Risarcimento del danno patrimoniale futuro per le lesioni subite dal neonato durante il parto

In tema di risarcimento del danno alla persona, il danno patrimoniale è risarcibile soltanto qualora sia riscontrabile l’eliminazione o la riduzione dalla capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della cenestesi lavorativa va liquidato in modo onnicomprensivo come danno allo salute.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12572/18, depositata il 22 maggio. Il caso. Il Tribunale di Livorno accoglieva la domanda proposta da due genitori, in proprio e quali esercenti potestà sulla figlia minore, per l’ottenimento del risarcimento dei danni patita dalla neonata a seguito della condotta dei sanitari in occasione della nascita della figlia. La Corte d’Appello accoglieva parzialmente il gravame proposto dai danneggiati, rigettando la richiesta di riconoscimento del danno patrimoniale per la perdita di capacità lavorativa della bambina. La sentenza di seconde cure viene impugnata con ricorso in Cassazione. Danno alla salute e danno patrimoniale. Il risarcimento del danno patrimoniale futuro, in conseguenza del danno alla salute subito dal neonato durante il parto, richiede necessariamente una valutazione prognostica riservata al giudice di merito. Nel contesto di tale valutazione, il giudice può riconoscere il danno patrimoniale laddove possa ragionevolmente ritenersi probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti percepito in assenza dell’evento dannoso. La prognosi si fonderà in tal caso sugli studi e sulle inclinazioni manifestate dalla vittima, nonché sulle condizioni economico-sociali della famiglia, fermo restando che il risarcimento da perdita della capacità lavorativa non discende in automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente. Nel caso di specie, trattandosi di un danno subito alla nascita, afferma la Corte che per ovvie ragioni non può parlarsi di lesione di una capacità lavorativa specifica, ma solo di lesione della capacità lavorativa generica lesione che, certamente, potrà apportare in futuro una diminuzione del reddito o, almeno, un incremento della fatica necessaria per procurarselo . Sottolineando la genericità del ricorso, posto che nulla viene dedotto in ordine alla situazione familiare e al contesto sociale dal quale avrebbero potuto ragionevolmente trarsi previsioni sulle future possibilità di guadagno della bimba, la Corte applica il principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione dalla capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della cenestesi lavorativa, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa c.d. perdita di chances , risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, va liquidato in modo onnicomprensivo come danno allo salute . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 7 marzo – 22 maggio 2018, n. 12572 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. L.U. e L.M. , in proprio e quali esercenti la potestà sulla loro figlia minore L.R. , convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, la USL n. X di Livorno per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti dalla loro figlia, e in proprio dagli attori, a seguito della condotta inadeguata tenuta dai sanitari in occasione della nascita della predetta figlia. A sostegno della domanda esposero che la piccola aveva riportato una distocia alla spalla destra, con conseguente invalidità nella misura del 40 per cento. Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, espletata una c.t.u., accolse la domanda e, riconosciuta la sussistenza di un danno biologico nella misura del 25 per cento, condannò la convenuta al risarcimento dei danni liquidati in complessivi Euro 192.475, con il carico della metà delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata impugnata dai suddetti genitori e la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 18 maggio 2016, in parziale accoglimento del gravame, ha riconosciuto ai danneggiati l’ulteriore somma di Euro 16.120 con interessi, condannando la USL al pagamento della metà delle ulteriori spese del grado. Ai fini che interessano in questa sede, la Corte fiorentina ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, già respinta dal Tribunale, sul rilievo che gli appellanti non avevano contestato in modo argomentato le conclusioni del giudice di primo grado secondo cui i postumi permanenti della piccola R. non avrebbero determinato una diminuzione della sua capacità produttiva. Il danno avrebbe comportato solo, in caso di svolgimento di lavori manuali, una maggiore usura e sofferenza, da risarcire come ulteriore componente del danno biologico. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze propongono ricorso L.U. e L.M. , in proprio e quali rappresentanti della figlia minore R. , con atto affidato ad un solo motivo. Resiste la USL Toscana Nord Ovest con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e i ricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., per non avere la sentenza riconosciuto a L.R. il risarcimento del danno patrimoniale per lesione della capacità lavorativa generica in conseguenza della lesione macropermanente sofferta in occasione della nascita, determinata nella percentuale del 25 per cento. 1.1. Il motivo non è fondato. La Corte fiorentina, recependo e facendo proprie le conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado, ha affermato che i postumi permanenti riscontrati a carico della minore non avrebbero presumibilmente determinato, in futuro, una diminuzione della capacità produttiva della medesima, ma solo, per lei, una maggiore usura e patimento nello svolgimento del suo lavoro, ove questo avesse dovuto essere di natura manuale . A fronte di tale valutazione i ricorrenti richiamano la giurisprudenza di questa Corte e sostengono che il grado elevato di percentuale di danno biologico avrebbe dovuto condurre ad un separato risarcimento del danno patrimoniale, non essendo possibile ricomprendere tale voce di danno nel danno biologico. Osserva il Collegio che il risarcimento del danno patrimoniale futuro conseguente al danno alla salute subito dal minore nel momento della nascita richiede necessariamente una valutazione prognostica che è affidata al giudice di merito. Il danno patrimoniale potrà essere risarcito allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio. La relativa prognosi deve avvenire, in primo luogo, in base agli studi compiuti ed alle inclinazioni manifestate dalla vittima ed, in secondo luogo, sulla scorta delle condizioni economico-sociali della famiglia sentenza 30 settembre 2008, n. 24331 e, comunque, il diritto al risarcimento non può discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente sentenza 27 aprile 2010, n. 10074 . 1.2. I ricorrenti hanno richiamato, a sostegno della loro tesi, alcune pronunce di questa Corte che, in riferimento ad una percentuale di invalidità in misura pari o molto vicina a quella odierna 25 per cento , hanno riconosciuto comunque il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, rilevando la sussistenza di un danno in proiezione futura derivante dalla perdita di chance v. le sentenze 12 giugno 2015, n. 12211, 24 marzo 2016, n. 5880, nonché le ordinanze 14 novembre 2017, n. 26850, e 31 gennaio 2018, n. 2348 . Questi provvedimenti hanno stabilito, fra l’altro, che l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue , danno che può essere liquidato in via equitativa così l’ordinanza n. 26850 cit. . Nel caso di specie, però, trattandosi di una bambina che ha subito il danno alla nascita, per ovvie ragioni non può parlarsi di lesione di una capacità lavorativa specifica, ma solo di lesione della capacità lavorativa generica lesione che, certamente, potrà apportare in futuro una diminuzione del reddito o, almeno, un incremento della fatica necessaria per procurarselo. Tuttavia il ricorso, a fronte della precisa motivazione della Corte d’appello, pecca di evidente genericità. Esso, infatti, nulla dice in ordine alla situazione familiare della bambina, al contesto in cui la stessa vive e a quelle che possono essere, ragionevolmente, le previsioni della sua vita futura. Come la sentenza impugnata ha accertato, infatti, solo in caso di svolgimento di lavori manuali tale invalidità potrà avere delle ripercussioni sulla capacità di produrre reddito per cui, nell’assenza di indicazioni utili nel ricorso, resta valido il ragionamento del giudice di merito che comunque, sia pure facendo riferimento alla categoria concettuale del danno biologico anziché a quella del danno patrimoniale, ha incrementato la liquidazione proprio in considerazione di tale prognostica valutazione sul futuro lavorativo della minore. È evidente, infatti, che, in assenza di indicatori specifici da parte dei ricorrenti ed in presenza di un incremento del risarcimento, il problema dell’omessa liquidazione del danno patrimoniale diventa, in ultima analisi, soltanto un problema nominalistico, senza alcuna effettiva lesione del diritto dei familiari e della bambina. Trova applicazione in questo caso, pertanto, in considerazione della particolarità della vicenda in esame, la giurisprudenza secondo cui, in tema di risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della cenestesi lavorativa, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa c.d. perdita di chance , risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, va liquidato in modo onnicomprensivo come danno alla salute sentenza 24 marzo 2004, n. 5840, e ordinanza 9 ottobre 2015, n. 20312 . 2. Il ricorso, pertanto, è rigettato. In considerazione, peraltro, della delicatezza del caso e della complessità del problema affrontato, la Corte ritiene di dover compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione. Sussistono tuttavia le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.