Responsabilità dell’avvocato per omissione e applicazione della regola del “più probabile che non”

In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non” si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità tra omissione ed evento dannoso, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa.

Ai giudizi iniziati prima dell’entrata in vigore della novella di cui alla l. numero 69/2019, che ha introdotto il termine semestrale per il ricorso in cassazione, anche se successivamente interrotti per declaratoria di competenza e riassunti successivamente all’entrata in vigore della detta norma, si applica il termine lungo annuale. Tale in sintesi il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione numero 1169, depositata il 21 gennaio 2020, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Fatti della controversia. Il giudizio all’esame della Corte trae origine dalla domanda di risarcimento danni effettuata da un cliente nei confronti del proprio ex avvocato. In particolare, egli addebita alla negligenza del legale la responsabilità della soccombenza nell’ambito di un giudizio dove era stato chiamato a rispondere dei danni prodotti al proprietario di un terreno confinante per la rottura nel corso di alcuni scavi per la posa di una conduttura del tubo con cui il detto terreno veniva irrigato, producendo danni al raccolto . Ciò che in particolare l’uomo addebita al proprio ex avvocato è il non essersi mai opposto ai numerosi rinvii richiesti dalla controparte per l’escussione dei propri testi, omettendo altresì di rilevare la decadenza dalla prova, sia per l’ingiustificata assenza dei testi, sia per l’omessa intimazione degli stessi. La domanda giudiziale in primo grado – dove in primis il giudice dichiara il proprio difetto di competenza territoriale e, riassunta la causa - è accolta, mentre è rigettata in secondo così, questi l’uomo ricorre al terzo grado, ma, come stiamo per vedere, anche qui resterà soccombente. Con l’unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 comma 1 nnumero 3 e 5 c.p.c., si contesta la violazione, nella sentenza impugnata, degli artt. 1176 comma 2, 2236, 1223 e 2909 c.c. e degli artt. 115 e 324 c.p.c., per avere ritenuto la condotta del professionista non determinante ai fini dell’esito del giudizio e per avere omesso l’esame di un fatto decisivo del giudizio, avendo la Corte del tutto ignorato e sostituito le risultanze del giudizio nel quale il legale prestò la propria opera, risultanze dotate di efficacia di giudicato interno ed esterno”, effettuando invece una propria valutazione, del tutto diversa da quella emergente dagli atti di causa. Rileva infatti il ricorrente che nel giudizio di responsabilità dell’avvocato, qualora si verta circa la responsabilità da condotta omissiva, ai fini della verifica del nesso causale il criterio da osservare è quello della probabilità che l’attività non compiuta avrebbe potuto produrre una decisione diversa, in luogo della certezza il rispetto di tale criterio avrebbe indotto la corte territoriale a riconoscere la responsabilità del legale che la prova testi sia stata decisiva lo confermerebbe il fatto che, dopo averla inizialmente esclusa, il giudice l’abbia poi ammessa, riaprendo appositamente l’istruttoria . Quanto al secondo aspetto, si contesta la rivisitazione del materiale istruttorio come accertato da una sentenza coperta dal giudicato, viepiù con una nuova, superficiale decisione di merito e una nuova qualificazione giuridica dei fatti non sorretto dagli atti di causa. Difendendosi, il legale eccepisce in primis l’improcedibilità del ricorso, perché proposto oltre i sei mesi dal deposito. Viene poi eccepita l’inammissibilità del ricorso, perché contenente una mescolanza di censure tra loro eterogenee, nonché l’infondatezza dello stesso, dal momento che la Corte territoriale, escludendo il nesso causale tra la condotta del legale e l’esito del giudizio, ha operato una valutazione di merito non sindacabile in grado di legittimità. Riassunzione del processo e applicazione ratio temporis del termine semestrale ex art. 327 c.p.c L’eccezione preliminare, sulla non tempestività del ricorso, è respinta con la motivazione che la norma da applicare al giudizio de quo è quella previgente, che ammetteva la proposizione nel termine di un anno dal deposito della decisione ed invero, non alla data della riassunzione, avvenuta nel luglio 2010, bisogna fare riferimento per individuare il momento dell’incardinazione del giudizio, e dunque la norma applicabile ratio temporis al giudizio, ma alla domanda su cui il giudice si è espresso negando la propria competenza territoriale, notificata il 3 agosto 2005. Ed invero, per quanto qui interessa, dispone l’art. 58, comma 1, l. numero 69/2009, che la novella - con cui si passò dal termine lungo annuale quello