Il nipote va risarcito per l’uccisione della nonna, senza dover provare un legame “speciale”

Per ottenere il risarcimento iure proprio del danno non patrimoniale, il nipote deve fornire la prova di un rapporto di reciproco affetto e solidarietà con la defunta e non di un rapporto eccedente la fisiologica intensità delle relazioni con la nonna o un rapporto di convivenza con la stessa, che potranno invece rilevare in sede di quantificazione del danno.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 5258/21, depositata il 25 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado, non riconosce il danno non patrimoniale sofferto iure proprio dalla nipote a seguito dell’uccisione della nonna in un sinistro stradale l’esistenza di un rapporto costante di affetto e la frequentazione nei fine settimana non sono sufficienti secondo i giudici meneghini, che richiedono invece la prova di un legame più forte, eccedente l’intensità fisiologica dei rapporti con l’ascendente. Avverso tale sentenza viene proposto ricorso per Cassazione la terza sezione civile, presieduta da Travaglino, ritiene fondato il ricorso sul punto. Il danno non patrimoniale da uccisione sofferto dai parenti del defunto. La morte di un parente cagionata da un atto illecito altrui può causare un danno non patrimoniale, di cui i congiunti possono chiedere il risarcimento iure proprio a loro incombe la prova dell’effettività e della consistenza della relazione parentale”, la cui lesione è fonte di danno. La Suprema Corte, conformandosi ad altre sue pronunce, ribadisce che a tal fine non è necessario provare la convivenza con il defunto e che tale requisito non è richiesto neppure quando ad agire è il nipote per la perdita del nonno. Gli Ermellini, infatti, superata oramai una lettura restrittiva dell’art. 29 Cost., affermano che la norma costituzionale non tutela solo la famiglia nucleare quella cioè incentrata su coniuge, genitori e figli ma protegge anche rapporti parentali meno stretti conseguentemente, perché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti non appartenenti allo stretto nucleo familiare e assicurato il risarcimento del danno non patrimoniale da loro patito per la lesione di un interesse costituzionalmente protetto, non è affatto necessario che questi convivessero con il defunto. La convivenza può essere un elemento di prova a sostegno della consistenza del vincolo affettivo, della profondità del rapporto parentale, ma non una condizione indispensabile perché tale rapporto sia rilevante per il diritto. Il danno non patrimoniale del nipote per la morte del nonno. Gli oneri probatori. Ribadito che il rapporto tra nonni e nipoti non deve essere ancorato alla convivenza per essere giuridicamente rilevante e che la coabitazione con il nonno non è pertanto necessaria perché il nipote possa ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale come era stato invece affermato in Cass. numero 4253/2012, evocata ma non citata nell’ordinanza, che richiama invece le successive pronunce di segno contrario Cass. numero 7743/2020 Cass. numero 29332/2017 Cass. numero 21230/2016 , la Suprema Corte censura i Giudici di merito per avere confuso i criteri relativi al quantum con quello che presiede invece all’ an debeatur . Il diritto al risarcimento per la lesione del rapporto parentale prevede infatti che venga fornita la prova di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”, che dalla motivazione della sentenza di merito risultano accertati e che costituiscono il presupposto di fatto del danno risarcibile. L’esistenza invece di un legame eccedente l’ordinario rapporto di affetto, di cui la Corte d’Appello di Milano non ha ritenuto essere stata fornita la prova, avrebbe potuto incidere non sull’ an bensì sul quantum e quindi sulla liquidazione del danno, così come l’eventuale rapporto di convivenza come era già stato affermato in altre pronunce, tra cui Cass. 29332/2017, qui richiamata . Per tale motivo la sentenza impugnata è stata cassata e rinviata alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, chiamata a valutare l’esistenza del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale l’an sulla base del principio di diritto sopra richiamato e a procedere poi alla sua quantificazione sulla base dell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 19 novembre 2020 – 25 febbraio 2021, n. 5258 Presidente Travaglino – Relatore Scoditti Rilevato che C.F. , C.G. e C.T. , in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla minore S.S. , rispettivamente coniuge, figli e nipote di B.M.G. , convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Milano Ca.Em. e Italiana Assicurazioni s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno per la morte della propria congiunta a seguito di investimento da parte dell’autovettura condotta dal Ca. . Esposero gli attori che la società assicuratrice aveva corrisposto le somme di Euro 220.000,00 in favore del coniuge, Euro 200.000,00 in favore di ciascuno dei due figli, mentre nulla aveva corrisposto in favore della nipote S.S. e che gli importi erano stati trattenuti a titolo di acconto in quanto non satisfattivi del risarcimento preteso. Il Tribunale adito rigettò la domanda in relazione al danno non patrimoniale, ritenendo satisfattivi gli importi corrisposti, e condannò i convenuti in solido al pagamento, a titolo di danno patrimoniale, della somma di Euro 27.487,25 in favore del coniuge e di Euro 8.840,91 in favore di tutti gli attori, rigettando per il resto la domanda. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. Con sentenza di data 4 aprile 2018 la Corte d’appello di Milano accolse parzialmente l’appello, rideterminando nella somma di Euro 50.000,00 l’importo dovuto a titolo di danno patrimoniale da perdita dell’attività domestica svolta in via esclusiva dalla B. e rigettando per il resto l’appello, e condannò gli appellanti in solido al pagamento delle spese processuali in favore degli appellati nella misura della metà, compensando le spese per la metà residua, stante la reciproca soccombenza che per gli appellanti riguardava due delle tre domande riproposte in sede di impugnazione. