La violazione del diritto di autodeterminazione quale danno risarcibile

Costituisce danno-conseguenza autonomamente risarcibile la lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione cagionata dalla violazione, da parte del medico, dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente, anche nel caso di interventi sanitari correttamente eseguiti.

È quanto ha pronunciato la Seconda Sezione Civile del Tribunale di Napoli con sentenza n. 8156/18 depositata il 24 settembre. Il caso. La signora G. conviene in giudizio il Dott. Prof. S.N. e le strutture sanitarie in cui il primo ha operato, al fine di ottenere la declaratoria di responsabilità contrattuale o aquiliana dei medesimi con riferimento a diversi interventi chirurgici, attese le lesioni subite, con conseguente restituzione degli importi erogati per le prestazioni ricevute e il risarcimento dei danni patiti. In particolare, l’attrice si sottoponeva ad un intervento di mastoplastica additiva nel maggio del 1988 nel febbraio del 1989, a seguito di inconvenienti all’apparto protesico mammario, l’attrice subiva un intervento di sostituzione della protesi nel giugno del 1992, essendo insorte complicanze, si assisteva nuovamente ad altro intervento di sostituzione della protesi nel settembre del 1999 l’attrice, accusando ancora problematiche sia estetiche che di salute, si sottoponeva ad un intervento di sostituzione protesica e mastopessi bilaterale infine nell’aprile 1999, l’istante subiva un intervento di asportazione delle protesi mammarie. Il Tribunale di Napoli, risolte talune questioni preliminari sollevate dal convenuto S.N., accoglie la domanda attorea limitatamente alla lesione del diritto alla autodeterminazione che risulta essere stato leso dall’omessa informazione circa le eventuali complicazioni che sarebbero derivate dall’intervento chirurgico. Il valore del decreto di archiviazione nel processo civile. La prima questione preliminare che il Tribunale di Napoli risolve attiene all’eccezione sollevata dal convenuto S.N. circa l’inammissibilità ovvero l’improcedibilità della domanda attorea per l’intervenuto giudicato penale. A ben vedere, si tratta di un decreto di archiviazione emesso dal GIP del Tribunale di Roma in data 02/05/2006. Diversamente dalla sentenza, il provvedimento di archiviazione si caratterizza per l’assenza del processo, o meglio della fase dibattimentale, e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ad esso possono collegarsi gli effetti proprio della cosa giudicata. È orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello in guisa del quale la sentenza istruttoria di proscioglimento e il decreto di archiviazione adottati in sede penale non rivestono autorità di cosa giudicata nel giudizio civile promosso per le restituzioni ed il risarcimento del danno da reato, trattandosi di provvedimenti per i quali non si è verificata la condizione della pronuncia a seguito di dibattimento e che, perciò, non possono considerarsi irrevocabili ex multis Cass. civ. n. 16768/2006 nello stesso senso . In altri termini, qualora in ordine al fatto generatore del danno sia intervenuto in sede penale un decreto di archiviazione, non sussiste in sede civile alcuna preclusione all’accertamento della responsabilità del soggetto convenuto. Il termine di decorrenza della prescrizione previsto dall’art. 2935 c.c Altra importante questione preliminare affrontata concerne l’intervenuta prescrizione dei diritti azionati in giudizio dall’attrice a tal proposito bisogna comprendere quale sia il dies a quo , tenuto conto che la prima lettera di messa in mora inoltrata dall’attrice risale al 15.12.1998 e che si tratta di un inadempimento contrattuale con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione. L’art. 2935 c.c. sancisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, collegando la decorrenza del termine di prescrizione alla possibilità di far valere il diritto, rimanendo irrilevante l’eventuale impedimento di mero fatto, nonché gli impedimenti soggettivi derivanti dalla percettibilità ovvero conoscibilità del pericolo. Ebbene, in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso in cui l’azione illecita si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno fintanto che il danno non si manifesta, il termine di prescrizione non inizia a decorrere, pertanto, nel caso di specie, il dies a quo di decorrenza della prescrizione deve coincidere con il momento in cui il danno si è prodotto nella sfera giuridica dell’attrice pur avendo quest’ultima dichiarato di aver avvertito nel breve termine dei disturbi va altresì valutato che, a fronte delle rassicurazioni effettuate