La scelta del criterio liquidatorio del danno biologico non previsto dal sistema tabellare

In tema di risarcimento del danno biologico, laddove il giudice di merito si trovi di fronte ad un’ipotesi non contemplata dalle tabelle ritenute idonee per la liquidazione, è tenuto a fornire specifica indicazione degli elementi della fattispecie concreta considerati, ritenuti essenziali alla valutazione del danno e giustificativi del criterio di stima adottato, ben potendo ricorrere anche al sistema tabellare come base di calcolo e dando congrua rappresentazione delle modifiche apportate.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12913/20, depositata il 26 giugno. Il Tribunale di Macerata condannava in solido il conducente di un’auto, la proprietaria e la compagnia assicurativa al risarcimento dei danni cagionati ad una donna che era stata investita del veicolo mentre camminava lungo la strada. Dopo 810 giorni di coma , la donna era deceduta . Il Tribunale, riconosciuta la responsabilità esclusiva in capo all’automobilista, aveva liquidato il danno non patrimoniale secondo i criteri delle Tabelle di Milano tenendo conto del grado massimo di invalidità permanente e dell’aspettativa di vita media della persona offesa, che al momento del sinistro aveva 87 anni. Aveva inoltre aumentato del 50% il valore del punto base per l’accertato danno morale. La Corte d’Appello adita dai soccombenti aveva rideterminato la quantificazione del danno biologico jure hereditatis utilizzando un distinto criterio di calcolo più aderente al caso di specie in considerazione dell’effettiva durata della vita della danneggiata. Veniva dunque applicato il valore massimo tabellare giornaliero corrispondente all’inabilità temporanea assoluta e , in considerazione dell’intensità ed entità del danno della donna rimasta in coma, ha apportato un incremento del 50%. Gli eredi e i familiari della donna hanno impugnato la pronuncia di seconde cure. Il ragionamento svolto dai giudici di seconde cure risulta immune da censure in quanto, nella valorizzazione del presupposto della durata della vita , ai fini della liquidazione equitativa del danno, risulta osservato il principio secondo cui l’età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l’aspettativa di vita, sicchè è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica . Di conseguenza, quando la durata della vita futura cessa di essere ancorata ad un criterio statistico e diviene un fatto noto con l’intervenuto decesso del soggetto, il danno biologico va correlato alla durata della vita effettiva . Ciò posto, ed escludendo ogni dubbio sulla portata delle Tabelle di Milano quale riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno biologico, il Collegio conferma la scelta della Corte d’Appello che ha adottato una diversa soluzione , rispetto alla decisione di prime cure, della liquidazione del danno biologico in caso di premorienza. Viene infatti chiarito che fermo che l’esercizio del potere equitativo integrativo, riservato al giudice di merito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., deve assicurare l’ adeguatezza del risarcimento alla utilità effettivamente perduta e la esigenza di uniforme liquidazione delle somme da corrispondere in situazioni identiche, qualora tali scopi non siano raggiungibili attraverso il criterio c.d. tabellare, venendo in questione una ipotesi di danno biologico non contemplato dalle tabelle ritenute idonee per la liquidazione, il Giudice di merito è tenuto a fornire specifica indicazione degli elementi della fattispecie concreta considerati, ritenuti essenziali alla valutazione del danno e giustificativi del criterio di stima ritenuto confacente alla realizzazione dei risultati indicati, bene potendo ricorrere il giudice, come base di calcolo, anche al sistema tabellare, dando però congrua rappresentazione delle modifiche apportate ai dati da esso desunti, che si sono rese necessarie dalla peculiarità della situazione oggetto della aestimatio” . In conclusione, laddove debba essere liquidato il danno biologico per invalidità permanente ad un soggetto deceduto ante tempus per causa diversa dal fatto dannoso e per il quale non possa quindi farsi applicazione del valore tabellare di riferimento per grado di invalidità ed età l momento del sinistro, dovendo essere commisurato l’ammontare del danno alla vita reale del soggetto piuttosto che all’aspettativa di vita media, il giudice di merito bene può realizzare gli obiettivi cui deve conformarsi la discrezionalità equitativa mediante l’applicazione del valore monetario tabellare giornaliero previsto per la ITA moltiplicato per il numero di giorni della esistenza in vita del danneggiato, fatta salva, in ogni caso, ricorrendone i presupposti, la possibilità di incrementare tale valore attraverso la personalizzazione ” del danno risarcibile, purchè – qualora la questione della applicazione di possibili differenti modalità tecniche di quantificazione abbia costituito oggetto di discussione tra le parti – dia compiutamente conto delle ragioni della preferenza accordata ad uno piuttosto che ad un altro criterio liquidatorio . La Corte rigetta i ricorsi e compensa integralmente le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 4 febbraio – 26 giugno 2020, n. 12913 Presidente Frasca – Relatore Olivieri Fatti di causa Decidendo sull'appello proposto da U.G., U.M. ed UGF Assicurazioni s.p.a. avverso la sentenza in data 22.9.2010 del Tribunale di Macerata che li aveva condannati, in solido, a risarcire il danno subito da L.T. investita, mentre percorreva a piedi la strada, dall'auto condotta dal primo, di proprietà della seconda ed assicurata per la RCA dalla suindicata società -, la Corte d'appello di Ancona, con sentenza in data 12.7.2017 n. 1066, rilevata la inapplicabilità dell'art. 652 c.p.p., non avendo inteso la parte offesa, regolarmente citata ex art. 75 c.p.p., comma 2, trasferire l'azione civile, già iniziata, nel procedimento penale, successivamente definito con l'assoluzione del conducente ha ritenuto applicabile la presunzione legale di colpa esclusiva del conducente ex art. 2054 c.c., comma 1, non avendo questi fornito la richiesta prova liberatoria, a fronte di risultanze istruttorie che, anche a seguito delle indagini tecniche svolte in sede penale e civile, avevano consentito di formulare soltanto incerte ipotesi ricostruttive della dinamica del sinistro. La Corte territoriale ha inoltre confermato la condanna al risarcimento del danno patrimoniale e del danno biologico subito dalla L., in quanto la durata in vita della stessa, in stato di coma, per 810 giorni dalla data del sinistro, consentiva di ravvisare quell' apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e l'exitus necessario all'accertamento ed alla valutazione di uno status minorativo della capacità biologica e dinamico-relazionale del soggetto tuttavia, in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha corretto il criterio di liquidazione, ritenendo di dover commisurare la entità del danno alla durata della vita effettiva ed al valore monetario pro die della inabilità temporanea assoluta aggiornato in relazione al tempo trascorso dal primo grado, ed incrementato nella misura massima del 50% avuto riguardo alla enorme dimensione della intensità ed entità del danno e non invece ai valori tabellari previsti per la invalidità permanente . Il Giudice di appello ha inoltre riconosciuto che la liquidazione doveva ritenersi onnicomprensiva anche del danno da sofferenza interiore, avendo il CTU rilevato che nel corso del tempo si erano manifestati lievi miglioramenti dello stato comatoso che indicevano a ritenere che la L. avesse sviluppato una pur minima percezione della gravità della propria condizione. Ha invece confermato il criterio di rivalutazione e di ristoro del danno da ritardata disponibilità della somma spettante agli eredi della danneggiata, mediante il calcolo degli interessi al tasso legale sull'importo annualmente via via rivalutato. La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata per cassazione con distinti ricorsi dai familiari ed eredi della danneggiata, il primo proposto da L.C. e G.B.M.C., notificato in data 28.6.2018, ed il secondo, proposto da B.M.G. e da L.G., notificato telematicamente in data 1.7.2018, ciascuno dei quali affidato a tre motivi. Ha resistito ad entrambi i ricorsi, con distinti controricorsi, UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., già UGF Ass.ni s.p.a Non hanno svolto difese U.G. e U.M. ai quali i ricorsi sono stati ritualmente notificati. Le parti ricorrenti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l'atto contenente il controricorso tuttavia quest'ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1690 del 18/02/1991 id. Sez. 2, Sentenza n. 3004 del 17/02/2004 id. Sez. 2, Ordinanza n. 26622 del 06/12/2005 id. Sez. 5, Sentenza n. 16221 del 16/07/2014 id. Sez. 3, Sentenza n. 2516 del 09/02/2016 la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni venti più venti risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini l'abbreviato e l'annuale di impugnazione in astratto operativi Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 26723 del 13/12/2011 id. Sez. 5, Sentenza n. 16221 del 16/07/2014 . 