semestrale per l’impugnazione in Cassazione ex art. 327 c.p.c. - si applica ai giudizi iniziati dopo l’entrata in vigore della legge. Due gli argomenti considerati a tal fine dalla Corte il primo, rilevato dallo stesso ricorrente ed affermato dal provvedimento richiamato Cass. ord. 02.10.2005, che a sua volta richiama Cass. numero 2693/1977 è quello secondo cui, dal momento che in caso di riassunzione ex art. 50 c.p.c. il processo continua davanti al giudice competente, ai fini della litispendenza e della continenza, il tempo di inizio del processo è quello della notificazione dell'atto introduttivo davanti al primo giudice quello incompetente ”. Dunque, il momento dell’instaurazione del giudizio cui si riferisce l’art. 58 cit. va inteso come quello del suo radicamento innanzi al giudice non competente. Il secondo è quello dato dalla considerazione che il principio è stato già affermato con riferimento alla pronuncia del difetto di giurisdizione menziona Cass. numero 19501/2018 di cui il difetto di competenza, si dice, non è che un frammento”. Un unico motivo può contenere distinte doglianze, purché ne consenta l’esame, anche se separato. Viene poi rigettata l’eccezione, anche questa da considerare in via preliminare, sollevata circa l’inammissibilità del ricorso per mescolanza di censure eterogenee viene infatti ribadito il principio secondo cui l’articolazione in un unico motivo di più profili di doglianza non costituisce di per sé motivo di inammissibilità del ricorso ove la sua esposizione consenta di cogliere le doglianze al fine di esaminarle, se necessario separatamente sul punto è richiamata Cass. SS.UU. numero 9100/2015, e in senso analogo, anche se a contrario” Cass. numero 7009/2017 . Il giudice della responsabilità professionale dell’avvocato ha un autonomo apprezzamento delle circostanze. Passando all’esame della fondatezza del ricorso, i giudici respingono la contestazione della violazione di giudicato il giudice della responsabilità professionale dell’avvocato ha infatti un potere di autonomo apprezzamento delle circostanze del giudizio in cui il legale operò, dovendo verificare non solo se la condotta fu negligente, ma anche, in caso affermativo, se tale condotta negligente abbia causato un danno all’assistito. Infatti, si spiega come è stato già statuito si cita il precedente di Cass. numero 2638/2013 che la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi solo sulla base di un non corretto adempimento dell’attività, dovendosi anche verificare se l’evento produttivo del pregiudizio di cui si duole il cliente sia da attribuirsi a tale comportamento, se un danno effettivamente vi sia stato e infine se, in assenza di tale condotta negligente, il giudizio si sarebbe potuto concludere, secondo criteri probabilistici, diversamente ed in maniera favorevole alla parte. Peraltro, osserva la Corte, nel caso di specie neppure in astratto può dirsi compiuto tale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, omesso esame che sarebbe dato dal discostamento del giudicante rispetto ai giudici della causa in ordine alla decisività, per l’esito della controversia, della prova testimoniale la cui decadenza il legale non eccepì. Inammissibili le censure che contestano il mancato esame di più fatti, ma in realtà ne chiedono uno nuovo. Tale circostanza è stata sicuramente esaminata, dunque il ricorrente, al più, contesta non la mancanza, ma l’erroneità dell’esame del fatto assunto come decisivo come è stato già dalla Corte, devono dichiararsi inammissibili quelle censure con cui, pur lamentando un mancato esame o valutazione da parte della Corte d’appello di una serie di fatti e circostanze, in realtà si chiede una nuovo esame o valutazione , oppure qualificando come fatto decisivo, l’insieme dei fatti di causa richiama Cass. numero 21439/2015 . Applicazione del principio del più probabile che non” nel giudizio sulla responsabilità dell’avvocato. Quanto all’accertamento del nesso causale, la Corte osserva che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omissione di attività, la regola della preponderanza del più probabile che non” vada applicata non solo all’accertamento del nesso causale tra l’omissione ed il danno, ma anche al nesso tra il danno e le conseguenze dannose risarcibili trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa” tra le più recenti, si cita Cass. numero 25112/2017 . Tale principio non è stato violato dalla sentenza, la quale ha solo escluso - con valutazione di merito non sindacabile in questa sede - che la mancata escussione dei testi avrebbe prodotto il rigetto della domanda attorea, essendo già pacifica e non contestata la responsabilità del convenuto. Dunque, non è ravvisabile nella sentenza impugnata alcun error iuris, errore che secondo una recente sentenza Cass. numero 10320/2018 