Valutazione della responsabilità professionale del commercialista nel caso di ricorso tardivamente presentato

Non si deduce, sulla base di una valutazione prognostica dei ricorsi, la responsabilità professionale del commercialista per aver negligentemente eseguito l’incarico richiesto dai ricorrenti di proporre opposizione agli avvisi di accertamento, dinanzi alla competente Commissione Tributaria, notificati loro dall’Agenzia delle Entrate per il pagamento di un’ingente somma di denaro.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 13769/18 depositata il 31 maggio. Il caso. I contribuenti citavano in giudizio il commercialista, invocando la sua responsabilità professionale per aver tardivamente presentato, dinanzi alla Commissione Tributaria competente, opposizione agli avvisi di accertamento che gli erano stati notificati dal Fisco per il pagamento di una cospicua somma di denaro. Sostenevano i ricorrenti che i ricorsi erano stati tardivamente proposti e chiedevano la condanna del professionista al risarcimento dei danni patrimoniali e non, da loro subiti. Il Tribunale di Brindisi respingeva la domanda con riferimento al danno patrimoniale dedotto, accogliendola in relazione a quello non patrimoniale. La Corte d’Appello di Lecce rigettava l’impugnazione presentata dai ricorrenti, i quali ricorrono per la cassazione della sentenza. Il ruolo dei precedenti e il giudizio prognostico. Con riferimento all’omesso esame dei fatti decisivi per il giudizio, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale si era limitata a esaminare le pronunce della Commissione Provinciale adita, espletate in ordine ad altri due ricorsi precedenti, affidati ad un diverso professionista, ma che avevano avuto esito per loro positivo è però la stessa Corte d’Appello ad affermare che i suddetti precedenti non fornivano elementi convincenti per formulare un giudizio prognostico attendibile rispetto al caso di specie. Infatti la Corte leccese affermava che, pur essendoci nella fattispecie la negligenza del professionista, una valutazione prognostica dei ricorsi non consentiva di ritenere che sarebbero stati accolti. Invero, oltre a mancare la certezza dell’uniformità dell’orientamento delle varie sezioni della Commissione Tributaria, i lineamenti delle violazioni contestate in questa sede erano differenti. Tutto ciò confermato dalla Suprema Corte, la quale sottolinea che nel ricorso oggetto della controversia in esame è stato riportato solo un’insignificante e incompleto stralcio del ricorso alla Commissione Tributaria, non andando così a soddisfare il requisito disposto dall’art. 366, n. 6, c.p.c La tempestività dei ricorsi. In aggiunta a quanto detto, i ricorrenti sostenevano che se il commercialista non avesse depositato tardivamente i ricorsi, avrebbe avuto la possibilità di presentare motivi aggiunti a sostegno delle proprie ragioni. Tesi questa non accolta dagli Ermellini, poiché i contribuenti chiedono in questo luogo una rivalutazione del merito del giudizio prognostico formulato in secondo grado, non consentita, in quanto volta a prospettare un argomento nuovo che non può trovare ingresso in questa sede. Per queste ragioni,la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 marzo – 31 maggio 2018,n. 13769 Presidente Travaglino – Relatore Di Floro Fatti di causa 1.- Con atto di citazione notificato il 24 giugno 1996, la Banca Popolare di Napoli s.p.a, all’epoca in amministrazione straordinaria, poi incorporata nella Banca Popolare di Ancona, citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli alcuni tra coloro che in anni precedenti avevano ricoperto cariche di responsabilità nella società tra gli altri, gli ex direttori generali P.A. e D.C.A. di cui è erede M.L. , gli ex amministratori L.A. di cui è erede F.A. e B.I. e l’ex sindaco Pi.Ag. , e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni causati da mala gestio nello svolgimento dei loro incarichi, all’origine della perdita di finanziamenti divenuti irrecuperabili. Le contestazioni, che traggono spunto da una verifica ispettiva della Banca d’Italia, consistono, con riguardo agli amministratori, nell’avere concesso affidamenti a beneficio di imprese prive di capacità di rimborso o insolventi, di avere fornito informazioni inattendibili alle Autorità di vigilanza e favorito alcuni gruppi imprenditoriali con riguardo ai direttori generali, di avere prestato scarsa attenzione al merito creditizio dei soggetti sovvenzionati e di non essersi attivati per rimuovere le carenze organizzative che incidevano negativamente sulla gestione dei conti debitori e creditori. 2.