Incidente causato da una buca appositamente segnalata: il Comune non deve risarcire

Se il danneggiato conosce la situazione del luogo in cui è avvenuto il sinistro e la condizione di dissesto della strada si ritiene ampiamente visibile , essendovi sul posto apposita segnaletica stradale, nessuna condanna ex art. 2051 c.c. è prevista per il Comune.

Lo ricorda l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26244/19, depositata il 16 ottobre. La vicenda. Un conducente alla guida del suo motociclo a 3 ruote conveniva in giudizio un Comune dinanzi al Tribunale per chiedere la sua condanna al risarcimento dei danni subiti in un incidente dovuto alla presenza di una buca non visibile secondo la tesi difensiva sul manto stradale. La Corte d’Appello, adita in secondo grado, rigettava la domanda del conducente, il quale ricorre in Cassazione, denunciando violazione dell’art. 2051 c.c. per aver la Corte territoriale non rispettato le regole sulla responsabilità da custodia, respingendo la domanda risarcitoria in assenza della prova del caso fortuito. Quando non sussiste la responsabilità da cosa in custodia. Al riguardo, i Giudici di legittimità ricordano che, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c Dunque, quanto più la situazione di possibile danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente dello stesso nella dinamica causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra il fatto e l’evento dannoso, quando sia da escludere che il comportamento costituisca un’evenienza ragionevole secondo il criterio probabilistico di regolarità causale. Ebbene, nel caso in esame, i giudici del merito hanno giustamente accertato che il danneggiato conosceva la situazione del luogo e che la condizione di dissesto della strada doveva ritenersi ampiamente visibile , essendovi sul posto apposita segnaletica stradale. L’incidente, quindi, era da ricondursi alla sola responsabilità del danneggiato, che aveva percorso la strada senza la dovuta diligenza. Il ricorso del conducente del ciclomotore deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 16 maggio – 16 ottobre 2019, n. 26244 Presidente Frasca – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. R.P. convenne in giudizio il Comune di San Lupo, davanti al Tribunale di Benevento, Sezione distaccata di Guardia Sanframondi, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui subiti in un incidente dovuto alla presenza sul manto stradale di una buca non visibile, a causa della quale egli, alla guida del suo motociclo a tre ruote, era rovinato in una scarpata riportando dei danni. Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Espletata prova per testi ed una c.t.u., il Tribunale rigettò la domanda. 2. La pronuncia è stata appellata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 1 giugno 2017, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre R.P. con atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di San Lupo con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e n. 5 , violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 1227 e 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per omesso esame di fatti decisivi, per avere la Corte di merito violato le regole sulla responsabilità da custodia, respingendo la domanda risarcitoria in assenza della prova del caso fortuito. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 , violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 , sostenendo che la sentenza sarebbe nulla perché priva di motivazione, caratterizzata da argomentazioni del tutto apodittiche. 3. I due motivi, benché tra loro diversi, devono essere trattati congiuntamente, in quanto il ragionamento che li sostiene è unitario. 3.1. In relazione al primo motivo deve essere compiuto un rilievo preliminare. Come lo stesso ricorrente osserva, l’atto di appello proposto contro la sentenza di primo grado v. ricorso a p. 6 non aveva ad oggetto una questione di inquadramento giuridico della fattispecie, posto che l’appellante aveva lamentato soltanto l’erronea valutazione delle istanze istruttorie . Tanto equivale a dire che la censura in diritto che il ricorrente oggi propone è esorbitante rispetto alla devoluzione svolta con l’atto di appello tanto più che il Tribunale, come emerge dal testo della sentenza impugnata, aveva già inquadrato la fattispecie nei termini che il ricorrente censura. 3.2. Tanto premesso, il primo motivo è comunque infondato. Questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le recenti ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. È stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l’espressione fatto colposo che compare nell’art. 1227 c.c. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza. Nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi. La sentenza, con un accertamento in fatto non suscettibile di riesame in questa sede, ha accertato che il danneggiato conosceva la situazione dei luoghi e che la condizione di dissesto della strada era da ritenere ampiamente visibile , anche perché vi era sul posto apposita segnaletica stradale. La testimonianza resa dal teste M. , vigile urbano, è stata dalla Corte di merito posta a confronto con quella del teste R.G. e ritenuta più credibile, posto che il R. , oltre ad essere figlio dell’appellante, aveva reso una deposizione caratterizzata da contraddittorietà circa la presenza e la visibilità della segnaletica. Ne consegue che la Corte napoletana, anche se con una motivazione certamente stringata, ha implicitamente affermato che l’incidente era da ricondurre a responsabilità esclusiva del danneggiato, il quale aveva percorso la strada teatro del sinistro senza la dovuta diligenza v. pure il richiamo alla motivazione resa in primo grado dal Tribunale . 3.3. Il secondo motivo è infondato. Proprio alla luce della ricostruzione dei fatti compiuta dalla sentenza in esame, emerge che il censurato vizio di motivazione, che si tradurrebbe, secondo il ricorrente, in motivazione del tutto apparente, non sussiste. La Corte di merito, infatti, ha ricostruito la dinamica dei fatti ed ha posto a confronto e valutato la diversa credibilità dei testimoni, per cui la doglianza - che peraltro mostra di non considerare i passaggi logici ed argomentativi della sentenza impugnata - si risolve nel tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito. 4. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.