sarebbe stato censurabile in sede di legittimità quale vizio di sussunzione delle norme che regolano l’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva e il danno. Il cattivo apprezzamento delle prove non legali non è censurabile ex artt. 360 co.1, numero 4 e 5 c.p.c Nel caso di specie, si osserva infine, quello compiuto in sentenza è un apprezzamento fattuale delle risultanze istruttorie pertanto, trova applicazione quel principio già enunciato secondo cui l’eventuale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è censurabile in grado di legittimità, non essendo inquadrabile né nell’ipotesi ex art. 360, comma 1, numero 5, né nell’ipotesi ex art. 360, comma 1, numero 4 tra i precedenti menzionati dal provvedimento abbiamo Cass. numero 11892/2016, Cass. numero 23940/2017, Cass. numero 9356/2107 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 23 ottobre 2019 – 21 gennaio 2020, n. 1169 Presidente Travaglino – Relatore Guizzi Fatti di causa 1. M.C. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 790/17, del 3 maggio 2017, della Corte di Appello di Catania, che - accogliendo il gravame esperito da V.S. contro la sentenza n. 276/13, del 22 aprile 2013, del Tribunale di Ragusa - ha rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata dal M. e tesa a far valere la responsabilità professionale del V. , in relazione all’attività defensionale dallo stesso espletata in un giudizio risarcitorio nel quale l’odierno ricorrente aveva assunto le vesti di convenuto. 2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver instaurato, innanzi al Tribunale di Catania, con citazione notificata il 3 agosto 2005, una causa di responsabilità professionale a carico dell’avvocato V. . Assume, infatti, di essere stato precedentemente convenuto in giudizio da tale I.G. , il quale lamentava di aver subito danni al raccolto, in conseguenza del comportamento di esso M. , giacché il medesimo, durante dei lavori di scavo per la posa di una conduttura, avrebbe cagionato la rottura di una tubazione adducente acqua al fondo dello I. , avendogli impedito l’irrigazione del proprio terreno. Ciò detto, l’odierno ricorrente attribuiva la responsabilità dell’esito infausto di quel giudizio, consistito nella condanna al risarcimento dei danni, al negligente comportamento del proprio legale. Costui, infatti, per quanto qui ancora di interesse, nel corso di quattro anni e di ben ventitrè udienze, non si oppose mai agli innumerevoli e immotivati rinvii, richiesti dalla controparte, per l’escussione dei propri testi, omettendo, inoltre, di eccepire la decadenza dalla prova testimoniale, sia con riferimento alla ingiustificata assenza dei testimoni, sia al mancato assolvimento dell’onere di intimazione degli stessi. Radicato il giudizio di responsabilità professionale innanzi al Tribunale di Catania, il medesimo dichiarava il proprio difetto di competenza in favore di quello di Ragusa, innanzi al quale il giudizio era riassunto, con citazione notificata il 19 luglio 2010. Accolta dal primo giudice la domanda volta a conseguire la declaratoria di responsabilità del legale e la sua condanna al risarcimento dei danni, all’esito del gravame proposto dal V. , la Corte di Appello di Catania rigettava la domanda attorea. 3. Avverso la sentenza della Corte etnea ricorre per cassazione il M. , sulla base - come detto - di un unico motivo. 3.1. Il motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 , e deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, artt. 2236, 1223 e 2909 c.c., nonché degli artt. 115 e 324 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che il comportamento professionale del legale non sia stato determinante per l’esito negativo del giudizio in cui il medesimo aveva prestato. la propria attività, nonché per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo la Corte etnea totalmente ignorato e sostituito le risultanze oggetto del giudizio intercorso tra il M. e lo I. , aventi anche efficacia di giudicato interno ed esterno , con un proprio rinnovato convincimento, del tutto diverso e distinto da quello emergente dagli atti di causa. Rileva il ricorrente come nel giudizio di responsabilità a carico di un professionista, in particolare di quello esercente attività defensionale, ai fini della verifica del nesso causale tra condotta ed il danno lamentato, allorché si verta in ipotesi di responsabilità per condotta omissiva, al criterio della certezza degli effetti si debba sostituire quello della probabilità che l’attività omessa potesse condurre ad una decisione diversa rispetto a quella intervenuta, quantomeno sotto il profilo della perdita di chance costituita dall’esito favorevole della lite. L’applicazione di questo principio avrebbe dovuto portare la Corte etnea, come già fatto dal Tribunale ragusano, a ritenere