Telefoni muti per lo studio legale, escluso il foro del consumatore nel contenzioso con l’azienda fornitrice

Azzerata la doppia vittoria dell’avvocato, di base nella zona di Monza. Procedimento riaffidato al Tribunale di Roma. Esclusa dai giudici l’applicazione del codice del consumo.

Black-out telefonico per lo studio legale. Il titolare cita in giudizio la compagnia telefonica, chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. E la domanda viene ritenuta legittima sia in primo che in secondo grado l’avvocato si vede riconosciuta una cifra di poco superiore ai 20mila euro. La soddisfazione, però, dura poco. L’intero processo deve ripartire da zero, spostandosi dalla Lombardia a Roma. Decisivo l’errore compiuto dai giudici di primo e di secondo grado sul fronte della loro competenza” a prendere in esame la vicenda. Non corretta, difatti, l’applicazione del codice del consumo e del connesso riferimento al cosiddetto foro del consumatore” Cassazione, ordinanza numero 22810, sezione terza civile, depositata oggi . Disservizio. Scenario della vicenda è uno studio legale nella zona di Monza. Casus belli sono i disservizi alla linea telefonica lamentati dal titolare, che, di conseguenza, chiede la risoluzione del contratto e la condanna dell’azienda telefonica a pagare il risarcimento del danno . Per i Giudici, prima al Tribunale di Monza e poi alla Corte d’Appello di Milano, non ci sono dubbi è evidente l’inadempimento dell’azienda telefonica , così come non è discutibile il danno subito dal professionista, soprattutto tenendo presente che per un avvocato l’indisponibilità di un servizio di telefonia pienamente funzionale costituisce certamente un danno . Senza dimenticare poi, aggiungono i giudici, sia in primo che in secondo grado, che l’inadempimento dell’azienda telefonica fu causa di un danno all’immagine del professionista , provocò una lesione al diritto costituzionale alla comunicazione e comportò un inevitabile cambiamento peggiorativo delle abitudini lavorative e di vita del legale. Foro. Palla infine alla Cassazione, con la convinzione – per l’avvocato lombardo lamentatosi per i problemi telefonici – di vedere certificare la propria vittoria. Da Roma, però, arriva un colpo durissimo all’intero procedimento. I Giudici del Palazzaccio, difatti, accogliendo il ricorso proposto dai legali dell’azienda telefonica, ritengono illegittime le pronunce del Tribunale di Monza e della Corte d’appello di Milano, e rimettono l’intera vicenda al Tribunale di Roma. Censurata è, in particolare, l’ottica adottata dai giudici lombardi, i quali hanno applicato il cosiddetto foro del consumatore , ovvero il foro del luogo di domicilio dell’attore . Su questo fronte i legali dell’azienda hanno sostenuto che l’attore era un professionista, che aveva stipulato il contratto telefonico per l’esercizio della propria professione, e, di conseguenza, era inapplicabile il codice del consumo . Questa obiezione è ritenuta corretta dai giudici della Cassazione, i quali sottolineano che si può considerare contratto del professionista quello che è stipulato al fine di soddisfare interessi anche solo connessi od accessori rispetto allo svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale , escludendo perciò la possibilità che si possa parlare di mero consumatore . Applicando questa ottica alla vicenda in esame, i magistrati del Palazzaccio spiegano che per un avvocato è atto della professione non solo la stipula col cliente del contratto di mandato o di consulenza, ma anche la stipula di tutti i contratti necessari od utili per il compimento degli atti professionali , quali, ad esempio, l’acquisto di testi giuridici, la stipula di un’assicurazione della responsabilità civile professionale, l’appalto dei servizi di pulizia dello studio professionale, la somministrazione di luce, gas o , come in questo caso, servizi telefonici per lo studio professionale . In sostanza, non è in discussione il fatto che l’uso di un telefono all’interno di uno studio legale sia funzionale rispetto all’esercizio della professione . Erronea, quindi, in questa vicenda, la sottoposizione del contratto telefonico alla disciplina prevista per i contratti stipulati dal consumatore . Di conseguenza, i Giudici della Cassazione, una volta esclusa l’applicazione del foro del consumatore , riaffidano il procedimento al Tribunale di Roma, ritenendo irrilevante il foro del domicilio del legale, condannato anche a rifondere le spese – oltre 11mila euro – all’azienda telefonica.