Necessario il consenso scritto, espresso e consapevole, per la diffusione televisiva di una videoripresa

In tema di lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali deve essere riconosciuto il danno consistente nella sofferenza morale patita da un soggetto in seguito alla diffusione senza consenso, nel corso di una trasmissione televisiva, del proprio nominativo, della propria immagine e di dichiarazioni rese in un situazione indotta dalla presenza di un soggetto provocatore, in un contesto totalmente estraneo a quello strettamente personale e professionale.

Così la Cassazione con ordinanza n. 16358/18, depositata il 21 giugno. Il caso. Il danneggiato conveniva in giudizio una società al fine di ottenere un risarcimento danni per la lesione della sua reputazione, aggravata dalla violazione della privacy, del diritto all’immagine e all’identità personale, avvenuta in seguito ad una videoripresa – realizzata da una troupe per un programma televisivo prodotto dalla stessa convenuta - e trasmessa, nel 2001, senza il preventivo consenso o la liberatoria. In particolare, l’attore, inconsapevole, era stato avvicinato in una discoteca da una ragazza, complice della produzione televisiva, che lo aveva invitato a seguirla all’esterno del locale per recarsi nella sua autovettura, all’interno della quale lo aveva interpellato su comportamenti e opinioni relative alla sfera sessuale e all’uso di contraccettivi, nonché sulla sua intenzione di avere rapporti sessuali senza precauzioni. Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda dell’uomo, ritenendo che la messa in onda della videoripresa, priva del consenso scritto, rappresentasse violazione delle leggi sulla tutela dei dati personali e condannava, pertanto, la società convenuta al pagamento di una somma di denaro, a titolo risarcitorio, ai sensi dell’art. 2049 c.c Avverso la decisione del Giudice di prime cure la società convenuta presentava ricorso in appello dinanzi alla Corte di Appello di Roma mentre il danneggiato proponeva appello incidentale. La Corte territoriale, nel 2013, si pronunciava rigettando sia l’appello principale che quello incidentale e confermava la decisone del Giudice di primo grado, ribadendo, quindi, la condanna della convenuta al risarcimento del danno a favore del danneggiato. La società, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione fondato su quattro motivi. L’uomo resisteva in giudizio con controricorso. I motivi del ricorso. La ricorrente, con il primo motivo sosteneva che la Corte territoriale fosse incorsa in errore poiché aveva ritenuto che il consenso dovesse essere espresso in forma scritta ad substantiam . Ad avviso della società il consenso alla diffusione delle immagini era stato documentato da una videoregistrazione dalla quale, a suo dire, emergeva che l’uomo fosse pienamente consapevole del fatto di essere ripreso. In altre parole, sosteneva l’equipollenza della documentazione del consenso mediante videoregistrazione a quello reso in forma scritta. Col secondo motivo si doleva del fatto che la Corte d’Appello di Roma non avesse esaminato un fatto decisivo per il giudizio costituito, nello specifico, dal contegno tenuto dall’uomo durante la ripresa che veniva reputato incompatibile con la volontà di opporsi alla diffusione dell’immagine. Col terzo motivo la società sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato, poiché il consenso all’utilizzazione dell’immagine poteva essere anche tacito e invocava la normativa sul diritto d’autore. Col quarto motivo, infine, si doleva del fatto che la Corte avesse ritenuto provato presuntivamente il danno non patrimoniale lamentato dall’uomo in merito al pregiudizio che lo stesso aveva subito sul luogo di lavoro e rispetto alla propria relazione sentimentale. Il primo e il quarto motivo vengono considerati infondati, il secondo e il terzo inammissibili. Ragioni della decisione della Corte di Cassazione. La Suprema Corte ritiene la decisione del Giudice d’appello immune da vizi e ribadisce, in primis, che, secondo la disciplina della tutela dei dati personali, vigente ratione temporis , il trattamento degli stessi richiede il consenso dell’interessato che deve espresso in forma specifica, previa informativa, documentato e reso per iscritto con riferimento ai dati personali idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale. La prestazione del consenso, infatti, non è considerata una mera formalità ma deve consentire di identificare i limiti di tempo, luogo, scopo e forma della pubblicazione e, nel caso di specie, è pacificamente mancato. Secondo i Supremi Giudici la decisione della Corte di Appello è conforme a un principio già espresso dalla Corte di legittimità secondo il quale, in tema di lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali, deve essere riconosciuto il danno consistente nella sofferenza morale patita da un soggetto in seguito alla diffusione senza consenso, nel corso di una trasmissione televisiva, del proprio nominativo, della propria immagine e di dichiarazioni rese in un situazione indotta dalla presenza di un soggetto provocatore, in un contesto totalmente estraneo a quello strettamente personale e professionale. La Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il pregiudizio subito dal danneggiato, sia in rapporto alla sua relazione sentimentale che sul luogo di lavoro dove egli era stato oggetto di scherno da parte dei colleghi e superiori per le dichiarazioni rese nelle circostanze oggetto di videoripresa. Conclusione. I Giudici della I Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigettano il ricorso e condannano la ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente. Danno