che il comportamento omissivo dell’avvocato V. avesse effettivamente pregiudicato l’esito della causa risarcitoria in cui l’odierno ricorrente era stato convenuto. Difatti, che la prova testimoniale, della quale il legale aveva omesso di eccepire l’intervenuta decadenza, si fosse rivelata decisiva per l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta nei confronti di esso M. , risulterebbe confermato dal fatto che il giudice aveva inizialmente ritenuto di non darvi corso, salvo poi riaprire l’istruttoria a tale scopo. Inoltre, il ricorrente addebita alla Corte etnea di aver operato una rivisitazione del materiale istruttorio, così come accertato dalla sentenza resa all’esito del giudizio risarcitorio instaurato dallo I. , sentenza che aveva acquisito autorità di cosa giudicata. In questo modo, oltretutto, la sentenza impugnata avrebbe sostanzialmente celebrato un nuovo processo a carico di esso M. , mediante un procedimento di riesame oltremodo superficiale , all’esito del quale il giudice di appello avrebbe mutato la qualificazione giuridica dei fatti sulla base di un proprio e distinto convincimento, privo, però, di conforto negli atti di causa. 4. Ha proposto controricorso il V. , per resistere all’avversaria impugnazione. Viene eccepita, innanzitutto, l’improcedibilità del ricorso, in quanto proposto oltre il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c Difatti, la sentenza impugnata risulta depositata in data 2 maggio 2017, sicché, tenuto conto della sospensione feriale dei termini processuali dal 1 al 31 agosto ai sensi del vigente testo della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 , il ricorso, notificato il 4 giugno 2018, avrebbe dovuto, invece, esserlo entro il 4 dicembre 2017. Il termine semestrale di impugnazione sarebbe applicabile ratione temporis al presente giudizio, secondo quanto previsto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 1, essendo stata la sua fase di primo grado instaurata nel luglio 2010. Viene, inoltre, eccepita la inammissibilità del ricorso, sotto il profilo della non consentita mescolanza di censure fra loro eterogenee. In ogni caso, si assume l’infondatezza del ricorso, sul rilievo che la Corte etnea, con apprezzamento non sindacabile in questa sede, ha escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e l’esito infausto del giudizio in cui il medesimo ebbe a prestare la propria opera. 5. Il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando ai rilievi avversari. Ragioni della decisione 6. In limine , vanno esaminate - e disattese - le eccezioni preliminari di improcedibilità ed inammissibilità del ricorso. 6.1. Quanto alla prima eccezione, il ricorso deve ritenersi tempestivo, operando nella specie - ratione temporis - il termine annuale e non semestrale di impugnazione, ex art. 327 c.p.c È corretto, infatti, il rilievo del ricorrente che fa risalire alla citazione notificata il 3 agosto 2005 quantunque innanzi ad un giudice dichiaratosi, poi, territorialmente incompetente la data di instaurazione del giudizio di primo grado, e ciò ai fini della ultrattività del vecchio testo dell’art. 327 c.p.c., giusta il disposto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 1. Se è vero, infatti, che - come osserva il ricorrente - in caso di riassunzione ex art. 50 c.p.c., il processo continua davanti al giudice competente , sicché, ai fini della prevenzione nella continenza di cause, il tempo d’inizio del processo è quello della notifica dell’atto introduttivo davanti al primo giudice, seppur incompetente Cass. Sez. 6-2, ord. 2 ottobre 2015, Rv. 636557-01 , il momento della instaurazione del giudizio di primo grado - cui fa riferimento il suddetto L. n. 69 del 2018, art. 58, comma 1, - deve intendersi, parimenti, sempre quello del suo radicamento innanzi al giudice pur privo di competenza. Una conclusione, del resto, che si corrobora in base al rilievo che la perdurante operatività del termine annuale di impugnazione è stata riconosciuta anche in caso di transiatio iudicii , ovvero di pronuncia declinatoria, addirittura, della giurisdizione si veda, da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 23 luglio 2018, n. 19501, Rv. 650155-01 , della quale la competenza altro non è se non un frammento . 6.2. In ordine, invece, alla seconda eccezione, va qui ribadito il principio secondo cui il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati così Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01 in senso sostanzialmente analogo, sebbene a contrario , si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01 . 7. Il ricorso, tuttavia, va rigettato. 