Va revocato il gratuito patrocino a spese dello Stato se il ricorso è manifestamente infondato

La revoca dell'ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio a spese dello Stato va disposta quando le argomentazioni tratte dall’atto introduttivo del giudizio siano meramente tautologiche e tali da far ritenere in concreto manifestamente infondato il gravame esperito dal ricorrente.

Così la Corte Suprema di Cassazione, sentenza 28 giugno 2018, n. 17037. La vicenda processuale. Il soccombente in una causa civile avente ad oggetto una domanda di risoluzione di un contratto di vendita immobiliare citava in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiedendo i danni allo Stato per fatto colposo del magistrato. Il Tribunale adito rigettava la domanda bollandola di inammissibilità per decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 4, comma 2, l. n. 1171998. Riteneva il Tribunale che, avendo l’attore introdotto l’azione con atto di citazione e non già con ricorso, la decorrenza del termine dovesse essere individuata nel momento in cui avvenne la costituzione in giudizio. Dello stesso parere la Corte d’Appello, che ebbe a specificare come il termine triennale di decadenza introdotto dalla l. n. 18/2015 non fosse applicabile al caso di specie vista la irretroattività della richiamata normativa. Si approdava così in Cassazione. Le ragioni della decisione. Dalla disamina della parte motiva della sentenza in commento si possono trarre diversi insegnamenti. Il primo motivo di doglianza, ritenendo il ricorrente che la domanda di risarcimento danni nei confronti dello Stato per fatto illecito del magistrato fosse proponibile con citazione, è ritenuto infondato. Spiegano gli Ermellini che tale procedimento va introdotto con ricorso perché rientrante nella tipologia camerale improntata alla sommarietà del rito. Il secondo motivo, parimenti, è stato dichiarato infondato giacché la l. n. 18/2015 non ha efficacia retroattiva, dovendo la cognizione di una domanda risarcitoria per responsabilità dei magistrati essere delibata secondo le norme in vigore al momento del fatto. La revoca dell’ammissione al patrocinio a Spese dello Stato. Nel quadro poc’anzi tratteggiato la Suprema Corte si è interrogata, infine, sulla sussistenza o meno dei requisiti per il ricorrente ad accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Come noto, la valutazione della non manifesta infondatezza compete al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che in concreto deve scrutinare le enunciazioni in fatto ed in diritto dell’istante e le prove specifiche di cui intende chiedere l’ammissione. Nel caso di specie il ricorrente nel proprio atto introduttivo si è limitato ad una mera argomentazione tautologica delle proprie presunte ragioni, facendo trasparire così una manifesta infondatezza della propria posizione. D’altra parte, nei giudizi in cui il ricorrente risultò essere soccombente si discuteva di risoluzione per inadempimento e di eccezione ex art. 1460 c.c. istituti questi che attengono ad una valutazioni di prove e fatti che in quanti tali si sottraggono all’alveo di responsabilità del magistrato ex art. 2, comma 2, l. n. 117/88. In conclusione. Dal quadro complessivo si può operativamente rammentare che non è sufficiente rientrare nei parametri reddituali per accedere al beneficio in parola perché occorre prestare particolare attenzione alle ragioni addetto nell’atto che se sconfessate platealmente potrebbero condurre ad una revoca particolarmente onerosa basto pensare, ad esempio, al pagamento del contributo unificato oltre che, ovviamente, all’onorario se in quanto effettivamente esigibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 febbraio – 28 giugno 2018, n. 17037 Presidente Olivieri – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2013 Sa. Bo. convenne dinanzi al Tribunale di Messina la presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della. condotta tenuta dagli organi giudiziari che, secondo la prospettazione attorea, determinarono per colpa la sua soccombenza all'esito d'un processo civile che lo vide contrapposto a tale Gi. Scappa, avente ad oggetto una domanda di risoluzione di un contratto di vendita immobiliare per inadempimento dell'acquirente. Il giudizio venne introdotto con atto di citazione. 2. Con decreto 16 febbraio 2016 il Tribunale di Messina dichiarò inammissibile la domanda. Il Tribunale rilevò che - il procedimento civile che, secondo la prospettazione attorea, fu per lui causa di danno si concluse con una sentenza della Corte di cassazione pubblicata l'I 1 novembre 2011 - l'azione di responsabilità nei confronti dello Stato per il fatto del magistrato va introdotta con ricorso - Sa. Bo. aveva invece introdotto la domanda con atto di citazione - ciò non era di per sé causa di nullità, ma imponeva di individuare il momento di proposizione della domanda non in quello di notifica della citazione, ma nel momento in cui avvenne la costituzione in giudizio - nel caso di specie la costituzione avvenne il 15 novembre 2013, e quindi quando era già decorso il termine biennale di decadenza previsto dall'articolo 4, comma 2, della legge 13 aprile 1988 n. 117. 