Danni causati da un cane randagio: la responsabilità del Comune deve essere specificamente dimostrata

In caso di danni provocati da animali randagi, il danneggiato deve specificamente dimostrare che la cattura e la custodia di quello specifico animale che ha provocato il danno era possibile ed esigibile in concreto da parte della pubblica amministrazione competente e che l’omissione di tali condotte sia riconducibile ad un comportamento colposo dell’ente stesso.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11591/18, depositata il 14 maggio. Il caso. Il Giudice di Pace, adito da un automobilista che chiedeva al Comune e all’Asl competente il risarcimento dei danni subiti a causa dell’attraversamento improvviso di un cane randagio, dichiarava il difetto di legittimazione passiva dell’amministrazione comunale e rigettava la domanda per difetto di prova circa la dinamica del sinistro. Il soccombente proponeva appello ma il Tribunale rigettava il gravame. La questione giunge dunque all’attenzione della Suprema Corte. Responsabilità dell’ente e onere della prova. Il Collegio coglie l’occasione per ricordare che l’affermazione di una responsabilità ex art. 2043 c.c. dell’ente richiede la precisa individuazione e contestazione del comportamento colposo ad esso rimproverabile. Tale responsabilità non può essere riconosciuta sulla base di un criterio oggettivo, consistente nell’individuazione da parte della legge nazionale e regionale di un generale compito di controllo e gestione del randagismo in capo a detto ente. È il danneggiato che deve dimostrare la sussistenza ed i contenuti della condotta obbligatoria esigibile dalla controparte, oltre alla relativa omissione, nonché il nesso causale tra l’evento dannoso e la mancata osservanza di tale condotta. In altre parole, precisa la Corte, applicando i principi generali in tema di responsabilità per colpa di cui all’art. 2043 c.c., non è sufficiente – per affermare la responsabilità in caso di danni provocati da un animale randagio – individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi e alla custodia degli stessi . Non può infatti essere materialmente esigibile dalla P.A. un controllo del territorio tanto capillare e tempestivo da impedire in termini assoluti la possibilità che un animale randagio si trovi effettivamente sul territorio. Condividendo dunque l’accertamento operato dal giudice di merito in relazione alla carenza nella dimostrazione della specifica condotta colposa omissiva del Comune e dell’Asl citati in giudizio, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 22 novembre 2017 – 14 maggio 2018, n. 11591 Presidente Amendola – Relatore Positano Fatto e diritto Rilevato che C.R. deduceva, davanti al Giudice di Pace di Capua, che in data omissis la propria autovettura Mercedes aveva subito ingenti danni a causa dell’attraversamento improvviso da parte di un cane randagio della strada percorsa dal veicolo. Per tale motivo evocava in giudizio la Asl di Caserta ed il Comune di Vitulazio chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni. L’ASL veniva autorizzata a chiamare in causa la compagnia Fondiaria Sai Assicurazioni S.p.A. Con sentenza del 25 maggio 2008 il Giudice di Pace dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Comune dl Vitulazio e rigettava la domanda, per difetto di prova circa la dinamica del sinistro avverso tale sentenza C. proponeva appello per ottenere la condanna dei convenuti, i quali chiedevano la conferma della impugnata sentenza Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 29 aprile 2016 rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite nei confronti dei due enti pubblici, compensando le spese nei rapporti tra il chiamante e la compagnia di assicurazione contro la decisione del Tribunale di Santa Maria Vetere propone ricorso per cessazione C.R. affidandosi a tre motivi. Considerato che con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 2043 c.c. e dell’articolo 40 del codice penale, oltreché degli articoli 2697 e 2700 c.c., nonché dell’articolo 115 c.p.c. avendo il Tribunale operato una errata valutazione delle prove. In particolare, il verbale redatto dai carabinieri conteneva una ulteriore relazione di servizio proveniente dalla ASL in cui si attestava, che i veterinari intervenuti nell’immediatezza provvidero a svincolare materialmente il cane randagio dall’autovettura e che vi era una fuoriuscita di liquidi dal radiatore, consentendo di desumere che l’auto, di ultima generazione, si era arrestata proprio a causa dell’impatto con l’animale il primo motivo è inammissibile per totale difetto di autosufficienza poiché interamente fondato sul contenuto del verbale redatto dai carabinieri e sull’ulteriore relazione che sarebbe stata redatta dal personale della ASL di Caserta, al fine di sostenere, sulla base dei dati analiticamente ivi descritti, che sarebbe stato possibile desumere la posizione esatta del veicolo, il contestuale impatto con il cane e tutti gli altri elementi ritenuti non provati dal Tribunale. Tale documento, però, non è trascritto, allegato o diversamente individuato con i secondo motivo deduce la violazione degli articoli 2043 c.c., 115 e 116 c.p.c. e dell’articolo 111 Cost, nonché vizio di motivazione, rilevando che la presenza e l’attraversamento della strada da parte del cane risultavano acclarati sulla base delle relazioni di servizio