Cade su un cordolo e chiede i danni al Comune: la colpa è solo del danneggiato

In materia di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato si valuta diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, dovendo tener conto del dovere di ragionevole cautela. Nel caso di specie, essendo avvenuto l’incidente in pieno giorno e considerando che il cordolo sul quale è caduta la vittima era perfettamente visibile, il sinistro va ricondotto esclusivamente alla sua condotta disattenta.

Così si esprime la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24416/20, depositata il 3 novembre. L’attore conveniva in giudizio il Comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui patiti per via della caduta avvenuta su un cordolo di cemento delimitante un contenitore di rifiuti, il quale si trovava in una via del centro che egli stava percorrendo. Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda e così anche la Corte d’Appello a seguito di gravame. Per questo, propongono ricorso per cassazione gli eredi del soccombente, denunciando l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte escludendo un obbligo di custodia in capo al Comune e per avere la stessa ricondotto il sinistro alla colpa esclusiva della vittima. La Suprema Corte dichiara i motivi di ricorso inammissibili, ribadendo i principi in tema di obbligo di custodia . Gli Ermellini, infatti, hanno già avuto modo di chiarire che la condotta del danneggiato si atteggia diversamente a seconda del livello di incidenza causale sull’evento dannoso , richiedendo una valutazione che tenga in considerazione il dovere generale di ragionevole cautela , in ossequio al principio di solidarietà oggetto dell’art. 2 Cost Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha affermato che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro . Ciò ribadito, gli Ermellini rilevano che il Giudice di seconde cure ha deciso la causa servendosi del principio della ragione più liquida, concludendo che la caduta era da ricondurre in via esclusiva al danneggiato. Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 24 settembre – 3 novembre 2020, n. 24416 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. C.P. convenne in giudizio il Comune di Melito di Napoli davanti al Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Marano, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza della caduta avvenuta su di un cordolo di cemento destinato a delimitare un contenitore di rifiuti esistente in una via del centro cittadino nel quale egli si era trovato a transitare. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, svolta prova per testimoni, rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata appellata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 18 ottobre 2017, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha compensato anche le ulteriori spese del grado. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorrono R.M. , C.M. , C.G. e C.A. , tutti in qualità di eredi di C.P. , con unico atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di Melito di Napoli con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e il Comune ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., sostenendo che la Corte di merito avrebbe erroneamente escluso la sussistenza di un obbligo di custodia in capo al Comune, non considerando che l’eventuale colpa del danneggiato avrebbe potuto essere al più valutata in termini di concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, sul rilievo che la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto che il sinistro fosse da ricondurre a colpa esclusiva della vittima. 3. Entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili. 3.1. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. 3.2. La Corte d’appello ha fatto buon governo di tali principi. La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in questa sede, ha deciso la causa facendo applicazione del c.d. principio della ragione più liquida. Per cui, dopo aver ricordato che l’incidente era avvenuto in pieno giorno alle ore 12 di un giorno di settembre e che il cordolo, per colore, dimensioni e funzione era perfettamente visibile, ha concluso nel senso che la caduta era da ricondurre in via esclusiva al comportamento disattento del C. , e tanto indipendentemente da ogni valutazione sulla applicazione o meno dell’art. 2051 c.c 3.3. A fronte di tale motivazione, le censure di cui al primo motivo si rivelano inammissibili per ininfluenza, perché non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha correttamente ritenuto ininfluente stabilire se fosse da applicare l’art. 2043 c.c., o l’art. 2051 c.c., una volta che la colpa della vittima era tale da considerarsi esclusiva e da sola sufficiente nella determinazione dell’evento. Le censure del secondo motivo - che oscillano tra una doglianza di vizio di motivazione e la presunta violazione del principio della ragione più liquida - sono parimenti inammissibili, in quanto si risolvono nell’indebita sollecitazione di questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito. 4. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile. A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.