Casco protettivo: quello a “scodella”, in luogo dell’integrale omologato, impedisce il risarcimento

Il collegio della III Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 6161/20, ha negato il risarcimento dei danni subìti da una donna, trasportata a bordo di un motoveicolo, a seguito della caduta dovuta ad un improvviso attraversamento di cani sulla carreggiata la donna indossava un casco a scodella” anziché il casco protettivo integrale omologato.

La legge 29 luglio 2010, numero 120, all’articolo 28, ha reso illegittimo l’impiego del casco a scodella ovvero quello con omologazione di DGM finanche per i ciclomotori, mentre per gli ulteriori veicoli, come i motocicli, la sospensione delle omologazioni era già intercorsa in epoca anteriore, per il tramite di un decreto del 2000. I fatti. Una donna veniva trasportata a bordo di un motociclo condotto da un uomo, indossando il casco di protezione cd. a scodella. Il conducente, non avvertendo la presenza di alcuni cani sulla carreggiata, perdeva il controllo del mezzo la trasportata urtava il viso contro il casco indossato dal conducente, così subendo lesioni al volto e ai denti, un trauma alla spalla destra e al ginocchio destro. La vicenda nei gradi di merito. Il Giudice di Pace dichiarava il conducente e il proprietario del veicolo responsabili delle lesioni subite dalla donna nella misura del 50%, nel contempo dichiarando l’inammissibilità dell’azione proposta nei confronti della compagnia di assicurazione del veicolo. La donna ricorreva in appello, il quale veniva accolto parzialmente, dichiarando ammissibile l’azione diretta nei confronti della società di assicurazione, ai sensi dell’articolo 141 del Codice delle Assicurazioni Private, altresì confermando la responsabilità degli appellati in misura pari al 50%. L’accoglimento della doglianza relativa alle spese di lite. La questione approda presso la Corte di Cassazione, che accoglie il ricorso formulato dalla donna limitatamente alle spese di lite, così decidendo nel merito. Nella specie, la donna deduceva la violazione del principio dell’effetto espansivo interno della pronuncia riformata, invocando la conseguente nullità della decisione. Più in dettaglio, secondo la tesi difensiva, il giudice di seconde cure, prescindendo dall’accoglimento del gravame, non avrebbe provveduto a rinnovare il regolamento delle spese di lite del giudizio di primo grado, già poste da quel giudice, in misura della metà, a carico dei due convenuti. Per l’effetto, ritenuta fondata l’azione diretta ai sensi dell’articolo 141 del Codice delle Assicurazioni Private, le spese di lite del giudizio di primo grado avrebbero dovute essere poste a carico della compagnia di assicurazione. Il collegio di legittimità, aderendo all’esposta tesi difensiva, ha osservato che il giudice di seconde cure avrebbe dovuto regolare le spese di lite di primo grado ponendole a carico anche della compagnia e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., ha deciso nel merito, così condannando la compagnia al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, in via solidale, col conducente e col proprietario del veicolo. La prova sulla tipologia di casco indossato. Ulteriormente, secondo la donna, il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere non allegata e, per l’effetto, non provata, la circostanza che la stessa, al momento dell’incidente, non avesse indossato il casco integrale. Il Collegio di legittimità, nel ritenere la censura infondata, evidenzia che tale rilievo non rappresenta l’esito dell’ applicazione del principio di non contestazione di cui all’articolo 115 del codice di rito civile, in quanto la non contestazione dell’impiego del casco integrale presuppone che detta circostanza fosse stata allegata e quindi dedotta dalla ricorrente che, al contrario, si era limitata a una deduzione dissimile e, più precisamente indossava il casco regolamentare di protezione omologato regolarmente allacciato . La disciplina applicabile all’impiego dei caschi di protezione a bordo di motocicli” e ciclomotori”. Il collegio richiama la decisione resa dallo stesso collegio di legittimità Sezione VI-3, Ordinanza 30 luglio 2019, numero 20558 , nella quale si era osservato che la legge 29 luglio 2010, numero 120, all’articolo 28, ha reso illegittimo l’impiego del casco a scodella ovvero quello con omologazione di DGM finanche per i ciclomotori, mentre per gli ulteriori veicoli, come i motocicli, la sospensione delle omologazioni era già intercorsa in epoca anteriore, per il tramite di un decreto del 2000. Ulteriormente, viene osservato che il caso a scodella risulta differente rispetto al casco aperto cd. Jet”, in quanto privo della copertura della zona corrispondente al collo ed alle orecchie. Consegue che la ricorrente avrebbe dovuto specificamente dedurre, ex articolo 366, numero 6, del codice di rito civile, che la vicenda asseriva alla circolazione di un ciclomotore”, e quindi di un veicolo a due ruote di cilindrata non maggiore di 50 cc e velocità massima di 45 km/h. Il collegio ulteriormente ha osservato che nel ricorso non