Evidente la pericolosità del marciapiede: niente risarcimento per la caduta

Nessun addebito nei confronti del Comune. I giudici ritengono centrale il comportamento incauto tenuto dalla donna, che avrebbe dovuto rendersi conto delle precarie condizioni del tratto di marciapiede su cui stava camminando.

Marciapiede ‘traditore’ per una donna, che conclude la propria passeggiata lungo la strada di un paese nel Lazio con una brutta caduta. A causarla una pavimentazione mal sistemata, resa ancor più pericolosa dalla mancanza di due mattonelle. Ciò nonostante, il Comune riesce ad evitare la condanna. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, la disavventura è stata dovuta soprattutto alla disattenzione della donna, che avrebbe dovuto rendersi conto delle precarie condizioni del marciapiede Cassazione, ordinanza n. 10938/18, Sezione Sesta Civile, depositata l’8 maggio . Condotta. Contesto della vicenda è il territorio di un Comune della provincia di Roma. Scenario del fattaccio è un marciapiede del paese lì una donna finisce rovinosamente a terra, riportando lesioni fisiche. A suo dire, la disavventura è dovuta al marciapiede comunale , caratterizzato da alcune disconnessioni della pavimentazione e dalla mancanza di due mattonelle . Consequenziale è la citazione in giudizio del Comune, col chiaro obiettivo di ottenere un adeguato risarcimento. L’ipotesi di passare all’incasso nei confronti dell’ente locale viene però ritenuta poco plausibile dai giudici, prima in Tribunale, poi in Corte d’Appello e infine in Cassazione. Decisiva è la valutazione del comportamento tenuto dalla donna, che, secondo i Giudici, avrebbe potuto rendersi conto facilmente del pericolo costituito dalle condizioni precarie del marciapiede. In sostanza, la condotta incauta della donna è sufficiente per escludere ogni responsabilità del Comune.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 30 ottobre 2017 – 8 maggio 2018, n. 10938 Presidente Amendola – Relatore D’Arrigo Ritenuto Mi. De Mi. ha convenuto in giudizio il Comune di Anzio deducendo di essere caduta per terra mentre percorreva un tratto di marciapiede comunale a causa di alcune disconnessioni della pavimentazione e chiedendo il ristoro del danno subito. Nel contradditorio delle parti, il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Anzio, ha rigettato la domanda, compensando le spese di lite. La De Mi. ha quindi adito la Corte d'appello di Roma che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l'impugnazione condannando l'appellante alle spese del grado. Tale decisione è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte della De Michele per due motivi. Il Comune di Anzio ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 380-bis cod. proc. civ. come modificato dal comma 1, lett. e , dell'art. 1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. Entrambe le parti hanno depositato successive memorie difensive. Considerato In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata Con il motivo primo violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 cod. civ. la ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente escluso la pericolosità intrinseca dell'avvallamento della pavimentazione nella quale sembra fossero mancanti due mattonelle e quindi i presupposti per l'applicazione della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 cod. civ. La censura è manifestamente infondata in quanto non coglie la ratio dedicendi della sentenza impugnata, che non esclude affatto l'applicabilità al caso di specie dell'art. 2051 cod. civ., ma ritiene che la presunzione di responsabilità non opera quando la pericolosità della cosa in custodia è chiaramente individuabile con l'ordinaria diligenza. Nel merito, la corte d'appello ha individuato nella disattenzione della De Mi. una causa efficiente prossima e sufficiente ad elidere il rapporto di causalità con l'avvallamento della pavimentazione del marciapiede. Tale decisione si sottrae a censure di legittimità. Questa Corte ha già chiarito che, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 fattispecie in cui è stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta, ritenuta causalmente attribuibile alla disattenzione dello stesso danneggiato . Infatti, in tema di responsabilità ex art. 2051 cod. civ., il caso fortuito - inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno - è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva Sez. 6-3, Ordinanza n. 30775 del 22/12/2017 fattispecie in cui è stato escluso che la vittima fosse caduta per un difetto di custodia del marciapiede comunale e fosse, invece, imputabile una sua disattenzione . Il resto delle contestazioni svolte nell'ambito del primo motivo attengono alla ricostruzione della dinamica del sinistro in punto di fatto e sono inammissibili in questa sede Con il secondo motivo, a prescindere dall'intestazione, in sostanza si contesta nel merito la valutazione delle risultanze istruttorie. Si tratta di una censura, volta a sollecitare una riformulazione del giudizio di fatto, inammissibile in sede di legittimità. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma primo, cod. proc. civ., nella misura indicata nel dispositivo. Ricorrono altresì i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso art. 13.