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 24 maggio – 26 settembre 2018, n. 22810 Presidente Sestini – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2011 Pi. Ca., di professione avvocato, convenne dinanzi al Tribunale di Monza la società Wind Telecomunicazioni s.p.a., esponendo che - aveva stipulato con la società convenuta un contratto di utenza telefonica - la società convenuta si era resa inadempiente agli obblighi contrattuali, causando disservizi alla linea telefonica presso lo studio legale professionale dell'abbonato, per mancata attivazione del servizio ISDN , nonché per ostruzionismo al rientro in Telecom . Chiese pertanto la risoluzione del contratto e la condanna della convenuta al risarcimento del danno. 2. La Wind si costituì eccependo preliminarmente l'incompetenza per territorio del giudice adito, a causa della pattuizione contrattuale di un foro elettivo, contrattualmente individuato nel Tribunale di Roma. 3. Con sentenza 18 febbraio 2013 n. 571 il Tribunale di Monza accolse la domanda, e condannò la Wind al pagamento in favore dell'attore della somma di 20.165,05 Euro, oltre le spese di lite. La sentenza venne appellata dalla Wind. 4. Con sentenza 19 febbraio 2016 n. 650 la Corte d'appello di Milano - ritenne corretto il rigetto, da parte del Tribunale, dell'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla Wind - ritenne corretta la decisione di primo grado, nella parte in cui dichiarò sussistente l'inadempimento della Wind - ritenne corretta la decisione di primo grado nella parte in cui liquidò all'attore tanto il danno patrimoniale, quanto il danno non patrimoniale, ritenendo che per un avvocato l'indisponibilità di un servizio di telefonia pienamente funzionale costituisce certamente un danno in re ipsa che l'inadempimento della Wind fu causa di un danno all'immagine professionale e da lesione del diritto di rango costituzionale alla comunicazione che il suddetto inadempimento provocò all'attore un inevitabile cambiamento peggiorativo delle proprie abitudini di vita e lavorative - accolse l'appello della Wind nella parte in cui lamentava la liquidazione in misura eccessiva delle spese di soccombenza - condannò in ogni caso l'appellante al pagamento integrale delle spese anche del secondo grado. 5. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla Wind, con ricorso fondato su quattro motivi. Ha resistito con controricorso Pi. Ca Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, nn. 2 e 3, c.p.c., la violazione degli articoli 18, 19, 20, 28 c.p.c. nonché 1326, 1341, 1342 e 1469 bis c.c Sostiene la Wind che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che nel caso di specie dovesse applicarsi il cosiddetto foro del consumatore , ovvero il foro del luogo di domicilio dell'attore. Deduce che l'attore era un professionista, il quale aveva stipulato il contratto per l'esercizio della propria professione di avvocato, e che di conseguenza era inapplicabile al caso di specie il codice del consumo D.Lgs. 6.9.2005 n. 206 , ed il foro del consumatore ivi previsto. 1.2. Il motivo è fondato. La Corte d'appello di Milano ha rigettato l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla Wind trascrivendo un passo della sentenza di primo grado, nella quale si affermava opera nel caso concreto il cosiddetto foro del consumatore. Pare infatti condivisibile l'affermazione attorea secondo cui l'avvocato Gazzetta, pur essendo professionista e titolare di partita IVA, debba essere considerato nello specifico, alla stregua del contraente più debole . La Corte d'appello ha ritenuto del tutto condivisibile tale motivazione, ribadendo che la stipula del contratto di utenza telefonica non era, per l'attore Pi. Ca., un atto professionale , e che l'attore, pur essendo un professionista, rimane[va] pur sempre soggetto economicamente più debole della controparte . 1.3. Questa motivazione contiene due errori di diritto. 1.4. Il primo errore è consistito nel ritenere che possa considerarsi contratto del professionista , ai fini dell'applicabilità delle regole dettate dal codice del consumo D.Lgs. 6.9.2005 n. 206 , solo quello che ha ad oggetto il compimento d'un atto professionale . Tale affermazione contrasta col consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui per assumere la qualifica di professionista, ai sensi e per i fini di cui all'art. 3 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, non è necessario stipulare un contratto che costituisca di per sé esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma è sufficiente che il contratto sia stipulato al fine di soddisfare interessi anche solo connessi od accessori rispetto allo svolgimento