ricorre il richiamato elemento e che, all’opposto, si riferisce ad un sinistro avvenuto a bordo di un motoveicolo” e cioè un motociclo avente cilindrata e velocità superiori rispetto al ciclomotore”, e rispetto al quale il divieto di utilizzo del casco a scodella risultava addirittura precedente alla data di verificazione del sinistro che, nella specie, occorse nell’ottobre dell’anno 2009. La contestazione della prova sulla tipologia di casco indossato. Per il collegio della Cassazione la doglianza formulata dalla donna risulta ulteriormente infondata in quanto, dall’analisi della pronuncia resa in primo grado, emerge che il Giudice di Pace avesse appreso dell’impiego del casco a scodella in sede di prova testimoniale. Più in particolare, è stato precisato che l’esito della prova costituenda deve ritenersi prevalente rispetto a un’ipotesi di non contestazione circa l’utilizzo di un casco omologato, seppure aperto come il Jet” , e ciò sulla base di due argomenti in prima battuta, in quanto l’attore avrebbe dovuto evidenziare, al giudice di primo grado, che l’impiego specifico di un casco differente da quello a scodella non avrebbe dovuto essere provato poiché non contestato, ovvero avrebbe dovuto richiedere la revoca della prova testimoniale in ordine alla tipologia del casco impiegato. Una volta espletata la prova testimoniale e non contrastata, secondo quanto illustrato dalla stessa Corte di Cassazione, non risulta censurabile l’argomentazione del Giudice di Pace che abbia ricostruito il fatto sulla base delle dichiarazioni rese dai testimoni in secondo luogo il collegio ha ribadito Corte di Cassazione, Sezione VI-3, Ordinanza numero 20558 del 30 luglio 2019 che il principio di non contestazione è evocato a torto, dato che si fa riferimento non alla mancata contestazione di un fatto, bensì all’omessa contestazione di una qualificazione di liceità dell’uso del casco a scodella, che, inerendo ad un problema di individuazione del diritto applicabile ai fatti doverosamente il Tribunale ha fatto, applicando il principio .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 19 settembre 2019 – 5 marzo 2020, n. 6161 Presidente Travaglino – Relatore Positano Rilevato che con atto di citazione dell’8 febbraio 2012 S.M.P. esponeva che il giorno omissis si trovava, in qualità di trasportata, a bordo del motociclo Honda SH di proprietà di M.N. e condotto da F.A. e assicurato con Ina Assitalia successivamente Generali Italia S.p.A. , indossando il casco di protezione. Improvvisamente il conducente si distraeva e non si avvedeva della presenza di alcuni cani sulla carreggiata, perdeva il controllo del motociclo che rovinava per terra e la trasportata urtava con il viso il casco indossato da F. , subendo lesioni al volto ai denti e un trauma alla spalla destra e al ginocchio destro. Dalle lesioni residuavano postumi che richiedevano protesi dentarie e trattamenti odontoiatrici futuri. Sulla base di tali elementi evocava in giudizio, davanti al Giudice di pace di Castellammare di Stabia, l’assicuratore Ina Assitalia, M.N. e F.A. per il risarcimento dei danni quantificati in Euro 20.000 si costituiva l’assicuratore eccependo l’inammissibilità dell’azione diretta esperita nei suoi confronti ai sensi dell’art. 141 Codice delle Assicurazioni, ricorrendo l’ipotesi di caso fortuito e deducendo che i danni non si sarebbero verificati con l’uso del casco obbligatorio il Giudice di pace, con sentenza del 26 febbraio 2014, dichiarava F.A. e M.N. responsabili delle lesioni subite dall’attrice nella misura del 50% e dichiarava inammissibile l’azione proposta nei confronti dell’assicuratore avverso tale sentenza proponeva appello S.M.P. con atto notificato il 22 maggio 2014 ritenendo errata l’affermazione del primo giudice secondo cui non sarebbe applicabile la disciplina del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 141 atteso il coinvolgimento di un solo motoveicolo nell’incidente. Aggiungeva che il primo giudice aveva omesso di qualificare la domanda anche ai sensi dell’art. 144 stessa legge e censurava il concorso colposo nella produzione del danno, attribuito al mancato utilizzo del casco protettivo integrale omologato, in luogo del casco cosiddetto a scodella vietato dalla legge. Infine, lamentava il mancato computo degli interessi. Si costituiva Generali Italia S.p.A. eccependo l’inammissibilità dell’appello e l’infondatezza del gravame il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza del 14 dicembre 2017, accoglieva parzialmente l’appello dichiarando ammissibile l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore ai sensi del D.Lgs., art. 141 riconosceva e liquidava gli interessi legali e condannava gli appellati al 50% delle somme riconosciute delle spese di lite avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S.M.P. affidandosi a sei motivi. Resiste con controricorso Generali Italia S.p.A. Considerato che con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. con riferimento al principio di non contestazione e la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 Secondo il giudice di