dal convenuto dott. S.N., la possibilità che vi erano state delle complicanze operatorie può reputarsi insorta quando la stessa attrice, su indicazione del sanitario, si sottopose al secondo intervento nel febbraio del 1989, con conseguente valore pienamente interruttivo della prescrizione attribuibile alla lettera di messa in mora. La prevedibilità dell’esito infausto di un intervento chirurgico correttamente eseguito. La questione di merito affrontata attiene alla colpa medica addebitabile al sanitario e al conseguente risarcimento del danno. Quando nel corso dell’esecuzione di un intervento o durante la fase successiva si verifica un aggravamento delle condizioni del paziente, due sono le possibili soluzioni o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, oppure tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile, ed in tal caso esso integra gli estremi della causa non imputabile”. In concreto, bisogna quindi verificare se l’evento verificatosi integri o meno gli estremi della causa non imputabile. Nel caso di specie, i consulenti tecnici d’ufficio hanno escluso le responsabilità del sanitario affermando che quanto subito dalla signora G. rappresenta una complicanza prevedibile non riconducibili ad errori intervenuti nella fase operatoria e/o post operatoria, né le scelte del medico risultano essere censurabili. Gli ausiliari del giudice condividono, infatti, le valutazioni effettuate dal convenuto sia per quanto concerne l’intervento in sé, sia per la gestione del decorso post operatorio. In definitiva, quanto accaduto all’attrice, non sarebbe altro che una complicanza frequente, prevedibile e comunemente verificabile per quel genere di interventi chirurgici, ma che, tuttavia, il sanitario aveva l’obbligo di comunicare alla paziente. Tale comunicazione, nel caso di specie, non è avvenuta. Il diritto di autodeterminazione e il consenso informato. Ai sensi dell’art. 32 Cost., nessun trattamento sanitario può essere compiuto o proseguito senza un consenso manifestato dal soggetto interessato, salvo quanto previsto da apposite disposizioni di legge è il caso del T.S.O., ossia del trattamento sanitario obbligatorio . Tale principio trova conferma e specificazione nell'art. 33 l. n. 833/ 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono volontari, e quelli previsti come obbligatori dalla legge devono comunque rispettare la dignità della persona. Infine, è d’uopo effettuare altresì un riferimento alla Convenzione di Oviedo Convenzione sul diritti dell'uomo e la biomedicina adottata a Nizza nel 2000 e ratificata dall’Italia con l. n. 145/2001, dove si legge che il consenso libero ed informato del paziente deve essere considerato quale un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo, che riguarda il più generale diritto alla integrità della persona. Tra le diverse condizione di validità del consenso al trattamento sanitario, la prima e più importante è sicuramente rappresentata dalla corretta informazione che deve essere fornita dal medico al paziente. Tale informazione riguarda non solo il trattamento sanitario da effettuarsi, ma altresì gli eventuali rischi ad esso connessi nonché le eventuali alternative possibili. Solo in questo modo, infatti, la persona è in grado di costruire un proprio parere libero e quindi revocabile e consapevole e, dunque, di scegliere se sottoporsi o meno al trattamento. La violazione dell’obbligo di informativa al paziente è ritenuta fonte di risarcimento del danno in quanto il soggetto è leso nella libertà di autodeterminazione delle proprie scelte esistenziali e questo anche nel caso in cui la prestazione sanitaria sia stata eseguita correttamente e senza errori. Il diritto di autodeterminazione ha infatti valore costituzionale essendo ricompreso nell’alveo dei diritti della personalità di cui all’art. 2 Cost. e per la sua violazione è previsto un risarcimento autonomo e distinto rispetto all’eventuale danno alla salute cagionato da errore medico. Nel caso di specie, pur mancando la prova che l’attrice, se correttamente informata, avrebbe rifiutato di sottoporsi al trattamento sanitario, non vi è nemmeno la prova di un consenso informato dettagliato su tutto ciò che sarebbe potuto accadere a seguito dell’intervento di mastoplastica. Sussiste, quindi, una violazione autonoma del diritto di autodeterminazione risarcibile indipendentemente dall’esistenza o meno di un errore medico. È per tali ragioni che il giudice del merito accoglie la domanda attorea esclusivamente sotto tale profilo, non vantando, invece, alcun diritto alla restituzione dei compensi erogati per prestazioni che sono state correttamente eseguite.