7.1. Non sussiste, innanzitutto, alcuna violazione di giudicato , atteso che il giudice della causa sulla responsabilità professionale dell’avvocato ha un potere di autonomo apprezzamento delle circostanze oggetto del giudizio in cui il legale ebbe a svolgere la propria attività, al fine di verificare non solo se il medesimo abbia diligentemente espletato il proprio incarico ma anche, in caso contrario, se esso sia stato produttivo di un danno per il suo assistito. Infatti, la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone Cass. Sez. 3, sent. 5 febbraio 2013, n. 2638, Rv. 625017-01 . 7.2. Nè, d’altra parte, può ritenersi integrato - per vero, neppure in astratto - il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio , costituito, a dire del ricorrente, nel discostamento che la Corte etnea ha recte avrebbe operato, rispetto ai giudici della controversia in cui l’Avv. V. ebbe a svolgere la propria attività professionale, in ordine alla rilevanza, o meglio alla decisività, per l’esito della controversia patrocinata dal legale, della prova testimoniale la cui intervenuta decadenza il legale omise di eccepire. Infatti, al netto di ogni altra considerazione, tale circostanza è stata sicuramente esaminata, sicché ciò di cui si duole il ricorrente è, al più, un suo errato apprezzamento, sicché - come già in passato affermato da questa Corte - deve ritenersi evidente l’inammissibilità di censure, come quelle attualmente prospettate dal ricorrente, che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte d’appello ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Corte di cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito, oppure chiamando fatto decisivo , indebitamente trascurato dalla Corte d’appello, il vario insieme dei materiali di causa così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 ottobre 2015, n. 21439, Rv. 637497-01 . 7.3. Residua, pertanto, la sola censura incentrata sulla violazione delle norme in tema di accertamento del nesso causale, che è, tuttavia, non fondata. 7.3.1. Sul punto, deve muoversi dal rilievo che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non , si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 24 ottobre 2017, n. 25112, Rv. 646451-01 . Tuttavia, siffatto principio non è stato disatteso dalla sentenza impugnata, la quale - con accertamento non sindacabile in questa, per le ragioni di cui meglio si dirà appena di seguito - ha semplicemente escluso che la mancata escussione dei testi avrebbe comportato il rigetto della domanda attorea e dunque l’esistenza del - nesso causale tra -omissione del legale ed esito infausto del giudizio , e ciò perché risultava, in causa, già pacifica la responsabilità della ditta del M. per la rottura della tubazione e la stessa conseguente circostanza che essa aveva comportato l’impossibilità di irrigazione del terreno dello I. , in quanto i testi si sono limitati a riferire dell’avvenuta rottura della tubazione ad opera della ditta M. , circostanza, oltretutto, non contestata con la comparsa di costituzione e peraltro non seriamente contestabile a fronte della natura dei lavori che in quel periodo il M. stava eseguendo in esecuzione di un contratto di appalto pubblico . Orbene, tale valutazione non risulta sindacabile in questa sede, giacché in relazione ad essa non è ravvisabile alcun error iuris commesso dalla Corte territoriale, ciò che avrebbe potuto consentire l’applicazione del principio, di recente enunciato da questa Corte, secondo cui, nelle cause di responsabilità professionale nei confronti di un avvocato, la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dello stesso in presenza di condotte omissive del professionista, allorché si traduca nella violazione o falsa applicazione di norme di diritto, è censurabile in sede di legittimità sub specie di vizio di sussunzione delle norme che governano l’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del professionista e l’evento di danno lamentato dal cliente così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10320, Rv. 648593-01 . Nel caso di specie, per contro, quello compiuto dalla sentenza impugnata è un apprezzamento - puramente fattuale - delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio a quo , sicché trova applicazione il principio secondo cui l’eventuale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondarlo, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio , nè in quello del precedente n. 4 , disposizione che - per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 , - dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01 in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940 Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01 Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458 . 8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. 9. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condannando M.C. a rifondere a V.S. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma-1-bis dello stesso art. 13.