1.1 Orbene la precedenza cronologica delle notifiche dei ricorsi, qualifica come principale quello proposto da L.C. e G.B.M.C., e come incidentale -risultando osservato il termine di cui all'art. 371 c.p.c., quello proposto successivamente da B.M.G. e da L.G 2. Occorre dare conto in via preliminare della metodologia seguita dai Giudici di merito nella liquidazione del danno non patrimoniale. La Corte territoriale nella esposizione delle vicende processuali della causa, svolta nella parte motiva della sentenza, ha rilevato che il Tribunale di Macerata aveva riconosciuto la responsabilità esclusiva del sinistro in capo a U.G. ed aveva liquidato il danno non patrimoniale, secondo i valori espressi nelle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano edite nell'anno 2006 essendo stato corrisposto in tale anno, dalla società assicurativa della RCA, l'acconto di Euro 100.000,00 a valere sul risarcimento complessivo , tenendo conto del grado massimo di invalidità permanente in quanto la danneggiata era stata ridotta in coma irreversibile e della aspettativa di vita media del soggetto leso, di anni 87 al tempo del sinistro in quanto la morte, intervenuta nel corso del processo alla età di 90 anni, non era da ritenere eziologicamente riconducibile al fatto lesivo , ed aumentando del 50% il valore del punto base, per l'accertato danno morale . Aveva altresì liquidato il danno patrimoniale corrispondente alle spese sostenute per il procedimento di interdizione legale. Sulla complessiva somma di Euro 495.276,17 liquidata a valori 2006 e previa detrazione dell'acconto già ricevuto, aveva poi riconosciuto la rivalutazione monetaria dal 17.12.2006 fino alla data della sentenza pubblicata il 22.9.2010 nonchè gli interessi al tasso legale sulla somma annualmente via via rivalutata, ed inoltre ulteriori interessi maturati sulla predetta somma dal OMISSIS . Risulta ancora dalla sentenza di appello in motiv. pag. 7 che gli eredi della L. avevano percepito in data 20.10.2010 un ulteriore acconto, a valere sul risarcimento del danno, pari ad Euro 114.615,61. 2.1 Investita dalla impugnazione proposta dal conducente, dalla proprietaria e dalla società assicurativa, la Corte d'appello di Ancona ha rideterminato la quantificazione del danno biologico jure hereditatis , utilizzando come criterio, anzichè i valori tabellari corrispondenti al grado del 100% di invalidità permanente di un soggetto di anni 87, un distinto calcolo, ritenuto più aderente ad esprimere il valore del danno in considerazione della effettiva durata della vita della L., deceduta ad anni 90 a tal fine ha utilizzato il valore massimo tabellare giornaliero corrispondente alla inabilità temporanea assoluta Euro 145,00 Tabelle milanesi anno 2006, incrementato fino ad Euro 150,00 in dipendenza del periodo trascorso dal 2006 fino alla data di elaborazione delle più recenti Tabelle milanesi edite nel 2014 , ed ha quindi adeguato detto importo alla peculiarità del caso concreto, tenuto conto della massima intensità ed entità del danno della donna rimasta in coma, incrementandolo del 50% misura massima prevista in Tabella . La Corte d'appello ha poi proceduto alla aestimatio , moltiplicando tale importo per il numero di 810 giorni in cui era rimasta in vita la danneggiata dalla data del sinistro OMISSIS fino all'exitus avvenuto in data 18.3.2008 . Ha, quindi, provveduto a detrarre le somme già corrisposte agli eredi della danneggiata, previa devalutazione al 17.12.2006 data del versamento del primo acconto dell'importo del risarcimento del danno non patrimoniale ma NON anche del danno patrimoniale, confermato nell'importo liquidato dal primo Giudice , confermando il calcolo di rivalutazione ed interessi in conformità ai noti principi enunciati Corte cass. SS.UU. n. 1712/1995 stabilito dal Tribunale, relativamente al periodo 17.12.2006 fino alla data della pronuncia di primo grado, prolungandolo per il periodo intercorso dalla pronuncia del Tribunale fino alla sentenza di appello. Sulla somma così capitalizzata all'attualità, ha applicato gli interessi corrispettivi al tasso legale, decorrenti dalla pronuncia della sentenza di appello fino al saldo. 2.2 Per completezza espositiva occorre aggiungere che entrambi i Giudici di merito hanno escluso che l'exitus potesse essere eziologicamente ricondotto quale conseguenza al fatto lesivo originario. Tuttavia Tribunale e Corte d'appello sono pervenuti, in base ai diversi criteri equitativi applicati, alla differente quantificazione del danno non patrimoniale subito dalla L., complessivamente liquidato in Euro 595.276,17 dal Tribunale, ed invece in Euro 182.250,00 dalla Corte d'appello. 3. Tanto premesso deve procedersi all'esame dei motivi relativi ai due ricorsi proposti avverso la medesima sentenza di appello. A- Esame dei motivi del ricorso principale. 4. Con il primo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostengono i ricorrenti che 1-le Tabelle milanesi non prevedono l'ipotesi di premorienza 2-la opzione compiuta dalla Corte d'appello per l'impiego del valore giornaliero previsto per la inabilità temporanea assoluta, non risponderebbe alle esigenze di equità e proporzionalità che devono caratterizzare l'esercizio del potere di integrazione equitativa 3-che le Tabelle non sono vincolanti ed il Giudice in tale campo, in assenza di espressa considerazione della premorienza, bene avrebbe dovuto esercitare i poteri equitativi puri 4-la sentenza di appello non aveva svolto alcuna critica alla liquidazione equitativa del Tribunale che, nell'ambito della propria discrezionalità, aveva utilizzato un diverso criterio più rispondente , secondo i ricorrenti, alla peculiarità della fattispecie, avendo osservato il primo Giudice che l'evento-morte, in quanto non ricollegabile eziologicamente all'evento lesivo, rimaneva ininfluente rispetto al momento in cui la danneggiata aveva acquistato il diritto al risarcimento per i postumi permanenti .in linea con l'aspettativa di vita 5-conseguiva che la durata della vita non poteva incidere sulla liquidazione del danno, altrimenti insorgendo una disparità di trattamento tra soggetti affetti dai medesimi postumi invalidanti. 4.1 Rispetto alla esposizione delle ragioni a fondamento della censura è del tutto fuori centro la difesa svolta dalla controricorrente UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. in ordine alla questione della percezione o meno della condizione di sofferenza da parte di soggetto che versava fin dal momento del sinistro in stato di coma. Premesso che è del tutto errata la ricostruzione, compiuta dalla società assicurativa, della ratio decidendi della sentenza di appello, atteso che diversamente da quanto opinato da UNIPOLSA Ass.ni s.p.a. la Corte territoriale ha ritenuto che il danno patito dalla L. avuto riguardo alle risultanze della c.t.u. medico legale che aveva riscontrato nel tempo alcuni lievi miglioramenti come il riacquisto della respirazione spontanea dovesse estendersi anche al turbamento e sofferenza di natura psichica non potendo escludersi una percezione sensoriale, seppure minima della danneggiata cfr. sentenza appello, in motiv. pag. 14-15 , rileva il Collegio che ogni questione concernente la erroneità di tale accertamento, in relazione alla pur non perspicua motivazione della sentenza di appello che parrebbe riferire la percezione sensoriale anzichè alla sofferenza fisica integrata nel danno biologico , alla sofferenza interiore e cioè alla coscienza della vittima circa la propria condizione di impotenza, rimane precluso in questa sede in quanto tale statuizione non solo non risulta investita dai motivi di ricorso principale, ma neppure dalla società assicurativa con ricorso incidentale sul punto. La questione controversa, oggetto del motivo di ricorso, non attiene, peraltro, alla componente cd. morale del danno, ma concerne, invece, l'applicazione del criterio di liquidazione equitativa del danno biologico adottato dalla Corte territoriale riguardo al quale la non pertinente difesa svolta da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. sull'assunto che il danno patito da una persona rimasta in coma irreversibile, in quanto dalla stessa non percepito , non integrerebbe danno biologico risarcibile e trasmissibile jure hereditatis si risolve in una affermazione destituita di qualsiasi fondamento logico e giuridico, ponendosi in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui, finanche quando il soggetto è attinto da una lesione mortale e non è questo il caso, posto che entrambi i Giudici di merito hanno escluso, con statuizione non impugnata da alcuna delle parti, che l'evento lesivo non è stato causa, neppure remota, dell'exitus e versi in stato di incoscienza dall'evento lesivo fino alla morte sopraggiunta a distanza di tempo a causa della lesione, al soggetto spetta il danno biologico nella sua integrale estensione, essendo stato privato il danneggiato macroleso di tutte le sue capacità biologiche, nella loro dimensione massima cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 21976 del 19/10/2007 id. Sez. 3, Sentenza n. 22228 del 20/10/2014 id. Sez. 3, Sentenza n. 23183 del 31/10/2014 id. Sez. 3 -, Sentenza n. 21060 del 19/10/2016 id. Sez. 3 -, Sentenza n. 26727 del 23/10/2018 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 16592 del 20/06/2019 id. Sez. 6 3, Ordinanza n. 23153 del 17/09/2019 vedi Corte cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 23197 del 27/09/2018 . 4.2 Tanto premesso il primo motivo è infondato. La Corte d'appello ha ritenuto errata la liquidazione del danno non patrimoniale compiuta dal primo Giudice e dunque ha provveduto a riformare in parte qua la sentenza impugnata. Diversamente da quanto opinato dai ricorrenti, l'elemento destrutturante, diretto ad inficiare l'argomentazione svolta dal primo Giudice, è stato individuato dal Giudice di appello proprio nella durata della vita effettiva della danneggiata che, secondo il Tribunale, non assumeva rilevanza, dovendo provvedersi alla liquidazione del danno in base alle Tabelle milanesi che quantificavano la perdita della salute in relazione alla età della vittima al momento del sinistro ed alla aspettativa di durata della vita media definita secondo criteri di probabilità statistica, riferiti alla intera popolazione viceversa, secondo la Corte territoriale, era proprio il sopravvenuto decesso a definire la dimensione del danno biologico, nel senso che la diminuzione della capacità di agire nel quotidiano della danneggiata risultava esattamente stimabile in concreto, non occorrendo fare ricorso a criteri statistici essendo noto il momento in cui gli effetti pregiudizievoli invalidanti erano venuti a cessare, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale non poteva prescindere dalla effettiva durata della condizione minorativa del soggetto, condizione definitivamente venuta meno con il decesso. 