dell'attività imprenditoriale o professionale. In applicazione di questo principio si è escluso, ad esempio, che possa acquistare la veste di consumatore , ed invocare il foro del proprio domicilio a l'avvocato che abbia acquistato riviste giuridiche in abbonamento o programmi informatici per la gestione di uno studio legale Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 17466 del 31/07/2014, Rv. 631788 - 01 b la persona fisica che, pur avendo concluso un contratto di apertura di credito in nome proprio, abbia però ottenuto il finanziamento non per sé ma in favore della società di cui era amministratore Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 21763 del 23/09/2013, Rv. 627977 - 01 c l'imprenditore od il professionista che abbia stipulato un contratto di assicurazione per la copertura dei rischi derivati dall'attività dell'azienda Sez. 3, Sentenza n. 4208 del 23/02/2007, Rv. 595519 -01 Sez. 3, Ordinanza n. 23892 del 09/11/2006, Rv. 592667 - 01 d il fideiussore che abbia prestato garanzia in favore di un imprenditore, per un debito d'impresa Sez. 3, Ordinanza n. 13643 del 13/06/2006, Rv. 590625 - 01 e infine, e costituisce un precedente in terminis rispetto all'odierno ricorso, merita di essere ricordato il decisum di Sez. 3, Sentenza n. 11933 del 22/05/2006, Rv. 589986 - 01, la quale ha escluso che potesse considerarsi consumatore l'avvocato che aveva stipulato un contratto di utenza telefonica con riferimento ad un apparecchio del quale faceva uso anche per l'esercizio della sua attività professionale. 1.5. Tutti i precedenti appena ricordati, che peraltro sono stati excerpti multorum i principi in essi affermati, infatti, sono assolutamente pacifici nella giurisprudenza di questa Corte , si fondano sul principio secondo cui è atto compiuto dal professionista, ai fini dell'applicabilità delle norme contenute nel codice del consumo, non solo quello che costituisca di per sé esercizio della professione, ma anche quello legato alla professione da un nesso funzionale. Sarà, dunque, per un avvocato, atto della professione non solo la stipula col cliente del contratto di mandato o di consulenza, ma anche la stipula di tutti i contratti necessari od utili per il compimento degli atti professionali quali, ad esempio, l'acquisto di testi giuridici la stipula di un'assicurazione della responsabilità civile professionale l'appalto dei servizi di pulizia dello studio professionale la somministrazione di luce, gas o servizi telefonici per lo studio professionale. 1.6. Nel caso di specie non è mai stato in contestazione tra le parti che Pi. Ca. stipulò il contratto di utenza telefonica con la Wind relativamente ad una utenza sita nel proprio studio professionale. Ne dà atto, del resto, la stessa sentenza impugnata foglio 5, secondo capoverso le pagine della sentenza d'appello non sono numerate , là dove riferisce che l'attore allegò di avere stipulato il contratto relativo alla linea telefonica esistente presso il suo studio legale professionale . E poiché non può seriamente discutersi del fatto che l'uso di un telefono all'interno di uno studio legale sia funzionale rispetto all'esercizio della professione, erroneamente la Corte d'appello ha sottoposto il contratto in esame alla disciplina prevista per i contratti stipulati dal consumatore. 1.7. La sentenza impugnata contiene altresì, come accennato, un secondo errore di diritto ovvero l'affermazione secondo cui la disciplina dettata dal D.Lgs. 206/05 per i contratti stipulati dal consumatore dovrebbe comunque trovare applicazione, nel caso di specie, dal momento che l'attore Pi. Ca. era un soggetto economicamente e contrattualmente debole rispetto alla controparte, la società Wind. Così giudicando, la Corte d'appello ha posto a fondamento della decisione una regula iuris inesistente. L'art. 3, comma 1, lettera a , del D.Lgs. 6.9.2005 n. 206 definisce infatti consumatore o utente la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Dal precetto normativo esula qualunque riferimento alle condizioni economiche delle parti, al loro potere commerciale, alla loro forza o capacità di imporre all'altra condizioni più o meno svantaggiose per l'aderente. Escluso dunque che la lettera della legge consenta di individuare il consumatore nel soggetto economicamente più debole, a tale conclusione non potrebbe condurre nemmeno la ratio della legge. Gli artt. 3 e 33 del D.Lgs. 206/05 costituiscono, infatti, attuazione dei precetti contenuti nella Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori , ed alla luce dei principi ivi previsti quegli articoli vanno