Deve essere risarcito il danno da illegittimo spossessamento della casa coniugale

L’ex coniuge, illegittimamente privato dall’ex moglie del possesso dell’immobile precedentemente destinato a casa coniugale, ha diritto al risarcimento del danno extracontrattuale poiché subisce un concreto pregiudizio di carattere patrimoniale.

Così ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31353/18, depositata il 4 dicembre. Il possesso della casa coniugale. L’ex coniuge che viene privato del possesso della casa coniugale, può chiedere il risarcimento dei danni? Ovvero, si può configurare un’ipotesi di illegittimo spossessamento? Sono le questioni emergenti dalla controversia tra due, oramai, ex coniugi. La Corte d’Appello riformando la sentenza di primo grado, condannava l’ex moglie a risarcire l’ex marito del danno subito dall’illegittimo spossessamento, liquidandolo nella metà del valore locativo dell’immobile. Illegittimo spossessamento. Con riferimento al motivo di ricorso proposto dall’ex moglie e relativo al risarcimento del danno extracontrattuale, gli Ermellini ricordano che in tema di possesso ove sia accertato, con sentenza passata in giudicato, l’illecito consistente nell’illegittima privazione del possesso, tale limitazione si traduce in un concreto pregiudizio di carattere patrimoniale, perdurante fino al ripristino dello status quo ante” . Inoltre, la S.C. ribadisce che a fronte dell’obiettiva difficoltà di determinazione del quantum volto a risarcire il pregiudizio sofferto, il giudice deve far ricorso ad una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi menzionati, facendo discendere la prova dell’esistenza del danno dallo spossessamento della casa coniugale da parte dell’ex moglie, dalla conseguente indisponibilità e non fruibilità dello stesso immobile dell’ex marito pertanto il ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2 , ordinanza 21 marzo – 4 dicembre 2018, n. 31353 Presidente D’Ascola – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione Premesso che con sentenza n. 86/2006 L.C. veniva condannata a reintegrare l’ex marito, G.A. , nel possesso dell’immobile precedentemente destinato quale casa coniugale, nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, adito per la determinazione dei danni, con sentenza n. 88 del 2012, rigettava la domanda di risarcimento danni proposta dallo stesso G. . A seguito di appello proposto dal G. , con sentenza n. 344 del 2016, la Corte di appello di Messina, riformando la sentenza di primo grado, condannava la L. a risarcire l’appellante del danno subito dall’illegittimo spossessamento, liquidandolo nella metà del valore locativo dell’immobile. Avverso la sentenza della Corte di appello di Messina, la L. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo. G.A. resiste con controricorso. Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Atteso che con l’unico motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e 2729 c.c., in materia di risarcimento del danno extracontrattuale. Ad avviso di parte ricorrente, la sentenza della Corte d’appello sarebbe viziata nella parte in cui avrebbe riconosciuto, a favore del G. , l’esistenza del danno derivante dall’illegittimo spossessamento, da parte della L. , dall’immobile precedentemente destinato a casa coniugale, senza che vi fosse stata la prova del danno subito. La censura non può trovare ingresso. Premesso che la sentenza di condanna generica al risarcimento del danno non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la reale esistenza del danno risarcibile Cass. n. 9043 del 2012 , in tema di tutela di possesso ove sia accertato, con sentenza passata in giudicato, l’illecito consistente nell’illegittima privazione del possesso, tale limitazione si traduce in un concreto pregiudizio di carattere patrimoniale, perdurante fino al ripristino dello status quo ante . Ne consegue che il giudice, a fronte dell’obiettiva difficoltà di determinazione del quantum , deve fare ricorso ad una valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., adottando eventualmente, quale adeguato parametro di quantificazione, quello correlato ad una percentuale del valore reddituale dell’immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente esclusa. Nella specie, la Corte di merito ha fatto buon governo dei principi suesposti, facendo discendere la prova dell’esistenza del danno dallo spossessamento del suddetto immobile da parte della L. , dalla conseguente indisponibilità e non fruibilità dello stesso da parte del G. , che ne aveva provato un assiduo utilizzo anche per ragioni di lavoro, nonché dalla prova, tramite testimoni, dell’avvenuta locazione da parte della L. della parte di abitazione del cui possesso aveva spogliato il G. , nonché dall’idoneità dell’immobile all’uso abitativo e dalla sua posizione geografica ha poi quantificato il danno sulla base del valore locativo dell’immobile. In definitiva, si deve ritenere che la Corte abbia chiaramente indicato quali erano gli elementi di prova che accertavano il danno subito dal G. dall’illegittimo spossessamento dell’immobile. In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.