Risarcimento danni iure proprio: non spetta nulla ai nipoti esclusi dal testamento

La Corte di Cassazione ha sottolineato che una censura di contenuto diverso e/o diversamente argomentata come nel caso di specie si risolve in una richiesta di diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e in definitiva nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio , ponendo la censura su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza 10583/21, depositata il 22 aprile. A seguito della tragica morte di una donna avvenuta in seguito ad un incidente stradale , la Corte d’Appello di Roma confermava la responsabilità esclusiva dell’autista che aveva causato l’incidente mortale senza però riconoscere ai nipoti della zia ormai deceduta il diritto al risarcimento iure proprio . I tre fratelli ricorrono quindi in Cassazione chiedendo la condanna dei convenuti Generali Italia e l’autista dell’auto che ha causato l’incidente in questione al risarcimento dei danni iure proprio subiti per la perdita del rapporto parentale , essendo nipoti conviventi e a lungo accuditi dalla vittima. Essi chiedono inoltre sia il risarcimento del danno iure hereditatis del loro fratello, il quale aveva vissuto con la zia per ben 63 anni, sia il danno catastrofale acquisito da quest’ultimo e trasmesso agli altri tre a titolo di eredi legittimi dello stesso. Tra i vari motivi di doglianza, essi deducono la violazione dell’art. 132 comma 2, n, 4 c.p.c La Corte d’Appello di Roma avrebbe erroneamente negato, secondo i ricorrenti, le circostanze inerenti il legame affettivo tra i richiedenti e la zia, poiché quest’ultima non li ha resi destinatari di disposizioni testamentarie, avendo istituito erede universale il solo fratello convivente con essa da una vita intera. E quindi il Giudice di merito si sarebbe basato su un’erronea premessa, equiparando alla diseredazione la loro mancata menzione nel testamento. Il motivo è inammissibile in quanto è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, mentre nel motivo di doglianza si fa riferimento a circostanze diverse ed esterne, cioè l’omissione del fatto che i ricorrenti sarebbero stati accuditi dalla zia. Tale circostanza risulta generica e priva quindi di decisività ai fini della valutazione dell’esistenza del legame affettivo tra loro e la congiunta. E l’istituzione del solo fratello come erede fa presumere l’interruzione del legame solo tra lui e la zia deceduta. La Corte d’Appello ha ritenuto inoltre non allegate né provate circostanze tali da far ritenere che sussistesse il suddetto legame affettivo. E questa Corte ha già avuto modo di affermare che una censura di contenuto diverso e/o diversamente argomentata come nel caso di specie si risolve in una richiesta di diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti , e in definitiva nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio , ponendo la censura su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p. Cass. n. 17535/2008 . Per questo motivo, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 19 gennaio – 22 aprile 2021, n. 15083 Presidente Scoditti – Relatore Gorgoni Rilevato che Bu.Lu. , M.T. e L. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 7370/2018 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 20 gennaio 2018, notificata il 9 gennaio 2019, articolando due motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso Generali Italia S.P.A I ricorrenti, in proprio e quali eredi legittimi del fratello B.G. , espongono in fatto di avere adito il Tribunale di Roma, perché fosse loro riconosciuto il risarcimento dei danni per la perdita della zia D.M.V. , provocata dalla condotta colposa di guida tenuta da F.L. , assicurata per la r.c.a. dalla società Assitalia, oggi Generali Italia Assicurazioni S.p.A. In particolare, chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni iure proprio subiti per la perdita del rapporto parentale, in quanto nipoti conviventi e a lungo accuditi dalla zia, e del danno iure hereditatis, patito dal fratello G. , che aveva vissuto con la zia per tutta la vita, durata 63 anni, oltre che del danno catastrofale acquisito da quest’ultimo a titolo di erede universale della zia e successivamente loro trasmesso, quali eredi legittimi del proprio fratello. Il Tribunale accoglieva la domanda e riconosceva a Bu.Lu. , nipote non convivente, di anni 65, Euro 59.434,20, a B.M.T. , nipote non convivente, di anni 60, Euro 66.038,00, a B.L. , nipote non convivente, di anni 67, Euro 59.434,00, a B.G. , nipote convivente, di 63 anni, Euro 84.906,00 per un totale di Euro 270.472,40. La sentenza veniva impugnata, in via principale, da Generali Italia e, in via incidentale, dai fratelli B. dinanzi alla Corte d’Appello di Roma che, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, confermava la responsabilità esclusiva di F.L. , ma negava il diritto dei fratelli B. al risarcimento del danno iure proprio accogliendo l’appello incidentale, aumentava di quattro punti percentuali il risarcimento del danno riconosciuto a B.G. , atteso il comprovato rapporto di convivenza con la zia, portando la somma dovutagli ad Euro 122.642,00 accoglieva l’impugnazione del capo della domanda attinente alla liquidazione del danno catastrofale che liquidava in Euro 65.000,00 a favore degli eredi legittimi di B.G. rigettava gli altri motivi di appello incidentale. Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. Considerato che 1.Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per avere la Corte d’Appello a elevato la convivenza a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela b negato che fossero state dimostrate circostanze tali da far ritenere che sussistesse un legame affettivo tra i richiedenti e la zia, dato che la zia non li aveva resi destinatari di disposizioni testamentarie, avendo istituito erede universale B.G. c omesso di considerare la prova, risultante dagli atti dello stato civile, della loro convivenza con la zia fino al momento in cui avevano costituito ciascuno per proprio conto dei distinti nuclei familiari d disatteso la domanda di assunzione di prove testimoniali. 2. Il motivo è inammissibile. È denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali Cass. SU n. 8053/2014 , mentre nel motivo si fa riferimento a circostanze esterne il fatto asseritamente omesso sarebbe la circostanza che i nipoti sarebbero stati accuditi dalla zia, ma tale circostanza, per come formulata, è generica e perciò priva di decisività ai fini della valutazione dell’esistenza del legame effettivo tra la zia e gli odierni ricorrenti, anche alla luce del fatto esaminato dal giudice, e cioè che l’istituzione di B.G. come erede universale lasciava presumere che il legame interrotto dall’incidente intercorresse solo con quest’ultimo. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza gravata per violazione degli artt. 2, 29, 30, 31 e 32 Cost. nonché violazione degli artt. 2727, 2729, 2043, 2056, 2059, 1223 e 1226 c.c. e artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello violato le regole che governano il regime della prova per presunzioni. In disparte il fatto che delle numerose norme indicate nell’epigrafe del motivo asseritamente violate dalla Corte d’Appello, i ricorrenti argomentano solo quella relativa al ragionamento presuntivo, asseritamente errato, va rilevato che la Corte d’Appello ha ritenuto non allegate nè provate circostanze tali da far ritenere che sussistesse un legame affettivo avente i connotati per dimostrare che i richiedenti avessero subito la sofferenza alla base della richiesta risarcitoria ed ha aggiunto la nomina di B.G. quale erede universale non induce a ritenere l’esistenza di un legame affettivo con gli altri nipoti tale da radicare il diritto al risarcimento del danno vantato . Ebbene, i ricorrenti censurano tali conclusioni, innanzitutto, partendo da una premessa erronea, cioè che la Corte territoriale abbia equiparato alla diseredazione la loro mancata menzione nel testamenti ipotesi che ribadiscono nella memoria la Corte d’Appello non ha ritenuto che la istituzione di B.G. a erede universale implicasse la loro diseredazione, ma ne ha tenuto quale circostanza indiziaria atta a rafforzare il convincimento che vi fosse prova della ricorrenza di un legame solo tra B.G. e la zia vittima dell’incidente e non anche tra quest’ultima e gli altri nipoti non menzionati nel testamenti. In secondo luogo, la deduzione della violazione dell’art. 2729 c.c. è stata prospettata senza che ne ricorressero i presupposti, siccome individuati da questa Corte. I ricorrenti avrebbero dovuto denunciare che il giudice di merito aveva fondato la presunzione su circostanze non gravi, nè precise e concordanti dovendosi ricordare che la gravità implica la ricorrenza della inferenza probabilistica, la precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi anche verso un altro o altri fatti, la concordanza indica che alla conoscenza del fatto ignoto si è giunti in modo concordante con altri elementi probatori. Una censura di contenuto diverso e/o diversamente argomentata, come in questo caso, si risolve in una richiesta di diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendo la censura su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. Cass. n. 17535/2008 . 3. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 4. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.