perciò, nel caso di dubbio, interpretati. E la Direttiva 93/13/CEE fu voluta non già al fine di perseguire astratti principi egualitari o redistribuire ricchezze, ma al fine di evitare distorsioni di concorrenza nel mercato dei beni e dei servizi rivolti ai consumatori, distorsioni in precedenza derivanti dalle grandi differenze esistenti tra le legislazioni degli Stati membri in merito alla tutela del consumatore tanto si afferma, ore rotundo, nel II, nel III e nel VII Considerando della Direttiva 93/13/CEE . Ne discende che le differenze economiche esistenti tra le parti di un contratto, da sole, non giustificano l'applicazione delle norme dettate per i contratti dei consumatori né esiste nell'ordinamento alcuna corrispondenza biunivoca tra la nozione di professionista e quella di soggetto forte del rapporto contrattuale, come già affermato da questa Corte Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15391 del 26/07/2016, Rv. 641154 - 01 . 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. Deduce di essere stata condannata alla rifusione integrale delle spese del grado di appello, nonostante uno dei propri motivi di gravame quello concernente le spese di lite liquidate dal giudice di primo grado fosse stato accolto. 2.2. Il motivo resta assorbito dall'accoglimento del precedente. 3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione degli articoli 1223, 1226, 2056, 2059 c.c Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene due censure. Con una prima censura la ricorrente lamenta che Tribunale e Corte d'appello non potevano far ricorso alla liquidazione equitativa, in un caso in cui l'attore nulla aveva dimostrato nemmeno in merito all'esistenza stessa del danno che assumeva di aver patito. Con una seconda censura la ricorrente lamenta che ha errato la Corte d'appello nel ritenere ammissibile, nel caso di specie, la liquidazione del danno non patrimoniale, della quale non ricorrevano i presupposti. 3.2. Ambedue le censure restano assorbite dall'accoglimento del primo motivo di ricorso. 4. Il quarto motivo di ricorso. 4.1. Col quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c. la violazione degli articoli 1176, 1218, 1385, 2043, c.p.c. e dell'articolo 696 c.p.c. Sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i disservizi lamentati dall'attore, e riconducibili all'operato di essa convenuta. 4.2. Anche questo motivo resta assorbito dall'accoglimento del primo. 5. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata. Alla cassazione della sentenza impugnata, ovviamente, non potrà far seguito il rinvio della causa alla Corte d'appello di Milano, che per quanto detto è incompetente ratione loci. Infatti, allorché sia il giudice di primo che quello di secondo grado abbiano erroneamente ritenuto sussistere la propria competenza per territorio, della quale invece erano privi, alla cassazione della sentenza d'appello deve seguire l'indicazione da parte di questa Corte del giudice competente in primo grado, ai sensi dell'art. 382 c.p.c, dinanzi al quale sarà onere della parte più diligente riassumere il giudizio, ai sensi dell'art. 50 c.p.c. come già ritenuto da Sez. 1, Sentenza n. 10566 del 04/07/2003, Rv. 564793 - 01, alla cui ampia motivazione può in questa sede rinviarsi e ribadito da Sez. 3, Sentenza n. 22958 del 12/11/2010, Rv. 615803 - 01 . 6. Le spese. 6.1. Poiché il presente giudizio si è concluso con la cassazione della sentenza impugnata per violazione delle regole sulla competenza, spetta a questa Corte liquidare le spese dei gradi di merito oltre che quelle del giudizio di legittimità, così come stabilito dall'art. 385, comma secondo, c.p.c. Tali spese seguono la soccombenza, e vanno liquidate avuto riguardo al petitum, come segue - per il primo grado di giudizio, nella misura di Euro 4.835 - per il grado di appello, nella misura di Euro 4.000. 6.2. Anche le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c, e sono liquidate nel dispositivo. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il primo motivo di ricorso dichiara assorbiti gli altri - cassa la sentenza impugnata e dichiara la competenza del Tribunale di Roma - condanna Pi. Ca. alla rifusione in favore di Wind Telecomunicazioni s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.300, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - condanna Pi. Ca. alla rifusione in favore di Wind Telecomunicazioni s.p.a. delle spese del giudizio di merito, che si liquidano nella somma di Euro 4.835 per il primo grado ed Euro 4.000 per il grado di appello, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55.