primo grado il concorso colposo si fonderebbe sul mancato uso del casco protettivo integrale omologato da parte dell’attrice, in luogo di quello cd a scodella. La decisione era stata impugnata in appello rilevando che la compagnia non aveva contestato la circostanza specifica dedotta dall’attrice secondo cui la stessa portava il casco regolamentare di protezione omologato . La circostanza avrebbe trovato riscontro anche nelle dichiarazioni del teste escusso. Il giudice di appello ha implicitamente rigettato il motivo concernente la violazione del principio di non contestazione rilevando il nesso di causalità tra il mancato utilizzo del casco integrale e i danni in questione . La decisione sarebbe errata perché la contestazione dell’assicuratore era assolutamente generica con conseguente ammissione dei fatti dedotti in giudizio dall’attore. Pertanto, il primo giudice non avrebbe dovuto ammette la prova dell’utilizzo del casco regolare omologato. Sotto tale profilo sarebbe irrilevante la circostanza che la società intimata non era a conoscenza del fatto poiché la giurisprudenza di legittimità ritiene tale profilo superfluo anche se si tratta di fatti ignoti alla parte non contestante Cass. n. 24627 del 2 dicembre 2016 . In conclusione il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere non contestato e, quindi, provato che la ricorrente portava il casco regolamentare di protezione omologato il motivo non è specifico perché, mentre il primo giudice riconosce il concorso di colpa per l’utilizzo di un casco non regolamentare il casco a scodella vietato dalla norma vigente al momento del sinistro , il giudice di appello, invece, non ritiene rilevante la questione dell’utilizzo del casco non omologato, ma quella del casco non integrale, come emerge dal passaggio riportato anche dalla ricorrente secondo cui tenuto conto delle lesioni riportate dalla predetta in conseguenza del sinistro per cui è causa frattura di cinque elementi dentari sussiste un evidente nesso di casualità tra il mancato utilizzo del casco integrale e i danni in questione . Tale profilo non è contestato con il motivo, che, invece, si fonda su una presunta non contestazione sull’utilizzo di un casco regolare. Tale profilo, alla luce della specifica motivazione del Tribunale è irrilevante con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 112, 163, 167, 180, 183, 311, 318, 319 e 320 c.p.c. relativi al principio di allegazione con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente rileva che gravava sulla società di assicurazione l’onere di allegare che l’attrice non indossava un casco regolamentare ovvero ne indossava uno non omologato. Tali profili non sono stati contestati dalla compagnia di assicurazioni con la conseguenza che il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere non allegato e non provato il mancato utilizzo del casco integrale e, pertanto, non avrebbe dovuto ridurre il risarcimento nella stessa percentuale di concorso di colpa erroneamente riconosciuta la censura è infondata. Parte ricorrente intende sostenere che il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere non allegato e conseguentemente non provato che l’attuale ricorrente non indossava il casco integrale . Ma tale profilo non rappresenta il risultato dell’applicazione del principio di non contestazione previsto all’art. 115 c.p.c. per la semplice ragione che la non contestazione dell’uso del casco integrale presuppone che tale circostanza sia stata allegata e dedotta dalla ricorrente la quale, al contrario, si è limitata a una deduzione specifica differente indossava il casco regolamentare di protezione omologato regolarmente allacciato . Inoltre, il Tribunale si sofferma sul mancato uso del casco integrale e tale profilo non è contrastato con il primo e secondo motivo con il terzo motivo si deduce la violazione l’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 Il Tribunale avrebbe omesso di considerare che la L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 28 che ha introdotto il divieto del casco cd a scodella non è applicabile al caso in esame trattandosi di disciplina successiva all’evento, verificatosi il omissis . Sotto altro profilo l’ordinamento non impone l’utilizzo del casco integrale, in luogo di quello aperto casco jet con il quarto motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 171. Il giudice di primo grado ha evidenziato che il teste escusso ha riferito che l’attrice indossava un casco a scodella vietato dichiarato fuorilegge dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 28 . La valutazione del primo giudice, fatta propria dal Tribunale sarebbe errata poiché, per quanto già riferito nel precedente motivo, all’epoca dei fatti era consentito l’utilizzo di un casco aperto omologato il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente perché strettamente connessi. Quanto alla disciplina applicabile all’utilizzo dei caschi di protezione va richiamato quanto affermato da questa Corte nella decisione n. 20558/2019, che ha osservato che la L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 