Tribunale di Napoli, sez. II Civile, sentenza 24 settembre 2018, numero 8156 Presidente Suriano Fatto e diritto La presente decisione ha ad oggetto le pretese rivolte da G. nei confronti del sanitario e delle strutture convenuto al fine di ottenere la declaratoria di responsabilità contrattuale od extracontrattuale dei medesimi con riferimento agli interventi chirurgici menzionati in citazione attese le lesioni subite, con conseguente restituzione degli importi erogati per le prestazioni ricevute e risarcimento di tutti danni patiti, L'attrice ha fondato le pretese avanzate in giudizio in considerazione degli esiti, a suo dire, insoddisfacenti e dannosi di una serie di interventi di mastoplostica. Il primo intervento chirurgico di mastoplastica additiva venne eseguito, in data 24/5/1998, dal prof. Sc. Ni. presso la Casa di Cura Villa Margherita in Roma. A seguito di inconvenienti all'apparato protesico mammario riferiti dalla attrice, la in data 11/2/1989, venne nuovamente operato dal prof. Sc., subendo l'intervento di sostituzione della protesi. Tale operazione venne eseguita presso la Casa di Cura Villa dei Gerani. Essendo insorte successive complicanze, l'attrice venne nuovamente ricoverata, questa volta presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, subendo, in data 1 11611992, ad altro intervento di sostituzione della protesi. Accusando ancora problematiche sia di salute che estetiche, l'attrice si sottopose ad altro intervento chirurgico di sostituzione protesica e mastopessi bilaterale, eseguito sempre presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza a seguito del ricovero in data 9/9/1995. In data 22/4/1999, l'istante si sottopose ad intervento chirurgico di asportazione di protesi mammaria. Questi sinteticamente gli accadimenti di rilievo della presente controversia. Ciò detto, rilevato che l'eccezione di incompetenza Territoriale del Tribunale di Napoli è stata già decisa con la sentenza non definitivo emessa in corso di lite, occorre anzitutto soffermarsi su altre questioni preliminari sollevate dalle parti in lite. Il convenuto Sc., costituendosi in giudizio, ha eccepita l'inesistenza della procura alle liti rilasciata a margine dell'atto di citazione per l'illeggibilità della firma apposta dall'attrice. L'eccezione è infondata. Infatti, la dedotta circostanza del tutto irrilevante in quanto il nome del sottoscrittore emerge con chiarezza dall'intestazione e, comunque, dal corpo dell'atto introduttivo del giudizio. Sempre il convenuto Sc. ha sollevato eccezione di inammissibilità ovvero di improcedibilità della domando attorea per l'intervenuto giudicato penale. Tuttavia, va rilevato che pur avendo il convenuto menzionato pronunce dibattimentali, l'unico atto di un procedimento penale incardinato nei confronti dello Sc. è rappresentato dal decreto di archiviazione emesso dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 2/5/2006. Ne consegue che anche l'eccezione in questione risulta evidentemente infondata in quanto, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere, né ho gli effetti caratteristici della cosa giudicata. Altra questione preliminare da affrontare, seppure di merito, concerne l'intervenuta prescrizione dei diritti azionati in giudizio dall'attrice, e ciò a seguito della rituale eccezione sollevato do talune delle parti convenute. A tal proposito, occorre valutare con attenzione la doto di decorrenza di tale termine, tenuto conto che la prima lettera di messo in moro venne trasmessa dall'attrice in data 15/12/1998 e che, nella fattispecie in esame, rileva una ipotesi di dedotto inadempimento contrattuale, con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione. Orbene, ritiene questo Tribunale che l'inadempimento del monitorio pur risultando la fonte del danno risarcibile, non si identifica con questo. Infatti, il danno effettivo può non configurarsi come realizzatosi al momento dell'intervento operatorio ma essersi prodotto successivamente. Quindi, fintanto che il danno non si manifesta il termine di prescrizione non inizia a decorrere. Perciò, al fine di determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione occorre anzitutto verificare il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore Cassazione civile, sez. II, 05/04/2012, numero 5504 . Ciò detto, la disposizione dell'art. 2935 c.c. - secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere - collega la decorrenza del termine di prescrizione alla possibilità di far valere il diritto. Come