- La Corte d’appello di Napoli, con sentenza non definitiva del 14 giugno 2010, per quanto ancora interessa, ha ritenuto carenti di specificità le censure rivolte dall’appellante incidentale P. alla sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua eccezione di difetto di autorizzazione della Banca d’Italia a proporre l’azione di responsabilità. 3.- Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione anche il P. , dichiarato inammissibile in sede di legittimità con sentenza della S.C. n. 7907 del 2012, la quale ha rilevato che ad essere impugnata era una sentenza che aveva investito soltanto questioni pregiudiziali di rito o, al più, preliminari di merito, quindi non impugnabile direttamente in cassazione ex art. 360, comma 3, c.p.c., avendo la Corte di merito disposto la prosecuzione del processo senza pronunciarsi sul merito della domanda di risarcimento danni e senza definire neppure parzialmente il giudizio. 4.- Nel prosieguo del giudizio, istruito con l’espletamento di una c.t.u., la causa è stata decisa dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 12 luglio 2013, che ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva di L.T. , erroneamente evocata nel giudizio di appello quale erede di D.C.A. , ed ha rigettato le domande delle parti, confermando l’impugnata sentenza del Tribunale. 5.- La Corte, per alcune operazioni riguardanti le posizioni Villa La Motta spa e SAIF spa , ha escluso la mala gestio, ritenendole espressione di una motivata e deliberata assunzione di rischio, tra l’altro contenuto dal rilascio di garanzie rivelatesi solo successivamente insufficienti, alla luce del principio secondo cui non si possono imputare agli amministratori le conseguenze dannose di scelte imprenditoriali di tipo discrezionale quando, come nella specie, i rischi connessi siano stati opportunamente e preventivamente apprezzati. Per altre operazioni riguardanti le posizioni della Madima Immobiliare srl e delle società dei Gruppi Rivelli e Catemario la Corte ha ritenuto la domanda risarcitoria non provata quanto all’esistenza e all’ammontare del danno, non avendo la banca attrice, sulla quale gravava il relativo onere probatorio anche in ragione del principio di vicinanza della prova, offerto prova che i crediti non erano stati recuperati e non potendo detto onere dirsi assolto con il mero riferimento al contenuto della relazione ispettiva della Banca d’Italia, la cui fede privilegiata copriva solo gli accertamenti compiuti ma non le valutazioni discrezionali ivi contenute, tra l’altro non documentate, inattuali e smentite in parte dalle conclusioni della c.t.u. quindi non gravava sui convenuti l’onere di dimostrare che le azioni recuperatorie della banca fossero andate a buon fine, e in che misura, al fine di paralizzare l’azione risarcitoria della banca. 6.- Avverso questa sentenza definitiva hanno proposto separati ricorsi per cassazione la L. in via principale e il P. in via incidentale la Banca Popolare di Ancona ha proposto controricorso e ricorso incidentale, resistito da P. , Pi. e F. erede di L.A. quest’ultima ha proposto ricorso incidentale, cui ha resistito la Banca Popolare di Ancona. Ragioni della decisione 1.- Preliminarmente, dev’essere disposta la riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza, a norma dell’art. 335 c.p.c 2.- La L. ha presentato atto di rinuncia al ricorso che, sebbene non notificato alla Banca Popolare di Ancona, è indicativo del sopravvenuto venir meno dell’interesse al ricorso, che è quindi inammissibile. 3.- P. ha formulato quattro motivi di ricorso incidentale. 3.1.- Con il primo e secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2393 ss., 2396 ss. c.c., 72 ss. T.u.b. d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385 , omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla questione della mancanza di autorizzazione della Banca d’Italia e dell’assemblea dei soci della Banca Popolare di Napoli a promuovere l’azione risarcitoria da qui la improcedibilità della domanda nei suoi confronti. Entrambi i motivi hanno ad oggetto una questione che la sentenza impugnata non ha affrontato, quindi implicitamente dichiarata assorbita, e non censurano la ratio decidendi della sentenza d’appello non definitiva del 2010 che aveva giudicato inammissibili perché generici i relativi motivi di gravame proposti da P. . Essi sono inammissibili. 3.2.- Con il terzo motivo il P. ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. testo previgente , nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la sentenza impugnata compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, nonostante la banca fosse soccombente, tenuto conto che i giudici di merito avevano escluso l’esistenza di proprie responsabilità e dei danni lamentati dalla banca. Un analogo motivo è formulato in via incidentale da F.A. . Il motivo è inammissibile. La decisione di compensare in tutto o in parte le spese di lite, nel regime processuale anteriore alle innovazioni introdotte a partire dall’art. 2, comma 1, lett. a , della legge n. 263 del 2005 applicabile ratione temporis, può essere adottata per giusti motivi , cioè sulla base di un supporto motivazionale che può anche desumersi dal complesso delle considerazioni giuridiche o di fatto enunciate a sostegno della decisione di merito o di rito Cass. n. 1997 del 2015 . Nella specie, la Corte d’appello ha giustificato la compensazione in ragione della particolare complessità del giudizio e dell’avvenuto accertamento dell’esistenza di atti di mala gestio da parte di alcuni convenuti. Si tratta di un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione, tanto più che, alla luce del novellato art. 360 n. 5 c.p.c., l’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 8054/2014 . 3.3.- Con il quarto motivo il P. ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere rigettato la domanda risarcitoria per responsabilità aggravata, che invece sarebbe fondata, avendo la banca agito con malafede e colpa grave. Il motivo è inammissibile. Ai fini della condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., l’accertamento di avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero del difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo il controllo di sufficienza della motivazione per i soli ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 Cass. n. 19298/2016 . Nella specie, con un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, la Corte di merito ha escluso l’esistenza dei predetti requisiti, tenuto conto dei contenuti del rapporto ispettivo della Banca d’Italia e delle non lineari procedure inerenti le posizioni di fido contestate. 4.- La Banca Popolare di Ancona ha formulato tre motivi di ricorso incidentale. 4.1.- Con il primo motivo ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 193 ss. c.p.c., 2697 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo, concernente la valenza probatoria della relazione ispettiva della Banca d’Italia, le conseguenze in tema di riparto dell’onere della prova e i vizi della c.t.u. Si rimprovera alla sentenza impugnata di avere contraddittoriamente attribuito valore probatorio privilegiato al rapporto ispettivo della Banca d’Italia e poi disposto una c.t.u. allo scopo di verificare l’attendibilità del medesimo rapporto la c.t.u. sarebbe inaffidabile, incompleta e affetta da gravi omissioni, per non avere esaminato le posizioni dei convenuti D.C.A. suo erede M.L. e B.I. , sulla base dell’affermazione non vera che il primo avrebbe transatto la causa con la banca. Il motivo è inammissibile nella parte in cui il ricorrente vorrebbe una rivisitazione degli accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito sulla base della c.t.u. che ha esaminato le pratiche dei finanziamenti alla luce della documentazione prodotta dalle parti. Le doglianze espresse nel motivo non considerano che, in seguito alla modifica dell’art. 360 n. 5 c.p.c. come interpretato da Cass., sez. un., n. 8053 del 2014 , il controllo di legittimità sulla motivazione è ormai escluso in presenza di motivazione idonea - qual è quella espressa nella sentenza impugnata - a rivelare la ratio decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità sulla motivazione. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza impugnata ha esaminato la posizione di entrambi i convenuti suindicati D.C. e B. , né è chiaro come l’asserita mancata valutazione delle loro posizioni avrebbe inficiato il risultato finale dell’accertamento, alla luce della incensurata ratio decidendi circa la mancata prova del danno subito dalla banca. Il motivo è infondato sulla questione del valore delle risultanze degli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia, essendo condivisibile quanto rilevato dalla Corte di merito nella sentenza non definitiva del 2010, secondo la quale la natura del processo verbale delle ispezioni eseguite dalla Banca d’Italia . non comporta che la funzione certificatoria sia estesa anche alle valutazioni espresse dagli organi ispettivi che, per loro stessa natura, hanno margini più o meno ampi di discrezionalità , sicché non può sostenersi che le risultanze siano incontrovertibili e provviste di una presunzione assoluta di verità che non ammette prova contraria . In effetti, gli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia nell’ambito dell’attività di vigilanza sul sistema bancario, a norma degli artt. 54 t.u.b. e 10 t.u.f. d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 , fanno piena prova ex