Pavimentazione pedonale in porfido con irregolarità naturali: caduta non addebitabile al Comune

Respinta la richiesta risarcitoria presentata da una donna. Decisiva la constatazione che l’irregolarità della pavimentazione in porfido è naturale e, quindi, prevedibile. Peraltro, l’incidente si è verificato con piena visibilità diurna. Evidenti le colpe della donna, che non ha prestato adeguata attenzione alla propria passeggiata in centro.

La naturale irregolarità della pavimentazione pedonale – in porfido – della strada cittadina rende la caduta subita da una donna in pieno giorno non addebitabile al Comune. Irrilevante il fatto che la malcapitata vittima del capitombolo risieda in un’altra città Cassazione, ordinanza n. 33724/19, sez. VI Civile - 3, depositata il 18 dicembre . Pavimentazione. Il fattaccio si verifica in una via del centro di Como. A tradire una donna, facendola finire a terra, è l’irregolare pavimentazione in porfido. Una volta ripresasi dalla disavventura, la donna cita in giudizio il Comune, ritenendolo responsabile per il capitombolo subito e chiedendo, di conseguenza, un adeguato risarcimento. La richiesta viene però ritenuta illegittima dai Giudici di merito, che sia in primo che in secondo grado ritengono evidenti le colpe della donna. In particolare, viene evidenziata la naturale irregolarità del porfido che costituiva il manto pedonale e viene anche richiamato il fatto che la caduta è avvenuta in pieno giorno , e questi dati di fatto spingono i giudici ad affermare che l’uso del bene comunale fatto dalla donna è stato caratterizzato dalla assoluta mancanza della normale ed esigibile diligenza . Tirando le somme, per i giudici di merito la caduta è colpa della vittima, e non certo del Comune, pur a fronte delle condizioni irregolari della pavimentazione pedonale. Prevedibilità. Identica linea di pensiero viene seguita ora dalla Cassazione, che difatti respinge in modo definitivo l’ipotesi che il Comune debba versare un risarcimento alla donna. Corretta la visione tracciata in Appello, visione centrata su un dato fondamentale per i Giudici del ‘Palazzaccio’, cioè la prevedibilità della irregolarità della pavimentazione in porfido . A rendere ancora più evidente la situazione della strada percorsa dalla donna, poi, il fatto che la camminata fatale si sia realizzata con piena visibilità diurna . Irrilevante, invece, il fatto che la donna abbia spiegato di avere la residenza in un’altra città e quindi di non vivere a Como.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 25 settembre – 18 dicembre 2019, n. 33724 Presidente Frasca – Relatore Porreca Considerato che F.C. conveniva in giudizio il Comune di Como deducendo di aver subito danni alla persona, di cui chiedeva il ristoro, cadendo a causa del dissesto della strada del centro cittadino da lei percorsa e di proprietà del Comune evocato in lite il Tribunale, davanti al quale si difendeva l’ente locale, rigettava la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui non era stata raggiunta la prova che l’incidente si fosse verificato nel preciso luogo d’incidenza delle condizioni della pavimentazione e, comunque, poiché, stante la naturale irregolarità del porfido che costituiva il manto pedonale, e dato che la caduta era occorsa in pieno giorno, l’uso del bene comunale fatto dalla danneggiata senza la normale ed esigibile diligenza, aveva interrotto il nesso causale avverso questa decisione ricorre per cassazione F.C. articolando quattro motivi e depositando memoria resiste con controricorso il Comune di Como. Rilevato che con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 1227 e 2043 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare la natura oggettiva della responsabilità discendente dal rapporto di custodia sussistente tra l’ente locale e la strada, e non esclusa dalla mera disattenzione della vittima della cui condotta non era stata accertata la natura anomala o imprevedibile con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 2, 14, C.d.S., perché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la responsabilità del Comune discendeva dall’obbligo di tenere in efficienza le strade di proprietà, laddove era risultato l’enorme dissesto di quella che aveva costituito luogo del sinistro con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2043 e 2697 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato finendo per addossare alla deducente l’onere di provare la presenza di un’insidia in deroga ai principi di responsabilità oggettiva custodiale che richiedevano, a carico del soggetto danneggiato, la sola dimostrazione dell’ordinario nesso causale con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe mancato di esporre se non in modo apparente il ragionamento decisorio seguito, in particolare ritenendo sussistente il fortuito senza tener conto delle allegazioni attoree e delle risultanze istruttorie che avevano addotto e fatto emergere una situazione di pericolo occulto Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. Rilevato che i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili anche ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione anche officiosa -dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro Cass., 01/02/2018, n. 2480 in questa generale cornice ricostruttiva, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo, fino a concretizzare la soluzione del nesso in parola Cass., 03/04/2019, n. 9315, in fattispecie analoga nel caso, la Corte territoriale ha fatto buon governo di questi consolidati principi perché ha accertato, dandone conto nella motivazione tutt’altro che apparente, l’interruzione del nesso causale in ragione, dirimente, dell’utile prevedibilità dell’irregolarità della pavimentazione in porfido, in particolare in una camminata effettuata con piena visibilità diurna, affatto esclusa dalla residenza in altra città della danneggiata che, peraltro, deduce la circostanza in questa sede senza dimostrare idoneamente, come sarebbe stato necessario, di averne fatto allegazione nelle fasi di merito questa verifica fattuale -tale confermata anche dai riferimenti alle risultanze istruttorie evocate nella memoria di parte ricorrente non è qui sindacabile se non sotto il profilo motivazionale, non specificatamente dedotto e comunque inammissibile ex art. 348 bis c.p.c., comma 5 a quanto sopra osservato deve aggiungersi che, al contempo, le censure in scrutinio neppure intaccano la contestuale ratio decidendi della Corte territoriale secondo cui correttamente il Tribunale aveva ritenuto non raggiunta la prova che il sinistro si fosse verificato esattamente nel luogo d’incidenza, il che impedisce a dette censure di svolgere la funzione di idonea critica alla sentenza impugnata spese secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali del controricorrente liquidate in Euro 2.300,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali. Spese distratte in favore dell’avvocato G.M Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.