Rapporti tra giudizio civile e penale: quando è necessaria la sospensione del processo?

La Corte di Cassazione chiarisce in quali ipotesi è necessario rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale.

Questo il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 18918/19, depositata il 15 luglio. Il fatto. Il Tribunale di Frosinone disponeva la sospensione del procedimento civile vertente sull’azione di risarcimento dei danni promossa da un istituto bancario verso l’allora Presidente del c.d.a., poiché risultava già pendente un procedimento penale a suo carico per gli stessi fatti ovvero svolgimento di illecita attività finanziaria nei confronti del pubblico . Contro tale pronuncia, la Banca propone ricorso per cassazione, lamentando la mancata sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 295 c.p.c. per la sospensione. Il rapporto tra giudizio penale e giudizio civile. La Suprema Corte dichiara il ricorso fondato, osservando come in tema di rapporti tra giudizio civile e penale, l’art. 652 c.p.p. si ispira al principio della separatezza dei due giudizi, tenendo conto della regola generale per cui il giudizio civile di danno può sospendersi solo quando l’azione civile ex art. 75 c.p.p. venga proposta a seguito della costituzione di parte civile in sede penale ovvero dopo la sentenza di primo grado, poiché solo in questi casi si verifica un’interferenza del giudicato penale nel giudizio civile di danno. Ciò posto, gli Ermellini rilevano che sussiste un’area residua di rilevanza della pregiudizialità penale, consistente nelle ipotesi in cui alla commissione del fatto criminoso una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, sempre che la sentenza che sta per essere pronunciata nel processo penale possa esplicare in concreto efficacia di giudicato in quello civile. Dunque, al fine di rendere dipendente la pronuncia civile dalla definizione del processo penale occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale . Ora, nel caso concreto l’accertamento penale della responsabilità in capo all’ex Presidente non rappresenta un presupposto necessario affinché la Banca possa promuovere verso di lui l’azione generale di risarcimento dei danni, trattandosi non di un rapporto di pregiudizialità necessaria, bensì di una semplice comunanza di fatti tra i due giudizi. Per questo motivo, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimette le parti dinanzi al Tribunale per la prosecuzione del processo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 21 marzo – 15 luglio 2019, n. 18918 Presidente Frasca – Relatore Rubino Fatto e diritto La Corte, - esaminato il ricorso per regolamento di competenza proposto da Credito Cooperativo - Cassa Rurale ed Artigiana di Paliano soc. coop. nei confronti di S.M. , avverso l’ordinanza in data 7 marzo 2018 con la quale il Tribunale di Frosinone ha disposto la sospensione del procedimento civile avente ad oggetto l’azione di risarcimento danni promossa dalla Cassa verso lo S. , per l’attività finanziaria da questi illegittimamente svolta nei confronti del pubblico, quando rivestiva la carica apicale di presidente del c.d.a della Banca, pendendo procedimento penale per i fatti per cui è causa - rilevato che la ricorrente segnala che nel caso di specie non sussisterebbero i presupposti per la sospensione ex art. 295 c.p.c., avendo avuto la banca l’opportunità di costituirsi parte civile nel procedimento penale ed avendo liberamente scelto di non costituirsi ivi, e mancando ogni pregiudizialità della decisione da prendersi in sede penale rispetto al giudizio civile. Vista - la relazione del Procuratore Generale che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per regolamento di competenza ritenuto che il ricorso appare fondato, sulla base delle condivisibili osservazioni del Procuratore generale in base all’attuale formulazione degli artt. 75 e 652 c.p.p. il rapporto tra giudizio penale e giudizio civile è improntato ai principi di autonomia e separazione. In materia di rapporti tra giudizio civile e penale, l’art. 652 c.p.p., innovando rispetto alla disciplina di cui al previgente sistema, fondato sulla prevalenza del processo penale su quello civile, si ispira al principio della separatezza dei due giudizi, prevedendo come regola generale che il giudizio civile di danno debba essere sospeso soltanto allorché l’azione civile, ex art. 75 c.p.p., sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza penale di primo grado, in quanto esclusivamente in tali casi si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile di danno, che pertanto non può pervenire anticipatamente ad un esito potenzialmente difforme da quello penale in ordine alla sussistenza di uno o più dei comuni presupposti di fatto Cass. n. 15470 del 2018 . Esiste peraltro una residua area di rilevanza della pregiudizialità penale, che conduce alla necessità di sospendere il giudizio civile finché quello penale non sia definitivamente terminato, in base a quanto dispongono l’art. 295 c.p.c., l’art. 654 c.p.p. e l’art. 211 disp. att. c.p.p., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto di giudizio nel processo civile, e sempre a condizione che la sentenza che sia per essere pronunciata nel processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di giudicato nel processo civile. Pertanto, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale in questo senso, Cass. n. 27787 del 2005 Cass. n. 15641 del 2009 Cass. n. 25822 del 2010 Cass. n. 6834 del 2017 . Nel caso di specie però l’accertamento in sede penale di una eventuale responsabilità in capo allo S. , per aver svolto una illecità attività finanziaria in proprio, parallela a quella istituzionale, avvalendosi proprio del suo ruolo istituzionale, e causando così all’istituto di credito un danno all’immagine non costituisce presupposto necessario perché la banca possa promuovere nei suoi confronti l’azione generale di risarcimento dei danni, per il pregiudizio che le ha provocato nella sua scorretta gestione deli capitali affidatigli dai clienti della banca, trattandosi non di un rapporto di pregiudizialità necessaria, ma di una semplice comunanza di fatti tra i due giudizi. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, revoca la sospensione del giudizio e rimette le parti dinanzi al Tribunale di Frosinone per la prosecuzione del giudizio.