atto, altresì, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 22 marzo – 21 giugno 2018, numero 16358 Presidente Giancola – Relatore Tricomi Fatto e diritto RITENUTO CHE La Corte di appello di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’appello principale proposto da Reti Televisive Italiane SPA di seguito RTI e l’appello incidentale proposto da C.U. ed ha confermato la decisione del primo giudice che - in controversia concernente la richiesta di risarcimento danni proposta da C.U. per la lesione della reputazione, aggravata dalla violazione della privacy, del diritto all’immagine ed all’identità personale in conseguenza di una videoripresa realizzata dal omissis per il programma , prodotto dalla società convenuta, e trasmessa senza avere ottenuto il consenso o la liberatoria aveva accolto la domanda del C. , ritenendo che la messa in onda della videoripresa senza il consenso scritto avesse costituito violazione delle leggi sulla tutela dei dati personali ed aveva condannato la convenuta società, ai sensi dell’articolo 2049 cod. civ., al pagamento di Euro.20.000,00=, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento, e spese. La vicenda aveva riguardato una video ripresa che aveva visto come protagonista inconsapevole il C. , avvicinato in una discoteca da una ragazza, complice della produzione televisiva, che lo aveva invitato ad uscire per recarsi all’interno della sua autovettura, dove lo aveva interpellato su comportamenti ed opinioni attinenti alla sfera sessuale ed all’uso dei contraccettivi, nonché circa la sua intenzione di avere rapporti sessuali senza precauzioni. La Corte di appello ha confermato che non risultava acquisito un valido consenso al trattamento dei dati personali ed ha condannato la società al risarcimento dei danni. La RTI ha proposto ricorso per cassazione con quattro mezzi corredati da memoria ex articolo 378 cod. proc. civ. C.U. ha replicato con controricorso. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ. CONSIDERATO CHE 1.1. Con il primo motivo - Violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 della legge numero 675 del 31 dicembre 1996, applicabile ratione temporis, essendo stato trasmesso il servizio in causa nel 2001, antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. numero 196/2003, e dell’articolo 2712 cod. civ. articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. - la ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che il consenso dovesse essere espresso in forma scritta ad substantiam, laddove - alla stregua della norma - la forma scritta rilevava solo a fini probatori, di guisa che l’assenza non incideva sulla validità dell’atto negoziale, ma spiegava efficacia solo sul piano processuale, limitando la possibilità di prova per testi ai sensi dell’articolo 2725 cod. civ. a sostegno invoca la formulazione dell’articolo 23 del d.lgs. numero 196/2003, che ha sostituito l’articolo 11 cit. Sulla scorta di tale premessa, afferma che nel caso di specie il consenso alla diffusione delle immagini era stato documentato da una videoregistrazione, dalla quale emergeva - a suo dire - la piena consapevolezza del C. circa il fatto di essere stato ripreso e la volontà di non opporsi alla diffusione del girato e sostiene l’equipollenza della documentazione del consenso mediante videoregistrazione a quello reso in forma scritta. 1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. individuato nel contegno tenuto nell’occasione della ripresa dal C. e nell’immediatezza con il omissis e l’operatore - a dire della ricorrente incompatibile con la volontà di opporsi alla diffusione dell’immagine. 1.3. Con il terzo motivo - Violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 della legge 22 aprile 1941, numero 633 del diritto d’autore articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. - la ricorrente sostiene che la Corte di appello ha errato anche perché il consenso all’utilizzazione dell’immagine può essere anche tacito e sostiene che, giacché l’immagine integra un dato personale, la legge sul diritto d’autore si pone come legge speciale relativa a questo specifico dato personale destinata a prevalere sulla legge numero 675/1996. 1.4. Con il quarto motivo - Violazione falsa applicazione degli artt. 2059, 2727 e 2729 cod. civ. articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto provato presuntivamente il danno non patrimoniale lamentato dal C. in relazione al pregiudizio rispetto al proprio rapporto sentimentale ed al pregiudizio sul luogo di lavoro, deducendo che questi non aveva provato i danni non patrimoniali lamentati. 2.1. I motivi primo e terzo possono essere trattati congiuntamente perché connessi e vanno respinti. 2.2.1. Innanzi tutto va affermato che la fattispecie in esame non è sussumibile nell’ambito di applicazione dell’articolo 96 della legge numero 633/1941, come prospettato nel terzo motivo - in quanto la lesione lamentata non involge il diritto all’immagine intesa come ritratto , disciplinato da detta norma e rispetto alla quale è ravvisabile anche la possibilità del consenso all’utilizzo anche implicito o tacito Cass 01/09/2008, numero 21995 . 2.2.2. La presente controversia, così come accertata dalla Corte di appello, senza contestazioni sul punto, verte infatti su una videoripresa, che ha caratteristiche complesse in quanto non è circoscritta alla mera riproduzione dell’immagine del C. , ma consiste nella registrazione, sia in video che in sonoro, di un incontro artatamente preordinato in specifiche circostanze di tempo e di luogo all’uscita di una discoteca, in un autovettura munita di sistemi di registrazione allo scopo di realizzazione uno programma televisivo, e delle risposte rese dall’inconsapevole C. alle domande poste da un soggetto provocatore su temi privati e sensibili afferenti anche alla sfera sessuale. 