4.3 La evidenziata discrasia, tra il Tribunale ed il Giudice di seconde cure, nella valorizzazione dell'indicato presupposto della durata della vita, ai fini della liquidazione equitativa del danno, deve risolversi a favore del secondo Giudice che si è conformato al consolidato principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui, ai fini della liquidazione del danno biologico, l'età in tanto assume rilevanza in quanto col suo crescere diminuisce l'aspettativa di vita, sicchè è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Ne consegue che, quando invece la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto per essere il soggetto deceduto, allora il danno biologico riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni va correlato alla durata della vita effettiva, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l'intera durata della sua vita residua cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 22338 del 24/10/2007 id. Sez. 3, Sentenza n. 2297 del 31/01/2011 id. Sez. 3, Sentenza n. 23739 del 14/11/2011 id. Sez. 3, Sentenza n. 10897 del 26/05/2016 id. Sez. 3, Sentenza n. 679 del 18/01/2016 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 4551 del 15/02/2019 . 4.4 La diversa tesi sostenuta dai ricorrenti principali, per cui in tal modo verrebbe a determinarsi una ingiustificata disparità di trattamento, secondo che il decesso del danneggiato sopravvenga in corso o dopo la definizione del giudizio di risarcimento del danno, viene a porsi in contrasto con il principio fondamentale della disciplina della responsabilità civile, secondo cui il danno risarcibile al danneggiato deve comprendere tutto quello e non più di quello che è necessario a reintegrare il valore del bene perduto ovvero a reintegrare la differenza tra la situazione in cui versava il soggetto ante e post damnum iniuria datum . L'errore concettuale dei ricorrenti sta nel non considerare la particolare natura del bene pregiudicato oggetto di risarcimento, che è il diritto alla salute dalla lesione del bene salute possono derivare, infatti, effetti invalidanti della capacità psicofisica del soggetto, che, se residuano dopo la guarigione, stabilizzandosi e connotando la nuova condizione psico-fisica della persona, assumono carattere permanente, ripercuotendosi sul soggetto per tutta la successiva durata della sua vita. Pertanto il danno biologico, risolvendosi in una diminuzione o nella soppressione della capacità di agire della persona nel quotidiano, non può essere altrimenti riferito ed apprezzato che in relazione al tempo in cui perdura la vicenda esperienziale dell'essere umano. Intervenuta la morte, con il venire meno della esistenza del soggetto, viene a cessare anche il suo stato di incapacità biologica, e dunque il pregiudizio al bene salute. Ipotizzare, quindi, come sostengono i ricorrenti, che il ristoro del danno deve comprendere anche il pregiudizio che il soggetto se fosse vissuto più a lungo avrebbe continuato a soffrire per la sua minorata condizione, non significa altro che rivendicare senza alcun fondamento logico e giuridico un asserito diritto al risarcimento di un danno di fatto inesistente, in quanto riconosciuto sulla base di una prognosi priva di giustificazione perchè basata su una valutazione, fondata sulla proiezione futura dello status invalidante, assunta con riferimento al momento anteriore all'exitus, e fondata sulla statistica relativa alla aspettativa media di vita della popolazione italiana, la quale risulta storicamente non avverata ossia viene a riconoscersi l'acquisto di un credito risarcitorio maturato su di una aspettativa di vita che, nella realtà, si è rivelata essere errata. 4.5 La obiezione dell'ingiustificato diverso trattamento risarcitorio, cui rimarrebbe esposto il soggetto deceduto in corso del giudizio, rispetto al trattamento riservato, invece, al soggetto ancora in vita al momento della liquidazione del danno, prospettato dai ricorrenti come illogica conseguenza della durata del processo, si rivela un argomento ascrivibile alla figura retorica del paralogismo. Premesso che il fenomeno della eccessiva durata del processo è vicenda del tutto estranea rispetto alla applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, essendo inidonea, pertanto, la mera allegazione di un problema pratico ascrivibile a varie e complesse ragioni che qui non è dato esaminare a veicolare una pertinente critica al fondamento giuridico della commisurazione del danno non patrimoniale alla durata della vita effettiva del danneggiato la durata del processo non è elemento costitutivo del credito risarcitorio, nè elemento determinativo della valutazione della entità del danno e della sua commisurazione per equivalente monetario si vedano per analoghe considerazioni le motivazioni di Corte cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 28168 del 31/10/2019 , osserva il Collegio che il criterio di liquidazione del danno biologico permanente fondato su una stima del quantum compiuta in previsione della probabile durata della vita futura del soggetto, è del tutto consentaneo alla natura e tipologia del danno da stimare invalidità anatomo-funzionale che perdura nel tempo , e risponde altresì alla esigenza dell'ordinamento giuridico di pervenire, attraverso l'esercizio della funzione giudiziaria, comunque ad una definizione delle controversie sul risarcimento del danno, perseguendo attraverso la liquidazione di un danno futuro che appaia verificabile lo scopo di garantire la certezza dei diritti e la tendenziale stabilità dei rapporti giuridici. 4.6 Conclusivamente, sul motivo oggetto di esame, può statuirsi che l'affermazione dei ricorrenti secondo cui il Giudice nella liquidazione del danno biologico può prescindere dalle Tabelle ed utilizzare il criterio equitativo puro non è corretta. E' ormai consolidato il principio per cui l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa a tal fine il criterio di liquidazione delle Tabelle di Milano -in quanto maggiormente diffuso sul territorio nazionale è stato ritenuto parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011 id. Sez. 3 -, Sentenza n. 11754 del 15/05/2018 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1553 del 22/01/2019 . Pertanto In materia di danno non patrimoniale, i parametri delle Tabelle predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti. Ne consegue l'incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri tratti dalle Tabelle di Milano consenta di pervenire cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 17018 del 28/06/2018 l'argomento difensivo per cui, poichè le Tabelle in questione non disciplinano espressamente la ipotesi in cui il danno biologico debba essere liquidato in base alla durata della vita effettiva del danneggiato, il Giudice di merito bene può fare ricorso al criterio equitativo puro, e dunque la soluzione adottata dal Tribunale non poteva essere sindacata, in assenza di accertati errori, dalla Corte di appello, non è un argomento spendibile da un lato, infatti, non si chiarisce quali siano i parametri di verifica della correttezza di un tale criterio, salvo non sconfinare nel puro arbitrium rimesso a scelte meramente soggettive, essendo stata omessa dai ricorrenti la indicazione dei diversi criteri, alternativi a quelli tabellari, che avrebbero dovuto essere applicati, e non considerando che il potere discrezionale conferito al Giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., che costituisce espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità necessaria, ma ad un giudizio di diritto, caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8615 del 12/04/2006 id. Sez. 3, Sentenza n. 9244 del 18/04/2007 id. Sez. 3, Sentenza n. 20990 del 12/10/2011 id. Sez. 6 L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011 id. Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016 dall'altro non tiene conto che il parametro fondamentale sul quale si incentra la divergenza tra la liquidazione del Tribunale e quella della Corte territoriale è da individuare proprio nella durata effettiva della vita del danneggiato entrambi i Giudici hanno, infatti, inteso utilizzare i parametri tabellari milanesi in conformità ai principi di adeguatezza ed uniformità che debbono presiedere al ristoro del danno alla persona Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 17018 del 28/06/2018 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1553 del 22/01/2019 , pervenendo però ad applicazione di criteri di calcolo del valore patrimoniale differenti, in relazione appunto all'indicato parametro della durata della vita della danneggiata la Corte d'appello, pertanto, non si è limitata ad operare una immotivata mera sostituzione di un criterio di liquidazione equitativo ad un altro, pure esso rispondente ai canoni legali di esercizio del potere ex artt. 1226 e 2056 c.c., ma ha evidenziato, invece, l'errore commesso dal primo Giudice, laddove era stato del tutto trascurato l'elemento cronologico della durata effettiva della vita della danneggiata, critica del tutto coerente e conforme agli arresti di questa Corte di legittimità, andando dunque esente la statuizione impugnata dal vizio denunciato con il motivo in esame. 