descritte al punto precedente pertanto il Tribunale, con motivazione contraddittoria si discosterebbe dalla motivazione della Corte di Cassazione, utilizzata - sino a quel momento - come punto di riferimento, pervenendo a risultati opposti rispetto a quelli prospettati dalla Corte di legittimità il motivo presenta profili di inammissibilità poiché la censura non consiste in una contestazione riguardo alla errata applicazione delle norme invocate, ma in un di motivazione, non consentito ai sensi del nuovo disposto dell’articolo 360, n. 5, c.p.c. il motivo è, comunque, infondato, poiché ai fini dell’affermazione della responsabilità degli enti evocati in giudizio è necessaria la precisa individuazione d un concreto comportamento colposo ascrivibile agli stessi. Ciò implica che non è possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, in mancanza di puntuale allegazione e prova. Tale onere spetta all’attore danneggiato, in base alle regole generali e consiste nella allegazione e successiva dimostrazione della condotta obbligatoria esigibile dall’ente nel caso di specie, omessa , e della riconducibilita dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria e ciò in base ai principi sulla causalità omissiva. Questo equivale a dire che, applicandosi i principi generali in tema di responsabilità per colpa di cui all’art. 2043 c.c., non è sufficiente - per affermarne la responsabilità in caso di danni provocati da un animale randagio - individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi ed alla custodia degli stessi, non essendo materialmente esigibile - anche in considerazione della possibilità di spostamento di tali animali - un controllo del territorio così penetrante e diffuso, ed uno svolgimento dell’attività di cattura così puntuale e tempestiva da impedire del tutto che possano comunque trovarsi sul territorio in un determinato momento degli animali randagi. Occorre dunque che sia specificamente allegato e provato dall’attore che, nel caso di specie, la cattura e la custodia dello specifico animale randagio che provocato il danno era nella specie possibile ed esigibile, e che l’omissione di tali condotte sia derivata da un comportamento colposo dell’ente preposto ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e c’è nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura . Diversamente, si finirebbe per applicare ad una fattispecie certamente regolata dai principi generali della responsabilità ordinaria per colpa di cui all’art. 2043 c.c., principi analoghi o addirittura più rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c. nella specie, l’accertamento della specifica condotta colposa omissiva del Comune o della ASL e del rapporto di causalità tra la suddetta condotta colposa omissiva e l’evento dannoso, risulta operato dal giudice del merito. Il Tribunale, dopo avere evidenziato l’obbligo astrattamente gravante sugli enti convenuti di vigilare sul territorio, ha rilevato l’assenza di elementi di prova, neppure prospettati in questa sede, riguardo alla presenza del cane nella zona nei giorni precedenti ovvero all’esistenza di eventuali segnalazioni inviate al Comune in relazione alla presenza dell’animale nel territorio comunale, in modo che quest’ultimo potesse richiedere l’intervento del servizio di cattura da parte della ASL. Per il resto, non risulta nemmeno dimostrata la dinamica non potendosi fare riferimento al contenuto delle relazioni indicate nel presente motivo, per le ragioni già espresse con riferimento al motivo precedente, in ordire al totale difetto di autosufficienza con il terzo motivo deduce la violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione alla pronuncia sulle spese in quanto i convenuti si erano limitati a chiedere il rigetto dell’appello e non anche la condanna alle spese. Pertanto, a fronte di spese compensate in primo grado e in assenza di appello incidentale, il Tribunale non avrebbe potuto disporre la condanna al pagamento delle spese di lite il motivo è fondato. Come emerge dall’esame della decisione di appello avverso a decisione del Giudice di Pace che aveva, tra l’altro, compensato le spese di pur rigettando la domanda dell’attore, non è stato proposto appello incidentale. Conseguentemente il Tribunale non avrebbe potuto provvedere sulla regolamentazione delle spese di primo grado. La decisione va cassata sul punto e, decidendo nel merito, deve essere esclusa dal dispositivo della sentenza impugnata la condanna del odierno ricorrente al pagamento delle spese di primo grado che, conseguentemente, restano compensate ne consegue che devono essere dichiarati rigettati il primo e secondo motivo, il terzo motivo deve essere accolto con conseguente eliminazione della pronuncia sulle spese di primo grado le spese relative al giudizio di appello vanno determinate nella misura già liquidata nella sentenza di appello Euro 1,620,00 oltre rimborso di spese forfettarie, IVA e CPA come per legge . Nulla per le spese relative al giudizio di legittimità non avendo gli intimati espletato attività difensiva in questa sede. P.Q.M. Rigetta il primo e secondo motivo accoglie il terzo motivo e decidendo nel merito elimina a condanna dell’appellante C. al pagamento delle spese di lite di primo grado liquida quelle di secondo grado nella misura già indicata nella sentenza di appello nulla per le spese del giudizio di legittimità.