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, con riferimento al danno non patrimoniale lamentato dalla nipote per la perdita della nonna, risultava allegato esclusivamente un generico contesto di serenità familiare e di normale affetto fra nonna e nipote le testimonianze, inammissibili, miravano soltanto a dimostrare la generica partecipazione della de cuius alla vita della nipote, in termini anche educativi, e la cura della nipote durante il fine settimana , laddove invece la prova di tale danno implicava la dimostrazione di un legame eccedente la fisiologica intensità delle relazioni con l’ascendente, diversamente dovendosi riconoscere il risarcimento per il solo fatto dell’esistenza del legame. Aggiunse, quanto ai costi sostenuti per il conferimento della gestione del sinistro a Giesse s.r.l., che l’intervento di una società incaricata della gestione stragiudiziale del sinistro poteva considerarsi necessario solo ove fosse comprovata l’inefficacia delle attività compiute personalmente dal danneggiato e si trattasse di costo proporzionato e conforme allo scopo, e che nel caso di specie non risultava dal contratto e dalla documentazione che fosse stato necessario incaricare un società di gestione del sinistro, nè dalle fatture prodotte era possibile apprezzare la consistenza dell’attività effettivamente svolta da Giesse s.r.l Hanno proposto ricorso per cassazione C.F. , C.G. e C.T. , in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulla minore S.S. sulla base di tre motivi. È stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c Considerato che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 2043 e 2059 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2, 29 e 30 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di merito, pur avendo accertato che la nonna era partecipe della vita della nipote, che vi era frequentazione durante le riunioni familiari, nonché la cura della nipote durante i primi tre anni di vita della medesima e poi durante i fine settimana, non ha riconosciuto il danno non patrimoniale, esigendo la prova di un legame eccedente la normale relazione affettiva fra vittima e superstite, laddove invece, in assenza di convivenza, ciò che deve essere provata è l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e di solidarietà con il familiare defunto. Il motivo è fondato. In tema di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione , proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare l’effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno infatti, poiché la società naturale , cui fa riferimento l’art. 29 Cost., non è limitata alla cd. famiglia nucleare , il rapporto tra nonni e nipoti, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, non può essere ancorato alla convivenza, escludendo automaticamente, in caso di insussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto Cass. n. 7743 del 2020, n. 29332 del 2017 e n. 21230 del 2016 . Il giudice di merito, esigendo la prova di un legame eccedente la fisiologica intensità della relazione fra nonni e nipoti, ha scambiato il criterio relativo al quantum del risarcimento con quello relativo all’an. Ed invero, mentre costituisce presupposto di fatto del danno risarcibile l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, che è quanto risulta accertato dal giudice di merito alla stregua della motivazione della decisione impugnata, l’esistenza di un legame eccedente l’ordinario rapporto di affetto, come del resto lo stesso rapporto di convivenza ove esistente, costituiscono circostanze rilevanti ai fini della liquidazione del danno, e dunque incidenti sull’aspetto del quantum e non dell’an cfr. Cass. n. 29332 del 2017 . Il giudice di merito dovrà quindi valutare la spettanza del risarcimento del danno non patrimoniale sulla base del principio di diritto sopra enunciato, apprezzando poi le circostanze del caso concreto in sede di liquidazione dell’ammontare del danno. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che le spese relative alla assistenza tecnica nella fase stragiudiziale della gestione del sinistro costituiscono danno patrimoniale spettante sulla base del principio di regolarità causale. Il motivo è inammissibile. Il giudice di merito ha accertato che non vi era prova che i costi per l’intervento di società incaricata della gestione stragiudiziale del sinistro fossero necessari e giustificati. Tale ratio decidendi, peraltro conforme alla giurisprudenza di questa Corte deve valutarsi se la spesa per l’attività stragiudiziale di uno studio di assistenza infortunistica stradale sia stata necessitata e giustificata in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento, sulla base di una valutazione ex ante - Cass. n. 997 del 2010 e n. 6422 del 2017 , non risulta impugnata dai ricorrenti, i quali si sono limitati a richiamare genericamente il principio di spettanza della spesa. Avrebbero dovuto invece i ricorrenti impugnare, nelle forma della denuncia del vizio motivazionale, la ratio di cui sopra allo scopo di consentire una nuova valutazione da parte del giudice di merito in ordine alla necessità e giustificatezza della spesa. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, nonostante l’esito favorevole del giudizio stante l’accoglimento del primo motivo di appello, gli appellanti sono stati condannati alla rifusione per la metà delle spese processuali. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del motivo. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo ed assorbito il terzo cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.