5. Con il secondo motivo si censura la sentenza di appello per omessa considerazione di un fatto decisivo in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo i ricorrenti la Corte d'appello non avrebbe tenuto in considerazione il fatto della età della vittima 87 anni alla data del sinistro questa, infatti, all'epoca dell'illecito aveva già oltrepassato la aspettativa di vita media , al tempo indicata in 82,5 anni e rispetto alla quale doveva quindi esserle riconosciuta una ulteriore speranza di vita di altri 5,408 anni. Assumono i ricorrenti che, essendo deceduta la vittima all'età di 90 anni, i tre anni della durata di vita effettiva non potrebbero essere liquidati in base al valore giornaliero della inabilità temporanea assoluta, se non altro per evidenti conflitti con le tabelle, con i principi generali richiamati, finanche per ragioni di logica elementare ricorso pag. 13 , ed incentrano la critica alla sentenza di appello sulla medesima considerazione, già svolta nel primo motivo di ricorso, secondo cui la durata del processo non può incidere sulla liquidazione equitativa del danno, secondo che il soggetto danneggiato sia premorto, per altra causa, o sopravviva alla decisione. Inoltre, aggiungono i ricorrenti che, nell'anno 2018, il Tribunale di Milano aveva editato le nuove Tabelle nelle quali, per la prima volta, era contemplato anche il danno biologico in caso di premorienza del danneggiato, già previsto, peraltro, dalle Tabelle edite dal Tribunale di Roma le quali apparivano, anche in relazione al metodo di calcolo, più adeguate a ristorare il danno biologico subito di una persona in avanzatissima età. 5.1 Il motivo è inammissibile e comunque infondato. Richiamate le considerazioni svolte nel corso dell'esame del primo motivo a sostegno della infondatezza della censura concernente la prospettata ingiustizia per disparità di trattamento della liquidazione del danno non patrimoniale in relazione alla sopravvivenza o meno del danneggiato al momento della aestimatio , osserva il Collegio che i ricorrenti non hanno esplicitato in quale modo il fatto decisivo età della danneggiata sia stato pretermesso dalla Corte d'appello ed in che modo invece, ove considerato, avrebbe determinato con certezza una differente decisione in ordine alla quantificazione del danno. In disparte dal rilievo per cui, se l'indicato fatto decisivo fosse strumentalmente fatto valere per contestare la mancata applicazione delle asseritamente migliori Tabelle romane e dunque il vizio di legittimità dovesse essere più propriamente ricondotto alla censura per error juris determinato dalla violazione delle norme di diritto di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. , il motivo di ricorso andrebbe incontro ad inammissibilità, per inosservanza dei requisiti di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, non essendo stato neppure indicato se e quali fossero i criteri delle Tabelle del Tribunale di Roma editate pare nell'anno 2013 nota 7 a pag. 17 del ricorso e se le stesse siano state e quando depositate in giudizio ed abbiano costituito oggetto di discussione nei gradi di merito, deve, in ogni caso, ritenersi manifestamente infondata la critica mossa alla sentenza di appello, circoscritta ai seguenti rilievi di illegittimità e così argomentata ricorso, pag. 20 a parametrare il danno, non alla aspettativa della vita residua, ma al numero di anni effettivamente vissuti dopo il sinistro, è illegittimo se si sta analizzando la posizione di un soggetto che aveva già ampiamento superato la durata della vita media . b non possono -in conseguenza essere utilizzati i valori monetari espressi dalle Tabelle milanesi in quanto a parità di grado di invalidità, divergono secondo l'età, proprio perchè al crescere dell'età cala l'aspettativa di vita . Quanto al primo rilievo sub lett. a è sufficiente richiamare le considerazioni già svolte nell'esame del primo motivo di ricorso la durata della vita effettiva integra un elemento storico certo rispetto al quale il dato statistico-presuntivo della aspettativa di vita media della popolazione non può che, necessariamente, recedere nell'applicazione del criterio di liquidazione equitativa del danno biologico. Quanto al secondo rilievo sub lett. b sempre che la critica dei ricorrenti non debba ritenersi inclusa già nel primo rilievo la critica parrebbe del tutto controproducente rispetto alla tesi sostenuta dagli stessi ricorrenti secondo la quale dovrebbero applicarsi, senza alcuna riduzione, i valori tabellari determinati per il danno biologico permanente riferiti ad un soggetto di anni 87 e con grado di invalidità riconosciuto pari al 100% eccepire, infatti, la inapplicabilità dei valori tabellari, perchè correlati al dato statistico della aspettativa di vita non più adattabile al predetto soggetto, significa contestare l'impiego del criterio tabellare pieno adottato dal Tribunale attribuzione del danno biologico in misura corrispondente al valore tabellare del grado di invalidità permanente riferito all'età alla data della lesione che, proprio per tale ragione, è stato ritenuto errato e sostituito con altro criterio di liquidazione equitativo dalla Corte di appello. 5.2 In ogni caso si osserva che, se è pur vero che il valore-punto tabellare implica il riconoscimento attraverso l'applicazione del coefficiente di demoltiplicazione riferito all'avanzamento della età ed alla diminuita aspettativa di vita di una riduzione della progressione incrementativa del valore-punto dipendente dall'aumento del grado di invalidità, riduzione giustificata dalla considerazione che il peso della incapacità biologica diminuisce con l'età, atteso il naturale deterioramento della complessiva funzionalità dell'organismo anatomo-funzionale dell'essere umano, non si comprende, tuttavia, in che modo tale principio tabellare verrebbe a supportare la critica svolta alla sentenza di appello. Se, infatti si vuole negare l'applicazione tout court delle Tabelle perchè la L., al momento del sinistro, aveva già superato l' aspettativa di vita media , la critica è male posta sotto un duplice aspetto a in quanto le Tabelle milanesi edite nel 2006 cui hanno fatto riferimento i Giudici di merito calcolano i valori del danno biologico da invalidità permanente fino alla età massima di anni 100 con applicazione del demoltiplicatore massimo fatto pari a 0,505 , e dunque non essendovi ragioni ostative per considerare, anche con riferimento a persona che abbia superato il limite statistico di aspettativa di vita, la demoltiplicazione per la età, atteso che l'avere conseguito più persone detto limite, non determina per ciò solo un livellamento della singola futura probabilità di vita in relazione alla età in concreto raggiunta da ciascuna di esse, venendo pertanto ad assumere rilievo sul dimensionamento del valore-danno biologico l'intervallo temporale tra la età considerata come limite statistico e quella effettivamente raggiunta fino ad anni 100 b in quanto la Corte d'appello, utilizzando il valore del danno biologico pro die da inabilità temporanea assoluta ITA , non ha tenuto affatto conto del predetto coefficiente demoltiplicatore riferito alla residua aspettativa di vita media, essendo determinato l'indicato valore-danno pro die in modo del tutto indipendentemente dalla aspettativa di vita del soggetto danneggiato, sicchè la critica fondata sulla asserita illogicità della applicabilità alla L. di valori-danno riferiti al dato statistico della aspettativa di vita media utilizzato come elemento modulatore del quantum risulta del tutto inconferente. 5.2 Vero è che il Tribunale di Macerata e la Corte d'appello d'Ancona hanno entrambi ritenuto di assumere a base della liquidazione equitativa le Tabelle del Tribunale di Milano. Ma tale scelta non appare ex se censurabile, in quanto espressione dell'esercizio del potere di liquidazione equitativa è infatti riservata al Giudice di merito la scelta della tecnica ritenuta più adeguata al ristoro del pregiudizio in relazione alle circostanze concrete. La discrezionalità rimessa in tale ambito al Giudice di merito, dagli artt. 1226 e 2056 c.c., e nella specie la scelta di ricorrere alle Tabelle milanesi, rimane estranea alla individuazione e definizione degli elementi essenziali contemplati nello schema normativo della fattispecie costitutiva del diritto di credito al risarcimento del danno sia all'accertamento della sequenza fatto norma effetto ed al perfezionamento della fattispecie e cioè dell'accertamento dei fatti genetici del diritto , sia alla determinazione di tutte le conseguenze pregiudizievoli in concreto verificatesi, in funzione della integralità del ristoro del danno. La funzione delle Tabelle quale mero strumento di orientamento della attività di liquidazione equitativa da esercitare secondo i principi direttivi della proporzionalità-adeguatezza ed uniformità, e non anche di criterio di accertamento degli elementi della fattispecie, ha consentito di ritenere immediatamente applicabile, anche ai giudizi in corso, il criterio tabellare , nei casi in cui lo stesso è stato introdotto ex lege, con il D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139 Codice Assicurazioni Private , ed è stato quindi esteso recentemente anche al settore della responsabilità professionale medica D.L. 13 settembre 2012, n. 158 conv. con modificazione nella L. 8 novembre 2012, n. 189 L. 8 marzo 2017, n. 24 , non venendo in questione i limiti altrimenti imposti alla applicazione retroattiva delle leggi, atteso che la normativa primaria si limita, per l'appunto, soltanto a circoscrivere il predetto ambito di discrezionalità del Giudice di merito, stabilendo la prevalenza del criterio cd. tabellare di liquidazione del danno biologico, che tuttavia può trovare deroga qualora le circostanze che contraddistinguono il caso concreto richiedano un adattamento della liquidazione del danno cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 28990 del 11/11/2019 . 