Telefono muto durante le feste natalizie: niente risarcimento dalla compagnia telefonica

Respinta la richiesta avanzata da un avvocato, lamentatosi perché la società gli ha staccato l’utenza, rimasta muta dal 24 dicembre al 10 gennaio. Impossibile parlare di lesione risarcibile, secondo i Giudici.

Telefono muto per tutto il periodo natalizio. Nessuna possibilità, quindi, di ricevere gli auguri da amici e familiari. Questo dato non è sufficiente però per consentire al cliente di ottenere un ristoro economico dalla compagnia telefonica, colpevole di avere disattivato la sua utenza Cassazione, ordinanza n. 3544/20, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Periodo natalizio. Scenario della vicenda è la provincia di Agrigento. Lì un avvocato si ritrova col telefono muto per il periodo natalizio, cioè dal 24 dicembre al 10 gennaio. E scopre facilmente che la compagnia telefonica – la Telecom – ha disattivato la sua utenza” e gli ha anche addebitato la somma di 200 euro a titolo di penale”. Inevitabile, a quel punto, lo scontro giudiziario, con l’avvocato che chiede un adeguato risarcimento, spiegando di avere, da un lato, perduto potenziali clienti” a causa della disattivazione dell’utenza e, dall’altro, di non avere potuto ricevere telefonicamente gli auguri di amici e parenti per le festività natalizie”. Lesione. La pretesa avanzata dal legale viene ritenuta legittima in Tribunale, dove gli viene riconosciuto un risarcimento pari a 4mila euro. Questa cifra viene però drasticamente ridotta in Appello, dove i giudici stabiliscono che l’unico danno risarcibile è la somma di 200 euro” addebitata come penale” dalla compagnia telefonica. Questa visione viene confermata ora dalla Cassazione, che ritiene perciò prive di fondamento le altre pretese risarcitorie avanzate dall’avvocato. Innanzitutto, i giudici osservano che il legale non ha dedotto specificamente quali possibilità di incremento patrimoniale” legato a potenziali nuovi clienti avesse perduto”. Subito dopo i Giudici chiariscono che la perduta possibilità di disporre di un telefono funzionante durante le feste natalizie non costituisce né una ipotesi di reato né una lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti”.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 17 ottobre 2019 – 13 febbraio 2020, n. 3544 Presidente Frasca – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2008 Ig. Va. convenne dinanzi al Tribunale di Agrigento la società Telecom Italia s.p.a., esponendo che - aveva stipulato con la Telecom un contrato di utenza telefonica - la Telecom il 24.12.2007 disattivò la sua utenza, e gli addebitò la somma di 200,13 Euro a titolo di penale - l'utenza restò disattiva dal 24 dicembre al 10 gennaio - in conseguenza di tali fatti aveva patito danni patrimoniali e non patrimoniali, consistiti nel non aver potuto ricevere telefonicamente gli auguri di amici e parenti per le festività natalizie, e di avere perduto potenziali clienti per la sua attività professionale di avvocato. 2. Con sentenza n. 1091 del 2011 il Tribunale di Agrigento accolse la domanda, liquidando complessivamente i danni patrimoniali e non patrimoniali nella misura di Euro 4.000, oltre Euro 1.614,75 di spese, più accessori. 3. La Corte d'appello di Palermo, adita dalla società soccombente, ritenne che l'unico danno risarcibile fosse la somma di Euro 200,13 addebitata dalla Telecom all'utente, e rigettò tutte le altre domande risarcitorie. 4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da Ig. Va. con ricorso fondato su due motivi. Ha resistito con controricorso la Telecom Italia s.p.a Ragioni della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente sostiene che sia stata erroneamente rigettata la sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale, il quale si sarebbe dovuto ritenere sussistente almeno sotto il profilo della perdita di chance. Col secondo motivo il ricorrente sostiene che sia stata erroneamente rigettata la sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale. 2. Ambedue i motivi sono inammissibili, e per più ragioni. In primo luogo, sono inammissibili perché lo stabilire se esista o non esista un danno, e se esso sia o non sia derivato da un fatto illecito o da un inadempimento contrattuale, costituiscono altrettanti apprezzamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità. 3. In secondo luogo, i due motivi sono entrambi inammissibili perché le censure mosse dal ricorrente alla sentenza d'appello in null'altro consistono se non in una mera declamazione di princìpi giuridici astratti, senza alcuna connessione col caso concreto. Essi, in particolare, non spiegano perché mai nel caso di specie sussisterebbero i presupposto di fatto, giustificativi dell'applicazione dei princìpi di diritto invocati dal ricorrente. Un ricorso per cassazione così concepito viola i princìpi ripetutamente affermati da questa Corte, a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 - 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017, secondo i quali il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito a quale sia stata la decisione di merito b quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito c quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa. Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può, di regola, rilevarne d'ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come si è già ripetutamente affermato da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019 Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018 Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018 Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036 . 3.1. Sarà opportuno aggiungere, con riferimento al primo motivo di ricorso, che invocare il risarcimento del danno da perdita di chance non può affatto costituire, come mostra di ritenere il ricorrente, un commodus discessus concesso a chi non sia stato in grado di dimostrare il nesso di causa tra il fatto illecito ed il danno. Come già ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, la perdita d'una chance favorevole esige pur sempre la dimostrazione del fatto a che una possibilità di incremento patrimoniale esisteva concretamente b che tra il fatto illecito e la perdita di quella possibilità esista un nesso causale certo ex multis, da ultimo, Sez. 3 -, Sentenza n. 5641 del 09/03/2018, Rv. 648461 - 02 . Nel caso di specie, per contro, la Corte d'appello ha ritenuto non solo che mancasse la prova tanto del primo, quanto del secondo dei suddetti elementi, ma che l'attore non avesse nemmeno specificamente dedotto in giudizio quali possibilità di incremento patrimoniale avesse mai perduto. Valutazione, quest'ultima, nemmeno censurata dal ricorrente. 3.2. Con riferimento, poi, al secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente lamenta il rigetto della sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, ai profili di inammissibilità sopra evidenziati deve aggiungersi che la perduta possibilità di disporre d'un telefono funzionante durante le feste natalizie non costituisce né una ipotesi di reato, né una lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti non ricorreva dunque, nella specie, alcuna delle ipotesi cui l'art. 2059 c.c., così come interpretato da questa Corte e della Corte costituzionale, subordina l'ammissibilità del risarcimento dei danni non patrimoniali. 4. Le spese. 4.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c. e sono liquidate nel dispositivo. 4.2. L'inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . P.Q.M. - dichiara inammissibile il ricorso - condanna Ig. Va. alla rifusione in favore di Telecom Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Ig. Va. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.