art. 2700 c.c., fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione ispettiva come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonché con riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni ivi contenute né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti che si assume veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche. Pertanto, le valutazioni e le ipotesi conclusive contenute nelle relazioni ispettive della Banca d’Italia costituiscono elementi di convincimento con i quali il giudice deve confrontarsi criticamente, e tuttavia, sebbene provengano da una fonte autorevole, non possono essere recepite in modo aprioristico e possono essere contraddette con strumenti istruttori adeguati, quale è, ad esempio, la c.t.u. svolta nel contraddittorio delle parti. Le ulteriori questioni, alle quali si allude, della produzione del foglio allegato al verbale di precisazione delle conclusioni e dell’onere della prova delle perdite lamentate dalla banca, saranno esaminate in risposta ai successivi motivi del medesimo ricorso. 4.2.- Con il secondo motivo la Banca Popolare di Ancona ha denunciato violazione e falsa applicazione dei suindicati parametri normativi, per avere illegittimamente ripartito tra le parti l’onere della prova, poiché, avendo essa dichiarato sulla base del menzionato rapporto ispettivo di avere subito perdite ed avendo i convenuti eccepito l’avvenuto recupero dei crediti e, quindi, l’assenza di perdite, era onere dei medesimi convenuti dimostrare questa circostanza, dovendosi, in caso contrario, considerare provata la perdita dichiarata e cioè il danno per il quale essa agiva in giudizio. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale, spetta al danneggiato fornire la prova dell’esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore infatti, l’art. 1218 c.c., che pone una presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, non modifica l’onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l’accertamento dell’inadempimento, allorché si tratti di accertare l’esistenza del danno Cass. n. 21140 del 2007 . Tale danno, nella specie costituito dalle perdite subite dalla banca, e la sua riconducibilità alla mala gestio imputata ai convenuti ex contractu, dovevano essere dimostrati da chi ha agito in giudizio per fare accertare la responsabilità nei loro confronti. Solo successivamente, cioè dopo che tale prova fosse stata resa, sarebbe stato onere dei medesimi convenuti di dimostrare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, cioè l’avvenuto recupero dei crediti e, in definitiva, l’assenza delle perdite lamentate. Pertanto, pur deducendo la violazione dell’art. 2697 c.c., la censura non consiste nell’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, ma si risolve in una impropria critica dell’esito valutativo delle risultanze probatorie Cass., sez. un. n. 16598/2016 . Analogamente, una violazione dell’art. 115 c.p.c. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso - che non ricorre nella fattispecie - in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio Cass., sez. un., n. 11892/2016 . 4.3.- Con il terzo motivo è denunciata nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 189, 190, 194, secondo comma, c.p.c. e vizio motivazionale su un punto decisivo e controverso, per avere la sentenza impugnata dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, la produzione di un foglio allegato al verbale di precisazione delle conclusioni che conteneva contestazioni all’operato dei consulenti tecnici d’ufficio, in asserita contraddizione con una precedente ordinanza collegiale con la quale la medesima Corte aveva osservato che la banca, seppur decaduta dalla nomina dei consulenti di parte, poteva contestare la consulenza tramite i propri difensori e partecipare alle riunioni con il c.t.u Il motivo è inammissibile. È noto che la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata Cass. n. 19759/2017, n. 26157/2014 . Nella specie, nel motivo non è illustrata la decisività dell’error in procedendo denunciato che, per come è prospettato, è esclusa, avendo la banca potuto esercitare anche nelle comparse conclusionali il diritto di difesa rispetto ai profili tecnici della controversia. 5.- In conclusione, i ricorsi di L. , P. e F. sono inammissibili il ricorso della Banca Popolare di Ancona è rigettato. 6.- Le spese del presente giudizio sono interamente compensate, in considerazione dell’indubbia complessità delle questioni trattate. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibili i ricorsi di L. , P. e F. rigetta il ricorso della Banca compensa le spese del presente giudizio. Doppio contributo a carico dei ricorrenti, come per legge.