5.3 Al riguardo non appare conferente il richiamo, nel motivo di ricorso, ai precedenti di questa Corte di legittimità al fine di dedurre la necessità di applicare l'incremento percentuale del valore danno tabellare onde tenere conto della personalizzazione delle conseguenze menomative subite dalla danneggiata. Premesso che i precedenti invocati si riferiscono al diverso caso della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale in relazione al quale le Tabelle prevedono un range tra i valori minimo e massimo , e premesso ancora che gli incrementi percentuali disposti attraverso la personalizzazione del danno attengono al caso in cui i valori tabellari determinati in base ad un parametro standard di validità biologica di un soggetto considerato sano con riferimento alla media delle persone abili della stessa età e che si trovino nelle medesime condizioni di salute si rivelino inadeguati a compensare pregiudizi del tutto anomali, non riscontrabili comunemente nei soggetti della medesima età e condizione, in quanto evidenzianti perdite di specifiche utilità assolutamente eccezionali e riferibili esclusivamente a quella singola persona cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3505 del 23/02/2016 id. Sez. 3 -, Sentenza n. 24155 del 04/10/2018 id. Sez. 6 3, Ordinanza n. 14746 del 29/05/2019 , mentre i ricorrenti nulla allegano in ordine ad ulteriori ed eccezionali pregiudizi sofferti dalla L., osserva il Collegio che la critica non coglie nel segno atteso che, nel caso specifico, la Corte d'appello ha fatto applicazione di tale potere incrementativo, reputando congruo aumentare della metà misura massima prevista dalle Tabelle milanesi l'importo base della ITA pari ad Euro 150,00 giornaliere, in considerazione delle gravissime lesioni riportate dalla sig.ra L .tanto .da rendere necessaria l'assistenza continua fin dal giorno dell'evento sentenza appello, in motiv. pag. 14 , venendo quindi a corrispondere alla richiesta dei ricorrenti di applicazione dell'incremento del valore dovuto alla personalizzazione del danno. 5.4 Infondata è altresì la censura, ricondotta nel corretto alveo dell' error juris , volta a sostenere la prevalenza dei criteri liquidatori del danno da premorienza, adottati dal Tribunale di Roma e dal Tribunale di Milano, per la prima volta, con le recenti Tabelle edite nell'anno 2019. Osserva il Collegio che la censura della sentenza per mancata applicazione dello specifico criterio di liquidazione del danno biologico da premorienza previsto, per la prima volta, nelle più recenti Tabelle milanesi cfr. estratto Tabelle, pag. 15 e 21 ricorso e romane cfr estratto Tabelle in allegato alla memoria ex art. 378 c.p.c., dei ricorrenti incidentali , si risolve esclusivamente in una contestazione di merito in ordine alla diversa opzione preferenziale da accordare al criterio di liquidazione equitativa, e non affronta idoneamente la questione della violazione dei principi di diritto cui deve uniformarsi l'esercizio del potere ex artt. 1226 e 2056 c.c., che, unicamente, costituisce l'oggetto del sindacato di legittimità. L'attività di controllo demandata a questa Corte, non è diretta a verificare quale tra le molteplici possibili tecniche liquidatorie sia da ritenere quella migliore o dotata di una maggior grado di logicità, quanto piuttosto a verificare se la tecnica in concreto prescelta nella specie la quantificazione determinata sul valore base dell'ITA moltiplicato per il numero dei giorni di vita effettiva, aumentato del 50% in relazione al massimo grado percentuale di invalidità accertato dal CTU violi i limiti imposti alla discrezionalità del Giudice dai principi di proporzionalità-adeguatezza e di uniformità di trattamento delle liquidazioni del danno non patrimoniale. La verifica di legittimità è dunque rivolta a controllare che il modus procedendi del Giudice di merito non sia trasmodato in una liquidazione equitativa pura caratterizzata dalla applicazione di criteri meramente soggettivi, o sia sconfinata nell'assoluto arbitrio, inteso come assenza di qualsiasi indicazione dei criteri che hanno orientato la aestimatio , e che, invece, siano stati prescelti criteri obiettivi id est verificabili idonei a valorizzare tutte le variabili del caso concreto ed a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal Giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20895 del 15/10/2015 . Ne segue che, a fronte di una chiara esposizione, nella motivazione della sentenza, del criterio di liquidazione equitativa applicato dal Giudice di merito, sarà onere dei ricorrenti dedurre specificamente gli argomenti fattuali e giuridici intesi ad evidenziare quali aspetti di illegittimità inficiano il criterio di liquidazione integrativa, per violazione dei principi di diritto o di norme di legge legali che vincolino il potere discrezionale ad esempio il D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, Codice Assicurazioni Private o per assoluta contraddittorietà o ancora per conclamato oggettivo contrasto con i dati di comune esperienza cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1529 del 26/01/2010 id. Sez. L, Sentenza n. 12318 del 19/05/2010 . Tale formulazione critica del motivo di ricorso, nella specie, è mancata essendosi limitati i ricorrenti soltanto a contrapporre al metodo di liquidazione prescelto dalla Corte d'appello un altro differente criterio di liquidazione del danno non patrimoniale. Non vengono posti in evidenza, nell'attività svolta dalla Corte d'appello, errori determinati dalla omessa considerazione di elementi essenziali di valutazione nel liquidare il danno biologico la Corte d'appello ha, correttamente, tenuto conto della età e della durata della vita effettiva nonchè del grado del 100% di invalidità, valorizzato in funzione dell'incremento percentuale massimo apportato al valore pro die della inabilità temporanea assoluta . Nè può ritenersi ex se rivelativo del vizio di illegittimità della sentenza impugnata il differente risultato quantitativo cui pervengono le diverse tecniche di liquidazione equitativa poste in comparazione nella specie la applicazione del criterio desunto dalle nuove Tabelle milanesi vedi ricorso pag. 15 e 21 comporta che ad una invalidità del 100% riconosciuta ad un soggetto di anni 87 corrisponderebbe, fino a 90 anni, per il primo anno un importo di Euro 52.432,00 per il secondo di Euro 91.755,00 e per il terzo -e gli eventuali anni successivi di Euro 26.216,00. La somma totale è pari ad Euro 165.126,00 e qualora si applichi l'incremento del 50% per la personalizzazione si perviene all'importo di Euro 247.689,00. La Corte d'appello di Ancona ha liquidato tenuto conto dell'aumento per la personalizzazione del 50% Euro 182.250,00 . La mera divergenza del risultato quantitativo quando non si manifesti come assurda od intollerabilmente sproporzionata, anche in relazione a casi analoghi non mette in discussione i principi-parametro espressi dalle norme di diritto di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., laddove l'esame della attività svolta dal Giudice di merito evidenzi la esaustività delle premesse in fatto, considerate essenziali ai fini dell'integrale risarcimento del danno, e la coerenza logica dei parametri assunti a base del sistema di calcolo prescelto per tradurre nell'equivalente valore patrimoniale il pregiudizio da ristorare. 5.5 Orbene questa Corte ha più volte riconosciuto se pure con riferimento alle lesioni con conseguenze mortali, ma il criterio è certamente estensibile anche alla fattispecie in esame che se il decesso procede dopo un apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, il ricorso al criterio basato sul valore dell'ITA è da ritenere coerente con lo scopo di riconoscere alla vittima un adeguato ristoro. Si è infatti affermato che la determinazione del risarcimento dovuto a titolo di danno biologico iure hereditatis , nel caso in cui il danneggiato sia deceduto dopo un apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, va parametrata alla menomazione dell'integrità psicofisica patita dallo stesso per quel determinato periodo di tempo, con commisurazione all'inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che, detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 22228 del 20/10/2014 id. Sez. 3, Sentenza n. 23183 del 31/10/2014 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 16592 del 20/06/2019 id. Sez. L -, Ordinanza n. 17577 del 28/06/2019 . 5.6 Consegue che la scelta compiuta dalla Corte d'appello di Ancona, appartenendo all'ambito discrezionale delle diverse possibili tecniche risarcitorie per equivalente del danno biologico in caso di premorienza, rimane esente da censura, potendo affermarsi il seguente principio di diritto Fermo che l'esercizio del potere equitativo integrativo, riservato al Giudice di merito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., deve assicurare l'adeguatezza del risarcimento alla utilità effettivamente perduta e la esigenza di uniforme liquidazione delle somme da corrispondere in situazioni identiche, qualora tali scopi non siano raggiungibili attraverso il criterio cd. tabellare, venendo in questione una ipotesi di danno biologico non contemplato dalle tabelle ritenute idonee per la liquidazione, il Giudice di merito è tenuto a fornire specifica indicazione degli elementi della fattispecie concreta considerati, ritenuti essenziali alla valutazione del danno e giustificativi del criterio di stima ritenuto confacente alla realizzazione dei risultati indicati, bene potendo ricorrere il Giudice, come base di calcolo, anche al sistema tabellare, dando però congrua rappresentazione delle modifiche apportate ai dati da esso desunti, che si sono rese necessarie dalla peculiarità della situazione oggetto della aestimatio . Ne segue che, nel caso in cui, debba essere liquidato il danno biologico per invalidità permanente ad un soggetto deceduto ante tempus per causa diversa dal fatto dannoso, e per il quale non possa quindi farsi applicazione del valore tabellare di riferimento per grado di invalidità ed età al momento del sinistro, dovendo essere commisurato l'ammontare del danno alla vita reale del soggetto piuttosto che alla aspettativa di vita media, il Giudice di merito bene può realizzare gli obiettivi cui deve conformarsi la discrezionalità equitativa mediante l'applicazione del valore monetario tabellare giornaliero previsto per la ITA moltiplicato per il numero di giorni della esistenza in vita del danneggiato, fatta salva, in ogni caso, ricorrendone i presupposti, la possibilità di incrementare tale valore attraverso la personalizzazione del danno risarcibile, purchè qualora la questione della applicazione di possibili differenti modalità tecniche di quantificazione abbia costituito oggetto di discussione tra le parti dia compiutamente conto delle ragioni della preferenza accordata ad uno piuttosto che ad un altro criterio liquida torio . 