2.2.3. La Corte di appello, nell’esporre la complessiva ratio, ha rimarcato questi aspetti fattuali, puntualizzando che nel caso di specie ricorreva un trattamento di dati personali - statuizione, questa, non censurata - e, quindi ha confermato la decisione di primo grado concernente la necessità del consenso scritto, insistendo sulla necessità del consenso espresso e consapevole anche in merito ai limiti di tempo, luogo, scopo e forma della pubblicazione, alla luce della normativa applicata. 2.2.4. Ne consegue che il terzo motivo è inammissibile poiché invoca l’applicazione della disciplina del diritto d’autore, non pertinente alla fattispecie accertata che ricade sotto la tutela di dati personali. 2.3.1. Il primo motivo, concernente la forma del consenso, è infondato. 2.3.2. Secondo la disciplina della tutela dei dati personali, vigente ratione temporis, il trattamento dei dati personali richiede il consenso dell’interessato, che deve essere espresso in forma specifica, previa informativa, deve essere documentato articolo 11 della legge numero 675/96 e deve essere reso per iscritto con riferimento ai dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale articolo 22, legge cit. . 2.3.3. La Corte di appello ha dato corretta applicazione a dette disposizioni e la decisione risulta immune da vizi. 2.3.4. Va peraltro rimarcato che confligge con il dettato normativo la possibilità di ritenere acquisito il consenso in via implicita o per equipollenza, come propugnato dalla ricorrente. La società ha assunto che il consenso sarebbe stato prestato perché come evincibile dalla registrazione - dal contegno del C. si comprenderebbe che questi aveva riconosciuto i componenti del OMISSIS , compreso che era stato oggetto di una ripresa destinata ad essere trasmessa nello show ed espresso una valutazione positiva del servizio attraverso le battute formulate. La censura strutturata sulla non necessità ad substantiam della forma scritta del consenso e sull’idoneità della stessa videoregistrazione a fornire prova equipollente a quella scritta, non coglie la ratio decidendi espressa dalla Corte di appello ed è, sotto questo profilo, inammissibile. 2.3.5. Afferma la Corte di appello, dopo aver ricordato l’articolo 11, comma 3, cit. che il consenso, che non si limita ad una formalità, deve consentire di identificare i limiti di tempo, luogo, scopo e forma della pubblicazione con un evidente richiamo a quanto stabilito in tema di informazione dall’articolo 10, comma 1, lett. a e conclude che nel caso di specie il consenso da esprimersi nelle forme ora dette, è pacificamente mancato fol. 5 della sent. imp. . 2.3.6. È evidente dallo sviluppo argomentativo compiuto dalla Corte di appello, mediante il puntuale richiamo normativo, che, laddove parla di forme nelle quali il consenso deve esprimersi si riferisce, oltre che alla forma scritta richiesta per il trattamento dei dati sensibili, al complesso procedimento attraverso il quale si deve formare ed esprimere il consenso informato e ne ha escluso la ricorrenza nel caso si specie. Né tale conclusione è revocabile in dubbio dal peregrino assunto della ricorrente che, invertendo gli obblighi informativi, in buona sostanza assume che il C. avrebbe capito tutto da solo e lo avrebbe anche provato con il suo contegno. 3.1. Il secondo motivo è conseguentemente inammissibile. 3.2. Invero spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità Cass. numero 10330 del 01/07/2003 numero 25608 del 14/11/2013 . 3.3. La Corte di appello si è attenuta a questi principi ed ha motivato adeguatamente in merito alle circostanze ritenute rilevanti alla luce della normativa applicata per accertare la ricorrenza di un consenso conforme alla previsione normativa applicabile, rispetto alla quale la condotta del C. anche ove se ne volesse accreditare l’interpretazione sollecitata dalla ricorrente - non risulta decisiva posto che il contegno di quest’ultimo non poteva assorbire o escludere l’obbligo di informazione gravante sugli autori del trattamento, in mancanza del quale il consenso non poteva dirsi validamente espresso. 4.1. Il quarto motivo è infondato. 4.2. Invero, la decisione risulta conforme al condiviso principio già espresso da questa Corte secondo il quale, in tema di lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali, deve essere riconosciuto il danno consistente nella sofferenza morale patita da un soggetto in seguito alla diffusione senza consenso, nel corso di una trasmissione televisiva, del proprio nominativo, della propria immagine e di dichiarazioni rese in un contesto indotto dalla presenza di un soggetto provocatore, in un contesto totalmente estraneo a quello strettamente personale e professionale Cass. 13/02/2018, numero 3426 . 4.3. Nel caso la Corte territoriale ha riscontrato il danno, ravvisando il pregiudizio subito dal C. al suo rapporto sentimentale e sul luogo di lavoro, essendo stato oggetto di scherno da parte di colleghi e superiori per le dichiarazioni rese nelle circostanze oggetto della videoripresa. 5. Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Si dà atto, - ai sensi 13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 numero 115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. - Rigetta il ricorso - Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00=, comprensive di esborsi, oltre spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge - Dà atto, ai sensi 13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 numero 115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.