affermato da recente giurisprudenza, in tema di risarcimento del danno, l'impossibilità di far volere il diritto quale fatto impeditivi della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 cc, è solo quello che deriva da cause giuridiche che ne ostacolano l'esercizio e non comprendono, quando il danno è percettibile e conoscibile da parte del pericolo, gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, tra i quali l'ignoranza , da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, o il dubbio soggettivo sull'esistenza di conto diritto del ritardo indotto dalla necessitò del suo accertamento Cassazione civile, sez. III, 19/07/2018, numero 19193 , La percepibilità del danno, però, pur non dovendo valutarsi alla stregua di parametri soggettivi riguardanti la persona danneggiata, comunque va apprezzata secondo il parametro dell'ordinaria diligenza. Orbene, pur avendo la stessa attrice dichiarato in udienza di aver avvertito a distanza di breve tempo l'insorgere degli inconvenienti lamentati già dopo il primo intervento operatorio, va, altresì, valutato che, a fronte delle rassicurazioni provenienti dal prof Sc., la possibilità che vi erano state vere e proprie complicanze operatorie può reputarsi insorta quando la stessa attrice, su indicazione del sanitario, decise di sottoporsi al 2° intervento operatorio del febbraio 1989, con conseguente valore pienamente interruttivo della prescrizione attribuibile alla lettera di messa in mora del dicembre 1998. L'eccezione di prescrizione va, pertanto, disattesa. Passando ad esaminare il merito della controversia, questo Tribunale condivide integralmente le valutazioni rese dai nominati consulenti tecnici di ufficio, dott. Ad. Ro., specialista in medicina legale, e dott. Lu. Pa. Ti., specialista in chirurgia plastica, nella relazione peritale depositata in data 7/7/2014. Gli ausiliari hanno escluso fattispecie di colpa medica addebitabile ai sanitari. Il pregiudizio patito dalla omissis rientra, infatti, nell'ambito delle complicanze che possono realizzarsi anche sino al 30% di interventi operatori analoghi a quelli oggetto di lite. Nella relazione peritale sono indicate specificamente anche le ragioni per cui si realizzano tali inconvenienti ed a tale motivazione ci si riporta integralmente. Come osservato dagli ausiliari, trattasi di complicanza prevedibile, ma non prevedibile e, nel caso di specie, non riconducibile ad errori in corso di intervento o nel periodo perioperatorio. Peraltro, in maniera motivato, i consulenti tecnici di ufficio hanno chiarito che anche le scelte operatorie adottate dal prof Sc. non appaiono censurabili. Tuttavia, soprattutto considerando che trattasi di complicanze che si verificano di frequente, era obbligo del sanitario dare specifiche informazioni alla paziente per consentirle di scegliere in maniera consapevole se operarsi o meno. Nel caso di specie, tale prova non è stata acquisita. Scarso è il rilievo probatorio che può essere attribuito alle deposizioni testimoniali - invero dal tenore generico e non particolarmente approfondito - rese dalle persone indicate dalle parti. In effetti, o perché professionalmente coinvolti nella fattispecie in esame ovvero perché legate alle parti da vincoli di amicizia, i testimoni escussi potrebbero, inconsapevolmente, aver reso dichiarazioni non del tutto collimanti con lo svolgimento delle vicende oggetto di lite peraltro svoltesi diversi anni prima della resa deposizione testimoniale . Ciò induce questo Tribunale a non attribuire alle testimonianze particolare rilievo circa il contenuto dei dialoghi realizzatisi nel corso delle visite tra il sanitario e la paziente. Occorre, in proposito, ricordare che l'informazione, alla stregua della diligenza professionale, deve riguardare tutti gli esiti dell'intervento ragionevolmente prevedibili sia positivi che negativi. Un'adeguata informazione è elemento ineliminabile per la formazione del contratto avente ad oggetto una prestazione sanitaria. Il medico ha l'obbligo di acquisire il consenso informato e su di lui grava l'onere probatorio d'aver adeguatamente informato il paziente Cassazione civile, sez. III, 21/09/2012, numero 16047 Cassazione civile, sez. III, 09/12/2010, numero 24853 . Peraltro, va osservato che l'attrice nel corso della prima udienza del 22/11/2007 ha disconosciuto non solo la conformità all'originale dei moduli di consenso informato prodotti in giudizio in relazione all'intervento del settembre 1995, ma ha, altresì, disconosciuto le sottoscrizioni ivi opposte. In assenza di istanze di verificazione, le scritture in esame non risultano utilizzabili Ciò nonostante, è escluso che l'assenza del consenso informato possa determinare il risarcimento del danno alla salute laddove, come nella specie, gli interventi sanitari sono stati correttamente eseguiti. Infatti, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione ditali conseguenze, salvo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze e sofferenze cfr. Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, numero 23,69 . Tale prova non è stata fornita dall'attrice. Anzi, l'insistenza manifestata dall'attrice nel sottoporsi a reiterati interventi di installazione di nuove protesi in luogo di quelle che avevano determinato i notevoli fastidi patiti lascia presumere che la paziente anche se fosse stata a conoscenza delle prevedibili complicanze non avrebbe modificato le proprie intenzioni. Tuttavia, giova ricordare che Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico cfr. Corte Cost., 23/12/2008, numero 438 , e quindi alla libero e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana art. 32 Cost., comma 2 . Dalla lesione del diritto fondamentale all'autodeterminazione determinata dalla violazione, da parte del sanitario, dell'obbligo di acquisire il consenso informato deriva, secondo il principio dell'id quod plerumque accidit un danno-conseguenza autonomamente risarcibile - costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso psichicamente e fisicamente - che non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e prova, da porte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori Cassazione civile, sez. III, 15/05/2018, numero 11749 , Attesa la sussistenza del fatto generatore della responsabilità del sanitario, e rilevato che non necessita di specifico prova la lesione del diritto alla autodeterminazione leso dalla omessa informazione, la domanda va accolta esclusivamente sotto tale profilo, non vantando l'attrice diritto alla restituzione dei compensi erogati per prestazioni che sono state correttamente eseguite. In ordine alla quantificazione del danno, procedendo ad una liquidazione ispirata ad equità, questo Tribunale ritiene che l'attrice abbia diritto ad ottenere a ristoro del pregiudizio patito l'importo di Euro 2500,00 con riferimento a ciascun intervento. Lo Sc. va, dunque, condannato al pagamento. in favore dell'attrice, della somma complessiva di Euro 10.000.00, oltre interessi compensativi da calcolarsi al tasso legale dalla data dei singoli interventi al giorno di pronuncia della presente sentenza sulla somma capitale devalutata all'epoca delle operazioni e, successivamente, rivalutata anno per anno. Per il periodo successivo, gli interessi vanno calcolati al tasso legale. Del fatto illecito del prof Sc. rispondono anche le strutture coinvolte sia pure obbligate al risarcimento dei danni liquidabili in relazione al singolo intervento in virtù della conclusione del contratto atipico c.d. di spedalità con la struttura sanitaria e avente a oggetto sia la prestazione di attività di assistenza medica, sia le prestazioni accessorie quali, ad esempio, quelle inerenti all'organizzazione dei servizi, olla manutenzione dei macchinari, nonchè alle prestazioni di vitto e alloggio derivanti dalla degenza in ospedale . Occorre, in proposito, sottolineare che con riferimento ai due interventi svoltesi presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, risulta legittimata passivamente soltanto quest'ultima, essendo estraneo al rapporto di causa il Ministero dell'economia e delle finanze, non tenuto a rispondere delle obbligazioni della prima ma essendo esclusivamente, come previsto dall'articolo 2 del D.L. 341-1999, il soggetto pubblico che aveva il compito di fornire i mezzi necessari per lo predisposizione del piano di estinzione dei debiti dell'Università di Roma. Conseguentemente, la Casa di Cura Villa Margherita S.p.A. va condannata al pagamento, in solido con lo Sc., del minor importo di Euro 2500,00, laddove l'Università degli Studi di Roma, Lo Sapienza, va condannata al pagamento, sempre in solido con lo Sc., dell'importo di Euro 5000,00. Dette somme vanno maggiorate degli interessi compensativi da calcolarsi secondo i criteri in precedenza indicati. Le due strutture in precedenza indicate hanno avanzato domanda di manleva nei riguardi delle convenute Allianz S.p.A. e Ina Assitalia S.p.A. I rapporti assicurativi non sono in contestazione e non sussistono ragioni per non procedere