6. Con il terzo motivo si censura la sentenza di appello per violazione dei criteri tabellari, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti sostengono che, essendo previsti nelle Tabelle più recenti edite nell'anno 2019 sia dal Tribunale di Roma che dal Tribunale di Milano, specifici criteri tra loro difformi per la liquidazione del danno biologico in caso di premorienza del danneggiato, il difforme criterio, basato sulla inabilità temporanea assoluta, applicato dalla Corte d'appello dovrebbe ritenersi, per ciò solo, inficiato da illegittimità, imponendo la cassazione della sentenza impugnata con rinvio. Al riguardo invocano l'applicazione dei criteri tabellari adottati dal Tribunale di Roma, in quanto ritenuti preferibili. Affermano altresì che il principio ispiratore delle Tabelle sarebbe quello di liquidare gli stessi importi corrispondenti al valore del grado di invalidità permanente al soggetto danneggiato che sopravviva ed a quello già deceduto al momento della aestimatio. 6.1 I motivo, quanto alla sua ultima parte argomentativa, è infondato. Premesso che le tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell'organo giudicante, sicchè costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9367 del 10/05/2016 id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1553 del 22/01/2019, con riferimento alle Tabelle milanesi , potendo riflettersi la immotivata deroga dai criteri tabellari generalmente riconosciuti ed applicati, nel vizio di violazione dei principi di adeguatezza ed uniformità cui deve conformarsi l'esercizio della equità giudiziale integrativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., osserva il Collegio che la censura si articola su un percorso contraddittorio in quanto, da un lato, si sostiene la necessità che il criterio di liquidazione equitativa tenga conto del fattore durata nel caso in cui il danneggiato deceda prima del giudicato, dovendo aversi riguardo alla vita effettiva piuttosto che alla aspettativa di vita media, mentre, dall'altro, si afferma che il danno non potrebbe ritenersi una funzione costante crescente con il tempo , ossia non verrebbe ad essere dimensionato alla durata della vita, insistendo i ricorrenti sulla preferenza da accordare alle Tabelle romane, rispetto a quelle milanesi, in quanto meglio calibrate sulla situazione di premorienza di persone in avanzata età. Se per le ragioni già ampiamente illustrate non può convenirsi sul principio in base al quale al danneggiato spetterebbe l'intero importo dell'ipotetico danno futuro , anche nel caso in cui, per eventi naturali ad esso estranei, il soggetto viene a decedere ante tempus , e se non appare di agevole decifrazione il criterio di calcolo descritto alle pag. 26-29 del ricorso, non apparendo convincente l'ipotetico frazionamento del danno biologico da invalidità permanente in una componente statica ed una dinamica, non essendo esplicata la ragione per cui la componente statica dovrebbe prescindere dal fattore tempo, occorre osservare che il rilievo per cui non potrebbe ritenersi logico l'utilizzo tout court da parte della Corte d'appello del valore giornaliero dell'ITA desunto dalle Tabelle milanesi, in quanto, diversamente dai valori espressi dai gradi invalidità permanente, non terrebbe conto che al crescere dell'età cala l'aspettativa di vita , è argomento fallace in quanto a l'aspettativa di vita è elemento di valutazione previsionale incompatibile ed alternativo a quello storicamente certo della durata effettiva della vita b paradossalmente proprio la mancanza di considerazione nel valore ITA del coefficiente di demoltiplicazione applicato, invece, alla determinazione dei valori riferiti alla invalidità permanente, viene a favorire la danneggiata che si trovi in avanzatissima età. 6.2 La tesi difensiva dei ricorrenti secondo cui l'assenza di una maggiore aspettativa di vita media da parte del soggetto di anni 87 che aveva già superato il limite statistico, comporta la liquidazione per intero del valore tabellare del grado di invalidità permanente, a prescindere da quanto il soggetto sia effettivamente vissuto rimane smentita dalla considerazione per cui Il danno permanente alla salute, al contrario, è un danno che si verifica de die in diem, posto che per ogni giorno della sua vita chi l'abbia patito è destinato a soffrirne le conseguenze. Esso dunque è ontologicamente destinato a proiettarsi nel futuro, ed è per questa ragione che il valore monetarlo del punto di invalidità utilizzato per la stima di tale danno viene abbattuto in funzione dell'età della vittima artt. 138 e 139 Cod. Ass. , dal momento che quanto maggiore è l'età della vittima al momento del danno, tanto minore sarà il periodo di tempo per il quale esso dovrà essere sopportato. cfr. Corte cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 28168 del 31/10/2019, in motivazione, paragr. 1.11 . 6.3 Diversa questione è quella, invece, prospettata dai ricorrenti in calce al motivo di ricorso, là dove sostengono che la causa andrebbe comunque rimessa alla Corte d'appello in sede di rinvio, in quanto, essendo stata espressamente disciplinata nelle Tabelle romane e milanesi edite per l'anno 2018 la ipotesi della liquidazione del danno biologico in caso di premorienza del danneggiato, il Giudice di merito sarebbe comunque tenuto a fare applicazione dei criteri tabellari aggiornati e più recenti. Il motivo è infondato. Esclusa la rilevanza in questa sede della mera ed indimostrata allegazione che tali nuovi criteri di liquidazione fossero già presenti nelle Tabelle edite dal Tribunale di Roma nel 2013, non essendo stata fornita dai ricorrenti alcuna indicazione circa la produzione nei gradi di merito e circa il fatto che tale questione abbia costituito in tali gradi di giudizio specifico oggetto di discussione, quanto alla applicabilità delle Tabelle editate solo successivamente alla pubblicazione della sentenza di appello, occorre svolgere le seguenti considerazioni e precisazioni in ordine alla posizione assunta da questa Corte nei suoi precedenti giurisprudenziali in materia. Alla preferenza da attribuire alle Tabelle edite dal Tribunale di Milano al fine di realizzare il principio di uniformità dei trattamenti risarcitori riservati al medesimo tipo di danno alla integrità psicofisica della persona questa Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011 era pervenuta sul rilievo che esse fossero da tempo già ampiamente diffuse sul territorio nazionale, precisando tuttavia che le stesse fornivano il parametro alla stregua del quale valutare la legittimità dell'esercizio del potere equitativo integrativo ex art. 2056 c.c., salvo che non emergessero in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono, potendo essere fatto valere in sede di legittimità il relativo vizio di error juris , dipendente dalla applicazione di Tabelle differenti e dalla conseguente liquidazione di un quantum diverso da quello risultante dalle Tabelle di Milano, solo in quanto la questione fosse stata già posta nel giudizio di merito conf., sui limiti consentiti alla deroga tabellare, Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 9950 del 20/04/2017 conforme alla necessità che la questione sia stata espressamente dedotta e ritualmente acquisita all'oggetto del giudizio di merito Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 27562 del 21/11/2017 . 6.4 La dipendenza della censura di legittimità dalla questione di merito relativa alla applicazione di Tabelle differenti da quelle milanesi è stata ulteriormente ribadita e definita dalle decisioni di questa Corte con le quali si è precisato che condizione di accesso al sindacato è altresì l'avvenuto deposito delle Tabelle nei gradi di merito Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12397 del 16/06/2016 id. Sez. 1, Sentenza n. 17678 del 07/09/2016 anche mediante allegazione o riproduzione negli scritti conclusionali , tanto in considerazione del fatto che alle Tabelle non può riconoscersi al di fuori di eventuali espresse previsioni di legge natura ed efficacia di fonti del diritto, con conseguente inapplicabilità del principio jura novit curia ex art. 113 c.p.c., comma 1 e dell'obbligo di applicazione del jus superveniens Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9367 del 10/05/2016 id. Sez. 3 -, Sentenza n. 20381 del 11/10/2016 escludono entrambe l'obbligo del Giudice di appello di riconvocazione della camera di consiglio, in caso di nuova edizione delle Tabelle sopravvenuta nelle more tra la data in cui si era svolta la camera di consiglio e la data di pubblicazione della sentenza di secondo grado . E' decisivo rilevare che la esigenza di uniformità si è ravvisata in relazione alla liquidazione del danno biologico derivato da lesione del diritto alla salute, e dunque con riferimento ai criteri tabellari di commisurazione del punto-base e dei valori corrispondenti ai differenti gradi di invalidità biologica rapportati alla età del soggetto leso, dati che, soltanto in relazione ai criteri liquidatori di tale danno si è riscontrata quella diffusione sul territorio nazionale e generale applicazione da parte degli Uffici di merito, che consentiva di individuare un parametro di uniformità. La evoluzione delle Tabelle nel senso di ricomprendere anche voci di danno diverse dalla invalidità biologica ossia dalle menomazioni misurabili secondo criteri propri della medicina legale e finanche scollegate dall'evento lesivo della salute, non fa acquistare ad esse alcuna capacità espansiva del principio di uniformità, atteso che la definizione dei limiti entro i quali può ritenersi legittimo l'esercizio del potere riservato al Giudice di merito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., non può che essere rimessa, in via esclusiva, all'intervento nomofilattico di questa Corte, quale organo di vertice garante della uniforme interpretazione del diritto nazionale, e tale intervento, proprio in quanto diretto ad estrarre dalle indicate disposizioni il significato ed il contenuto normativo della discrezionalità in tema di liquidazione equitativa del danno, non può evidentemente tradursi in una sorta di delega in bianco ad includere sotto l'egida del riconosciuto parametro di uniformità anche nuove ipotesi di danno, diverse dal danno biologico, o differenti e nuovi criteri di liquidazione del danno ad esempio nel caso in cui dovessero essere totalmente ridisegnati o sostanzialmente modificati gli elementi fattuali posti a base della valutazione del danno biologico . Al riguardo è stato chiaramente affermato che, seppure inseriti nelle Tabelle del Tribunale di Milano, i criteri di liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale cfr. Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 29495 del 14/11/2019 . Questa precisazione appare necessaria al fine di individuare l'ambito di estensione della denunciabilità avanti la Corte di cassazione, per violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., della mancata applicazione delle Tabelle milanesi. La violazione di norma di diritto dovrà, infatti, ritenersi strettamente correlata alla definizione dei parametri della adeguatezza ed uniformità che questa Corte ha inteso riferire alle predette Tabelle parametri ravvisabili esclusivamente per la quantificazione del danno biologico da invalidità permanente e temporanea secondo il valore del punto-base con incremento progressivo in relazione al grado di invalidità e riduzione decrescente in funzione della età, secondo la diminuzione della aspettativa di vita. 6.5 Non deroga ai limiti di sindacabilità come sopra definiti la regola per cui, se la questione del quantum risarcibile è devoluta al Giudice di appello, questi tanto se investito direttamente quanto se investito in sede di giudizio di rinvio in seguito a cassazione della sentenza impugnata è tenuto, laddove accogliendo il motivo di ritenga di dovere rideterminare l'importo risarcitorio, a provvedere alla nuova liquidazione del danno biologico in base alle Tabelle più aggiornate. Tale principio non incide, infatti, sulla irrilevanza della sopravvenienza, in pendenza del giudizio di legittimità, della edizione di una nuova Tabella, atteso che questa nel giudizio di legittimità funge esclusivamente quale parametro di verifica di un criterio di liquidazione equitativa effettivamente utilizzato dal Giudice di merito, in quanto concretizzatosi nelle statuizioni della sentenza impugnata, e non anche invece quale strumento operativo rivolto esclusivamente al Giudice di merito al fine della scelta del criterio liquidatorio equitativo che deve ancora essere esercitata nel giudizio in corso. Pertanto se, come è stato affermato nel precedente di questa Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 25485 del 13/12/2016, la variazione tabellare sopravvenuta nel corso del giudizio deve ritenersi immanente all'esercizio del potere equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., che rimane pertanto sindacabile, sotto il profilo della violazione di legge , tale principio trova applicazione esclusivamente con riferimento all'attività del Giudice di merito che si discosti -senza plausibile ragione dai nuovi criteri tabellari limitandosi ad applicare i precedenti criteri divenuti obsoleti . , non essendo ipotizzabile, stante i limiti propri del sindacato di legittimità, la possibilità di un esercizio diretto, da parte della Corte di cassazione, del potere di liquidazione equitativa del danno al riguardo è stato icasticamente rilevato da Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 20381 del 11/10/2016, con riferimento al caso delle nuove Tabelle, edite nel 2013, sopravvenute dopo la decisione di appello Totalmente inconsistente, poi, è ictu oculi la parte finale del motivo, nella quale si chiede al giudice di legittimità di applicare le tabelle del 2013 seguendo comunque i criteri adottati dal giudice d'appello per il danno non patrimoniale dell'attuale ricorrente come se l'attività di questa Suprema Corte dovesse costituire una sorta di passiva appendice del giudizio di merito . Ed anche il menzionato precedente di questa Corte Cass Sez. 3 -, Sentenza n. 25485 del 13/12/2016 seguito da Corte Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 22265 del 13/09/2018 , esplicitamente richiamato dai ricorrenti, si riferisce, infatti, puntualmente alla variazione tabellare intervenuta nelle more del giudizio di appello. La sentenza è stata massimata dal CED della Corte nei seguenti termini In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all'esito del giudizio di primo grado, l'ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema tabellare , la sopravvenuta variazione nelle more del giudizio di appello delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l'applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del punto base in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull'ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c. . Tale principio è stato ulteriormente precisato nel precedente di Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 24155 del 04/10/2018, secondo cui In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all'esito del giudizio di primo grado, l'ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo tabelle successivamente modificate nel corso del giudizio di appello, il danneggiato è legittimato a proporre impugnazione per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, purchè deduca, con specifico motivo di gravame, la differenza tra i valori minimi o massimi tra le tabelle ante e post 2008 ed alleghi che l'applicazione dei nuovi valori-punto nel minimo comporterebbe per ciò stesso un risultato più favorevole della liquidazione del danno attribuitagli con la sentenza impugnata. . Ed infatti la mera allegazione, come motivo di censura, della omessa applicazione delle Tabelle milanesi, è inidonea ex se in difetto di specifica deduzione dell'errore commesso dal Giudice di merito nell'impiego del criterio di liquidazione equitativa del danno ad inficiare la sentenza impugnata Corte cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 21229 del 17/09/2013 , palesandosi del tutto irrilevante la mancata formale applicazione delle Tabelle milanesi qualora al danneggiato sia comunque riconosciuto un importo corrispondente a quello risultante da queste ultime cfr. Corte Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 913 del 17/01/2018 . 6.6 La censurabilità in sede di legittimità della sentenza di merito impugnata, per mancata od errata applicazione delle Tabelle di Milano, deve rispondere, quindi, a presupposti necessari ben precisi a proposizione in grado di appello di specifico motivo di gravame volto a contestare la applicazione di Tabelle diverse da quelle milanesi, o comunque richiesta di applicazione delle Tabelle milanesi più recenti, con indicazione dell'errore commesso dal Giudice di merito e della manifesta differenza tra gli importi in comparazione b allegazione e produzione nei gradi di merito della Tabella ritenuta applicabile, anche soltanto mediante riproduzione nei propri scritti difensivi c deduzione della violazione di norma di diritto artt. 1226 e 2056 c.c. in relazione alla inosservanza del principio conformativo della uniformità di risarcimento del danno, con riferimento all'ambito applicativo di detto principio riconosciuto alle Tabelle milanesi dalla Corte di legittimità criteri tabellari di liquidazione limitati al solo danno biologico . Nel caso di specie non ricorre alcuna delle condizioni indicate, dovendo in aggiunta evidenziarsi come neppure vi sia coincidenza tra le soluzioni tecniche di liquidazione del danno biologico da premorienza proposte, per la prima volta nelle Tabelle milanesi ed in quelle romane edite nel 2018, sicchè rimane esclusa a monte la stessa ravvisabilità di una diffusione sistematica e prevalente sul territorio di alcuno dei criteri indicati, e dunque difettando lo stesso presupposto della censura del metodo adottato in concreto dalla Corte d'appello, in ipotesi fondata sulla violazione del parametro della uniformità dei trattamenti risarcitori. 