Investimento fatale: come si ripartisce la responsabilità tra conducente e pedone?

In caso di investimento di un pedone, la responsabilità del conducente è esclusa laddove sia dimostrato che egli non poteva in alcun modo evitare il sinistro, avendo il pedone tenuto una condotta imprevedibile ed abnormale.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31714/19, depositata il 4 dicembre. Il caso. Il Tribunale di Frosinone veniva adito per la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli eredi di una donna deceduta a causa dell’investimento subito mentre era intenta ad attraversare la strada. La domanda veniva accolta con condanna dei convenuti, i conducenti dell’atro veicolo coinvolto e la compagnia assicurativa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, al risarcimento del danno per la misura del 30%, considerando la defunta vittima responsabile del 70% per il sinistro. La decisione veniva riformulata dalla Corte d’Appello che sanciva l’esclusiva responsabilità della vittima nella determinazione del sinistro. Gli eredi hanno dunque proposto ricorso per cassazione. Responsabilità. Determinante risulta la censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c. in tema di presunzione di responsabilità per il sinistro stradale. La Corte ricorda infatti che secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, l’accertamento del comportamento colposo del pedone investito non è sufficiente di per sé ai fini dell’affermazione della sua esclusiva responsabilità. Deve infatti sottolinearsi la necessità che l’investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2054, comma 1, c.c., dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e tenendo conto che non rileva in tal senso l’anomalia comportamentale del pedone. L’investitore deve infatti dimostrare che tale comportamento non fosse ragionevolmente prevedibile, oltre al fatto di aver adottato tutte le cautele possibili anche in termini di adeguamento della velocità di guida cfr. Cass. Civ. n. 5399/13 e n. 8663/17 . Non avendo la Corte d’Appello correttamente applicato tali principi, la sentenza viene cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 11 luglio – 4 dicembre 2019, n. 31714 Presidente Frasca – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. C.N. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Frosinone, M.S. e M.P. e l’INA Assitalia s.p.a., quest’ultima in qualità di impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni subiti nell’incidente stradale nel quale la propria congiunta T.A. era stata investita dal motociclo, sprovvisto di copertura assicurativa, condotto da M.S. e di proprietà di M.P. , morendo poche ore dopo. Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni patiti nell’incidente dal conducente del motociclo. Il Tribunale accertò che la responsabilità del sinistro era da ricondurre per il 70 per cento alla defunta vittima e per il 30 per cento a M.S. condannò quindi i convenuti al pagamento della somma complessiva di Euro 445.000 per tutti i danneggiati e condannò gli attori al pagamento, in favore di M.S. , della somma di Euro 54.130,16, con compensazione delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata impugnata in via principale da Stefano e M.P. e dalla società di assicurazione, e in via incidentale dai familiari della vittima la Corte d’appello di Roma, con sentenza dell’8 gennaio 2018, ha accolto l’appello principale e, in riforma dell’impugnata sentenza, ha accertato la responsabilità esclusiva di T.A. nella determinazione del sinistro, condannando gli appellanti incidentali al pagamento, in favore di M.S. , della somma complessiva di Euro 101.867, 08, oltre interessi e con il carico delle spese di entrambi i gradi di giudizio. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorrono C.N. , C.M. , C.A. , A.A. e A.M. , I.M. , A.G. e A.F. , S.L. , T.M.P. , T.A.A. e T.U. con unico atto affidato a due motivi. Resistono M.S. e M.P. con un unico controricorso. La Generali Italia s.p.a. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostengono i ricorrenti che la sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto, risultante dallo schizzo planimetrico redatto dai Carabinieri, che la vittima dopo l’investimento era stata trascinata per circa 9,50 metri, il che sarebbe incompatibile con la velocità moderata cui la Corte d’appello ha fatto riferimento così come la sentenza non avrebbe considerato che il punto dell’impatto si trovava all’imbocco della curva, per cui il pedone doveva essere visibile ad una persona che avesse tenuto un’attenta condotta di guida. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1. Rilevano i ricorrenti che la disposizione invocata esige, per il superamento della presunzione di responsabilità ivi regolata, che il conducente dimostri di aver compiuto tutto quanto necessario per evitare il sinistro. Tale dimostrazione non sarebbe stata data dal M. , nè la sentenza consentirebbe di comprendere per quale ragione egli sia stato ritenuto esente da ogni responsabilità. 3. Ragioni di economia processuale consigliano di esaminare il ricorso cominciando dal secondo motivo, il quale è fondato. 3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha recentemente affermato che l’accertamento del comportamento colposo del pedone investito da un veicolo non è sufficiente per l’affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l’investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall’art. 2054 c.c., comma 1, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e tenendo conto che, a tal fine, neanche rileva l’anomalia della condotta del primo, ma occorre la prova che la stessa non fosse ragionevolmente prevedibile e che il conducente avesse adottato tutte le cautele esigibili in relazione alle circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo della velocità di guida mantenuta v., tra le altre, le sentenze 5 marzo 2013, n. 5399, e 4 aprile 2017, n. 8663 . Tale pronuncia è in linea con altri precedenti di questa Corte, nei quali si è detto che in caso di investimento di un pedone, la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo, alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile ed anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti ordinanza 22 febbraio 2017, n. 4551 . Risulta da tale orientamento che non è sufficiente la dimostrazione dell’imprevedibilità del comportamento del pedone, dovendo comunque il conducente investitore superare l’invocata presunzione, con dimostrazione di aver fatto tutto quanto possibile per evitare il danno. 3.2. Nella specie, la Corte d’appello non ha fatto integralmente buon governo di tali principi. La sentenza, infatti, dopo aver indicato qual era lo stato dei luoghi, ha ritenuto imprevedibile non solo l’avvistamento del pedone in tempo utile per l’adozione di una manovra di emergenza , ma anche la stessa presenza del pedone in quel contesto strada stretta, margine angusto, assenza di marciapiede o banchina sul lato destro, presenza di un costone roccioso . Manca, però, ogni accertamento positivo in ordine all’effettiva piena correttezza del comportamento del conducente investitore, soprattutto per quanto riguarda la prova, da parte sua, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Ed infatti, a parte la perplessità manifestata dalla Corte di merito in ordine alla velocità tenuta dal motociclista la sentenza osserva che non sono emersi elementi idonei ad opinare l’eccessiva velocità del ciclomotore , la situazione dei luoghi poteva anche esigere, in astratto, una velocità ben inferiore ai limiti imposti nè la sentenza afferma alcunché in ordine alla circostanza del trascinamento della vittima che, di per sé, potrebbe essere indice di una velocità non consona allo stato dei luoghi . Non si possono trascurare, inoltre, altri due elementi da un lato, il fatto che l’incidente è avvenuto in una strada urbana, nella quale necessariamente è doveroso ipotizzare la possibile presenza di pedoni dall’altro, che il conducente di un mezzo, sia esso motociclo o motoveicolo, è tenuto comunque a mantenere una velocità che gli consenta, anche in rapporto all’illuminazione esistente, di arrestare il mezzo in un tempo utile ad evitare un incidente la circostanza del trascinamento della vittima dopo l’urto dovrà quindi essere valutata dal giudice di rinvio anche alla luce di questa previsione. 4. Il secondo motivo di ricorso, pertanto, è accolto, con assorbimento del primo, e la sentenza impugnata è cassata. Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, la quale provvederà ad un nuovo esame del merito alla luce dei criteri indicati nella presente pronuncia. Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.