all'accoglimento della domanda come proposta dalla Casa di Cura Villa Margherita S.p.A. nei confronti della Allianz S.p.A., risultando peraltro la cifra liquidata nettamente inferiore al massimale di polizza indicato dalla assicurazione. Conseguentemente, la Allianz S.p.A. va condannata al rimborso delle somme che saranno versate dalla propria assicurata all'attrice in virtù della presente sentenza. Con riferimento, invece, alla domanda proposta dall'Università degli Studi di Roma, La Sapienza, nei confronti della Ina Assitalia S.p.A., quest'ultima ha sollevato eccezione di prescrizione ai sensi dell'articolo 2952 c.c. In proposito, l'Università degli Studi di Roma, La Sapienza, si è difesa assumendo di aver tempestivamente comunicato la richiesta di risarcimento danni formulato dalla con lettera del 21/7/2003, non avendo ricevuto la pregressa richiesta di risarcimento danni risalente al 1511211998 in quanto inoltrata non presso la sede di piazzale Aldo Moro 5. La tesi, tuttavia, non convince. Sia la lettera di messo in moro del 15/11/1998 che quella del 21/7/2003 sono state indirizzate presso la sede di viale omissis , e vi è prova che la seconda è stata ritualmente ricevuta dall'Università degli Studi di Roma, Lo Sapienza, ragion per cui si deve presumere che anche la prima richiesta di risarcimento sia stata ricevuta dalla destinataria. Conseguentemente, non vi sono ragioni per ritenere che non sia maturato a prescrizione, all'epoca dei fatti annuale, tempestivamente eccepita dal Ina Assitalia S.p.A La domando proposto nei riguardi di quest'ultima va quindi rigettata. Le domande riconvenzionali proposte dal prof Sc. sono infondate e vanno rigettate. Ed invero, sia pure limitatamente rispetto alla pretesa originariamente avanzata, la domando proposta dalla attrice è risultata fondata. D'altronde, non vi è prova che la omissis non si è limitato ad una critica, nelle sedi opportune anche processuali , dell'attività professionale svolto dal prof. Sc., lasciandosi andare ad attività di denigrazione dell'immagine professionale del sanitario. Quanto alla domanda di rivalsa proposta nei confronti dell'Università degli Studi di Roma, La Sapienza, va osservato che fatto generatore della responsabilità gravante anche sulla struttura è stato lo specifico comportamento tenuto dallo Sc., il quale pertanto non può pretendere di essere manlevato dal proprio datore di lavoro. Quanto alle spese processuali, la domanda di porte attrice risulta accolta in minima parte, tenuto conto che di entità ben più elevata sarebbe stato il risarcimento accordato alla se fosse stata accolta la pretesa di risarcimento dei danni anche alla salute invocati in giudizio. Peraltro, il notevole lasso di tempo trascorso tra gli interventi operatori e l'inizio della presente controversia ho reso molto più complessa la ricostruzione delle vicende concernenti fatti di lite. Tutto ciò conduce questo Tribunale a ritenere sussistenti i presupposti per disporre l'integrale compensazione delle spese processuali tra tutte le parti in lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede a accoglie per quanto di ragione della domanda avanzata da G. nei confronti di Sc. Ni., della Università degli Studi di Roma La Sapienza , della Cosa di Cura Villa Margherita S.p.A. , e, per l'effetto, condanna Sc. Nicolò al pagamento, in favore dell'attrice, della somma complessiva di Euro 10.000,00, e, altresì, condanna l'Università degli Studi di Roma La Sapienza nonché la Casa di Cura Villa Margherita S.p.A. , al pagamento rispettivamente delle minori somme di Euro 5000,00 e di Euro 2500,00 in solido con lo Sc. per il medesimo titolo, il tutto oltre interessi secondo i tassi e le decorrenze indicata in motivazione b rigetta la domanda avanzata da G. nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze c accoglie la domanda di manleva proposta dalla Casa di Cura Villa Margherita S.p.A. nei confronti della Allianz S.p.A. e, per l'effetto, condanna quest'ultima al rimborso, in favore della controparte, delle somme erogate all'attrice in virtù di quanto statuito al capo b del presente dispositivo d rigetta la domanda di manleva proposta dall'Università degli Studi di Roma La Sapienza nei confronti della Ina Assitalia S.p.A. e rigetta le domande riconvenzionali proposte da Sc. Ni. nei confronti di G. e dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza f dichiara interamente compensate le spese processuali tra le parti. Napoli, 24/09/2018 Depositata in cancelleria il 24/09/2018.