28, con decorrenza dal 12 ottobre 2010, ha reso illegittimo l’utilizzo del casco con omologazione DGM cd a scodella anche per i ciclomotori, mentre per gli altri veicoli motocicli la sospensione delle omologazioni era già intervenuta con D.M. 28 luglio 2000. Pertanto, parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che la vicenda riguardava la circolazione di un ciclomotore, cioè di un veicolo a due ruote di cilindrata non superiore a 50 c.c. e velocità massima di 45 km all’ora. Tale elemento difetta nel ricorso che anzi si riferisce a un sinistro del O missis ed a un motoveicolo Honda SH, cioè un motociclo con cilindrata e velocità superiori, per il quale il divieto di utilizzo del cd casco a scodella DGM era assai precedente alla data di verificazione del sinistro la censura, in ogni caso, è infondata perché dall’esame della sentenza di primo grado, nei termini riportati dalla ricorrente, emerge che il Giudice di pace ha appreso dell’uso del casco a scodella che è cosa diversa dal casco aperto Jet, perché è privo della copertura della zona corrispondente al collo ed alle orecchie dalla prova testimoniale. Il risultato della prova costituenda deve ritenersi prevalente rispetto ad un’ipotesi di non contestazione riguardo all’utilizzo di un casco omologato, seppure aperto. Ciò sulla base di due argomentazioni. In primo luogo perché l’attore avrebbe dovuto evidenziare al primo giudice che l’utilizzo specifico di un casco diverso da quello a scodella non avrebbe dovuto essere provato, in quanto non contestato ovvero avrebbe dovuto richiedere la revoca della prova testimoniale riguardo alla tipologia di casco utilizzato. Ma una volta espletata la prova testimoniale e non contrastata nei termini sopra evidenziati, non è censurabile l’argomentazione del Giudice di pace che abbia ricostruito il fatto sulla base delle dichiarazioni testimoniali. In secondo luogo, va richiamato il principio affermato da questa Corte Cass. n. 20558-2019 secondo cui il principio di non contestazione è evocato a torto, dato che si fa riferimento non alla mancata contestazione di un fatto, bensì alla mancata contestazione di una qualificazione di liceità dell’uso del casco a scodella, che, inerendo ad un problema di individuazione del diritto applicabile ai fatti doverosamente il Tribunale ha fatto, applicando il principio con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo della corrispondenza tra chiesto e pronunziato. Il giudice di appello avrebbe omesso di pronunziarsi su tutta la domanda ritualmente formulata dalla ricorrente in sede di gravame in particolare sulla richiesta di porre tutti gli importi liquidati anche a carico della società assicurativa il motivo è infondato perché le conclusioni dell’attuale ricorrente, nei termini trascritti nel ricorso, non fanno riferimento a quanto indicato, limitandosi ad una richiesta di accogliere, conseguentemente, la domanda dell’attuale appellante anche nei confronti di Generali Italia S.p.A. con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 91 e 336 c.p.c. e la violazione del principio dell’effetto espansivo interno della sentenza riformata, con conseguente nullità della decisione. Il giudice di appello, nonostante l’accoglimento del gravame, non avrebbe provveduto ad un nuovo regolamento delle spese di lite del giudizio di primo grado, già poste da quel giudice, per metà a carico dei soli convenuti F. e M. . Pertanto, una volta ritenuta fondata l’azione diretta ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 141 le spese di lite del giudizio di primo grado avrebbero dovuto essere poste a carico dell’assicuratore il motivo è fondato. Il giudice di appello avrebbe dovuto provvedere ad un nuovo regolamento delle spese di lite di primo grado ponendole a carico anche dell’assicuratore. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto ex art. 384 c.p.c., decidendo nel merito, va disposta la condanna di Generali Italia S.p.A. al pagamento delle spese del giudizio di primo grado in solido con F.A. e M.N. . Sotto tale profilo appare congruo l’importo determinato da Giudice di pace in Euro 1.250,00 tenuto conto della decurtazione operata l’accoglimento limitato all’ultimo motivo, nei termini indicati in motivazione, esclude la possibilità di esaminare la richiesta di condanna della controricorrente al pagamento di una somma ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3. In considerazione dell’esito del giudizio le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto limitatamente all’ultimo motivo, mentre gli altri vanno rigettati la sentenza va cassata e decidendo nel merito estesa la condanna disposta in primo grado, anche nei confronti dell’assicuratore, nei termini indicati in dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il sesto motivo ricorso, rigetta gli altri cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito estende la condanna al pagamento delle spese di lite del giudizio di primo grado a Generali Italia SpA in solido con gli altri convenuti conferma nel resto compensa interamente le spese del giudizio di legittimità.