispetto da parte di esso dei protocolli vigenti ratione temporis, la qualificazione della sua condotta in termini di diligenza professionale ex art. 1176 c.c., comma 2. 2.3. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catania, la quale tornerà ad esaminare il gravame applicando i seguenti principi di diritto nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un’infezione in conseguenza d’una emotrasfusione, e la struttura sanitaria ove quest’ultima venne eseguita, non è onere del primo allegare e provare che l’ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nella acquisizione e nella perfusione del plasma, ma è onere del secondo allegare e dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le leges artis che presiedono alle suddette attività . 3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. - rigetta il primo motivo di ricorso - accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.