6.7 In conclusione, inapplicabile per persistente inattuazione della norma di cui al D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139 e succ. mod. la Tabella di liquidazione del danno biologico per lesioni di non lieve entità, finora non emanata, ed in difetto al tempo della decisione in grado di appello di criteri uniformi di liquidazione del danno biologico in caso di premorienza del danneggiato, non può ritenersi manifestamente sproporzionato o del tutto abnorme, e dunque censurabile per violazione dell'art. 2056 c.c., il criterio adottato dalla Corte d'appello di Ancona che ha liquidato il danno biologico subito da persona di anni 87 rimasta in coma fino all'exitus avvenuto, per cause indipendenti dalla lesione, circa tre anni dopo, in base al valore giornaliero della inabilità temporanea assoluta, modificato con incremento percentuale massimo in considerazione della particolare gravità della menomazione, e moltiplicato per il numero di giorni corrispondenti alla durata della vita effettiva, con attualizzazione dell'importo capitale e ristoro del danno da ritardata disponibilità dell'equivalente monetario del danno risarcito. B- Esame dei motivi del ricorso incidentale 7. Primo motivo violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti incidentali propongono gli stessi argomenti già esaminati nel primo motivo del ricorso principale, sostenendo che l'evento morte sopravvenuto non potrebbe intaccare il quantum risarcitorio maturato dalla danneggiata al tempo del sinistro, trattandosi di un fatto sopravvenuto che per di più andrebbe ad avvantaggiare la società assicurativa che non aveva provveduto a liquidare esaustivamente il danno non patrimoniale. Il motivo è infondato alla stregua delle considerazioni già svolte nell'esame del ricorso principale, dovendo ribadirsi che l'evento morte costituisce, nel caso di specie, un fatto naturale sopravvenuto il cui accadimento si verifica indipendentemente dalla durata del processo, e costituisce il termine ultimo del pregiudizio alla salute, in relazione al quale si impone di dimensionare correttamente in conformità al principio per cui al danneggiato spetta l'integrale ristoro del danno effettivamente subito e nulla di più l'ammontare del quantum risarcibile, non potendo farsi riferimento alla liquidazione di valori patrimoniali proiettati nella presunta durata futura della vita, quando è già noto il dato finale di quest'ultima e dunque l'effettivo periodo di tempo in cui il soggetto ha subito gli effetti pregiudizievoli determinati dai postumi invalidanti. 7.1 Non dirimente è il richiamo al precedente di questa Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 5013 del 28/02/2017 che afferma l'irrilevanza dei fatti sopravvenuti alla stima del pregiudizio da ristorare per sostenere la irrilevanza dell'evento morte gli esempi riportati in motivazione in quella sentenza attenevano, infatti, alla esattezza o meno dell'importo versato al danneggiato dalla società assicurativa a titolo risarcitorio, esattezza da valutare in base ai criteri di determinazione del quantum vigenti al momento della taxatio questa intesa nella sentenza come riferibile a qualsiasi pagamento effettuato in base ad un accordo, ad altro parametro convenzionale, alla indicazione di un terzo, e non soltanto, quindi, in base ad un accertamento giudiziale . Ne segue che, in quel caso, la riconosciuta esattezza dell'importo pagato valeva ad escludere una responsabilità per imputabilità del ritardo nel caso in cui fosse sopravvenuta, nel corso del giudizio di merito, una modifica degli originari parametri di liquidazione dell'importo che veniva -successivamente a rendere inesatto il pagamento già eseguito. In questo caso, invece, l'evento morte verificatosi in corso di giudizio, viene a rilevare come termine essenziale della liquidazione del danno, incidendo sulla determinazione del quantum dovuto dal debitore, e legittima quindi la azione restitutoria delle somme eventualmente pagate in eccesso in ottemperanza della decisione di prime cure, non venendo in questione la pur sempre possibile riforma della decisione di primo grado, ove investita con specifico gravame sul punto del criterio liquidatorio. Altra e diversa questione è poi quella, che non ricorre peraltro nella fattispecie all'esame del Collegio, della immutabilità della liquidazione dell'ammontare del debito in conseguenza dell'effetto estintivo della obbligazione risarcitoria con modalità satisfattiva, per intervenuto pagamento del dovuto, rimanendo irrilevanti eventuali nuove tecniche di liquidazione del danno che siano sopravvenute al rapporto obbligatorio ormai esaurito. 7.2 Per il resto il motivo si risolve nella trascrizione della motivazione di una risalente decisione di merito del Tribunale di Perugia, che non vale a superare l'affermazione del consolidato principio per cui in caso di sopraggiunto decesso del danneggiato la liquidazione del danno biologico va commisurata alla effettiva durata della esistenza. 8. Secondo motivo nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il motivo non raggiunge la sufficienza richiesta dall'art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, ed è, pertanto, inammissibile. 8.1 Assumono i ricorrenti incidentali che il Tribunale aveva ritenuto di dover verificare se il primo pagamento eseguito dalla società assicurativa fosse o meno esaustivo rispetto alle Tabelle di Milano vigenti al tempo 2006 , mentre la Corte d'appello avrebbe omesso tale accertamento. Orbene, premessa la distinzione tra vizio di omessa pronuncia su motivo di gravame ovvero di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato che presuppone la esistenza di tutti i requisiti strutturali di validità del provvedimento giurisdizionale emesso all'esito del processo e vizio di carenza assoluta di motivazione che, invece, si traduce proprio nella incompletezza di quegli elementi strutturali, prescritti a pena di validità, idonei a consentire di riconoscere nel provvedimento i caratteri propri della sentenza , osserva il Collegio, quanto al vizio di violazione dell'art. 112 c.p.c., che il motivo di ricorso per cassazione, in tanto supera il vaglio di ammissibilità, in quanto la parte fornisca la specifica indicazione dei motivi di appello sottoposti al Giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo indispensabile la conoscenza puntuale di tali motivi ai fini della verifica di legittimità demandata a questa Corte cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 317 del 11/01/2002 id. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012 id. Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012 id. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015 . Nella specie i ricorrenti neppure individuano il motivo di gravame sul quale il Giudice di seconde cure avrebbe omesso di pronunciare, con la conseguenza che rimane precluso l'accesso al sindacato di legittimità sul vizio dedotto con la censura in esame. 9. Terzo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2056 e 2059 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti incidentali censurano la sentenza di appello in quanto, avendo il Giudice di merito liquidato il danno in base alla vita effettiva, l'ammontare del quantum pari ad Euro 182.250,00 sarebbe da ritenere sproporzionato rispetto all'importo risarcitorio che la danneggiata, se fosse rimasta in vita, avrebbe ottenuto applicando i valori tabellari della invalidità permanente Euro 595.276,14 . 9.1 La censura è inammissibile. Il motivo è tutto incentrato a qualificare come abnorme ed iniqua la liquidazione del danno biologico, richiamando precedenti di questa Corte Cass., 19057/2003 2297/2011 che, in relazione alle ipotesi di premorienza del danneggiato, hanno affermato la correttezza della liquidazione correlata alla durata effettiva della vita, evidenziando che il danno morale ed il paterna d'animo , nei primi anni è più intenso rispetto ai periodi successivi. Tali richiami giurisprudenziali non appaiono pertinenti al caso di specie in cui viene in questione il danno biologico e non la componente non patrimoniale della sofferenza interiore , intesa come riflessione del soggetto sulla propria commiserevole condizione di vita o anche come consapevolezza della ingiusta offesa subita alla propria dignità, non trovando alcun fondamento l'anapodittica affermazione dei ricorrenti secondo cui le due voci di danno non sarebbero concettualmente ed ontologicamente scindibili, configurando un unico indissolubile pregiudizio alla salute, cosicchè il diverso livello di intensità della sofferenza, nei primi anni, dovrebbe traslarsi anche sul piano della invalidità biologica tanto più considerando che se la ragione della differente evoluzione del valore-danno biologico nei primi anni dal sinistro fosse da ricondurre al progressivo adattamento del soggetto alla sua nuova condizione psicofisica vedi ricorso incidentale pag. 34 , rimarrebbe allora da dimostrare come si atteggia, nel caso in esame, tale maturazione dell'adattamento, posto che il danneggiato, dal sinistro all'exitus, è rimasto in coma irreversibile. Quanto poi alla invocata preferenza da accordare alle Tabelle del Tribunale di Roma, asseritamente edite nel 2013, delle quali peraltro i ricorrenti incidentali omettono di precisare se e quando siano state prodotte nei gradi di merito e se abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e neppure indicano quali fossero i criteri previsti per la liquidazione del danno in caso di premorienza, e se questi fossero o meno coincidenti o diversi rispetto ai criteri elaborati nelle Tabelle edite nell'anno 2018 , la tesi difensiva si limita ad evidenziare che, secondo tali criteri, il danno non è una funzione crescente con il tempo indicazione insufficiente ad identificare le modalità tecniche operative del calcolo liquidatorio, e che appare, per le ragioni sopra esposte, anche equivoca ed errata, laddove debba intendersi che la quantificazione del danno biologico deve essere compiuta con esclusivo riferimento alla età della vittima al tempo della lesione, ed a prescindere dal dato certo della effettiva durata delle vita, pur se il danneggiato, al tempo dell'evento lesivo, aveva già superato il dato statistico della aspettativa della vita media della popolazione. 10. In conclusione il ricorso principale ed il ricorso incidentale debbono essere rigettati. Le spese del giudizio di legittimità possono dichiararsi interamente compensate tra le parti, ravvisandosi giusti motivi ai sensi dell'art. 92 c.p.c., nel testo introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a , applicabile ratione temporis attesa la parziale novità delle questioni trattate, e la continua evoluzione, nel corso del giudizio introdotto nel 2007, della giurisprudenza di legittimità in materia di risarcibilità del danno non patrimoniale, attestatasi solo recentemente su posizioni costanti. P.Q.M. riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., i ricorsi proposti avversa la medesima sentenza da L.C. e G.B.M.C. ricorso principale nonchè da L.G. e G.B.M.G. ricorso indentale , rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.