3. Il decreto venne reclamato dalla parte soccombente. La Corte d'appello di Messina, con decreto 18 ottobre 2016 n. 2180, rigettò il reclamo. La Corte d'appello ritenne che - il Tribunale correttamente ritenne che il giudizio doveva essere introdotto con ricorso, e che pertanto la data di proposizione della domanda andava individuata nel momento di deposito dell'atto di citazione nella cancelleria del giudice adito - al presente giudizio non era applicabile il più lungo termine triennale di decadenza, introdotto dalla legge 27.2.2015 n. 18, non avendo tale legge efficacia retroattiva. 4. Il decreto pronunciato dalla Corte d'appello di Messina è stato impugnato per cassazione da Sa. Bo., con ricorso fondato su due motivi. Ha resistito la Presidenza del Consiglio. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione dell'articolo 4, secondo comma, della legge 13.4.1988 n. 117. Sostiene che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che la domanda di risarcimento del danno nei confronti dello Stato per il fatto illecito del magistrato debba essere introdotta con ricorso. Sostiene che la legge n. 117 del 1988 nulla dispone al riguardo, sicché correttamente la domanda venne introdotta con l'atto di citazione, quale mezzo ordinario normalmente utilizzato per l'esercizio di qualsivoglia diritto nel nostro ordinamento . 1.2. Il motivo è infondato. Questa Corte infatti ha già stabilito che la domanda di risarcimento ai sensi della legge 13 aprile 1988, n. 117, sulla responsabilità civile dei magistrati, va proposta con ricorso, e non con citazione, atteso che, dalle caratteristiche della fase iniziale del processo, regolata dall'art. 5 legge cit. e relativa al giudizio di ammissibilità della domanda, si desume che detta fase è improntata alla sommarietà e caratterizzata dalle forme del procedimento camerale, il che lascia trasparire all'evidenza che intenzione del legislatore era quella di prevedere, anche senza espressa indicazione, l'uso del ricorso, come è confermato, altresì, dal principio generale contenuto nell'art. 737 cod. proc. civ., che espressamente stabilisce che i provvedimenti che debbono essere pronunziati in camera di consiglio come quello che definisce il giudizio di ammissibilità ex art. 5 cit. si chiedono con ricorso al giudice competente, che pronunzia con decreto Sez. 1, Sentenza n. 16935 del 29/11/2002, Rv. 558816 - 01 sostanzialmente nello stesso senso, in motivazione, si veda più di recente Sez. 3 - , Sentenza n. 932 del 17/01/2017, Rv. 642702 -02 . 1.3. Non convincono, in senso contrario, i rilievi svolti dal Procuratore Generale nella discussione in pubblica udienza, secondo cui il motivo sarebbe fondato alla luce dell'art. 4, comma 5, D.Lgs. 1.9.2011 n. 150, il quale stabilisce che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento . La suddetta previsione, infatti, si applica solo alle controversie previste dal presente decreto così stabilisce il comma prima dell'art. 4 D.Lgs. cit. , tra le quali non rientra la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti dello stato per il fatto del magistrato. 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione dell'articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile. Sostiene che erroneamente la Corte d'appello avrebbe ritenuto non retroattiva la modifica alla legge n. 117 del 1988 introdotta dalla legge 27 febbraio 2015 L. 18, la quale ha elevato il termine di decadenza per la proponibilità della domanda di risarcimento del danno per il fatto del magistrato da due a tre anni. 2.2. Il motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha già stabilito che in tema di responsabilità civile dei magistrati, la sopravvenuta abrogazione della disposizione di cui all'art. 5 della L. n. 117 del 1988, per effetto dell'art. 3, comma 2, della L. n. 18 del 2015, non ha efficacia retroattiva, onde l'ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione. Ne consegue che il giudizio di ammissibilità previsto dall'art. 5 cit. continua ad applicarsi alle domande avanzate con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015, data di entrata in vigore della legge n. 18 del 2015 . Sez. 3, Sentenza n. 25216 del 15/12/2015, Rv. 638090 - 01 . 3. Revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 3.1. L'odierno ricorrente risulta essere stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Messina dell'8.11.2.016. L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in materia civile, può essere accordata solo a favore di chi vanti una pretesa non manifestamente infondata , così come stabilito dall'art. 122 D.P.R. 30.5.2002 n. 115 La valutazione della non manifesta infondatezza va compiuta dal Consiglio dell'Ordine competente non in astratto, ma in concreto, dovendo il Consiglio valutare a tal fine le enunciazioni in fatto ed in diritto di cui l'istante intende avvalersi, e le prove specifiche di cui intende chiedere l'ammissione. 3.2. Nel caso di specie Sa. Bo. ha proposto un ricorso per cassazione chiedendo che fosse dichiarata ammissibile la sua domanda di risarcimento proposta nei confronti dello stato per il fatto del magistrato. A fondamento di questa domanda ha dedotto - di avere chiesto la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di vendita immobiliare da lui stipulato, nella veste di promittente venditore, con tale Gi. Sc. - che Gi. Sc., costituitosi in giudizio, formulò domanda riconvenzionale di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., invocando l'inadempimento dell'attore - che il giudicante rigettò la domanda principale ed accolse quella riconvenzionale. Dopo avere ricordato che ebbe torto sia in primo grado, sia in secondo grado, sia in sede di legittimità, il ricorrente soggiunge che tutte e tre le suddette decisioni del Tribunale, della Corte d'appello e della Corte di cassazione sarebbero state pronunciate con colpa grave, ai sensi dell'art. 2 della L. 117/88, perché tutti i giudici si sarebbero dovuti accorgere che egli aveva ragione e il convenuto torto. Giustifica tale allegazione assumendo che, dal momento che il convenuto non negò di essere inadempiente, ma invocò l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., l'inadempimento del convenuto si sarebbe dovuto ritenere esistente e conclamato. Ora, di una pretesa risarcitoria ai sensi della L. 117/88, fondata su allegazioni simili, il meno che si possa dire è che essa ascrive a responsabilità del magistrato una tipica attività di valutazione delle prove e ricostruzione dei fatti, che in quanto tale non può mai dar luogo a responsabilità, ai sensi dell'art. 2, comma 2, L. 117/88. A ciò aggiungasi che la prospettazione dei fatti contenuta nel ricorso è totalmente priva di qualsiasi apparato critico, risolvendosi in sostanza nella seguente tautologia tutti e tre gli organi giudicanti Tribunale, Corte d'appello e Corte di cassazione hanno agito con colpa grave perché non si sono avveduti della fondatezza delle mie ragioni . 3.3. Il Consiglio dell'Ordine, pertanto, avrebbe dovuto rilevare la totale mancanza del requisito della non manifesta infondatezza delle ragioni del richiedente. La mancanza di tale requisito impone dunque in questa sede la revoca della suddetta ammissione, ai sensi dell'art. 136 D.P.R. 30.5.2002 n. 115. 4. Le spese. 4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c, e sono liquidate nel dispositivo. 4.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Al riguardo ritiene questa Corte doveroso chiarire come ai fini della dichiarazione di sussistenza dell'obbligo del pagamento del doppio contributo non venga in rilievo l'art. 15 della L. 117/88, il quale stabilisce che nei giudizi aventi ad oggetto la responsabilità dello Stato per il fatto del magistrato si osserva, in quanto applicabile, l'articolo unico, della legge 2 aprile 1958, n. 319 , norma, quest'ultima, che esonera i giudizi ivi previsti dalla imposta di bollo e di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura . A tale esonero tuttavia sfugge il contributo unificato, per effetto della successiva evoluzione normativa. Infatti l'art. 1, comma 212, della legge finanziaria 2009 L. 23.12.2009 n. 191 , ha aggiunto un comma 6 bis all'art. 10 del testo unico sulle spese di giustizia D.P.R. 115/02 , nel quale si stabiliva che nelle controversie di cui all'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319 e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione . Due anni dopo, l'art. 37, comma 6, del d.l. 06/07/2011, n. 98 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria modificò ulteriormente l'art. 10, comma 6 bis, sopprimendo le parole per i processi dinanzi alla Corte di cassazione . Per effetto delle due novelle del 2009 e del 2011, l'art. 10, comma 6 bis, D.P.R. 115/02 attualmente recita nelle controversie di cui all'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato . Poiché, dunque, al presente giudizio si applica la L. 319/58, resta dovuto il contributo unificato. P.Q.M. la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - revoca l'ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato - condanna Sa. Bo. alla rifusione in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Sa. Bo. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.