L’accertamento dell’invalidità permanente non fonda il diritto al risarcimento del danno da lucro cessante

Qualora, in seguito ad un sinistro stradale, sia accertata un’invalidità permanete in capo al danneggiato, da tale accertamento non discende, in automatico, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante per menomazione della capacità di lavoro.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 8838/18, depositata il 10 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Palermo, nel rigettare il gravame confermava la sentenza emessa dal Tribunale della medesima città con la quale il danneggiante ed una compagnia di assicurazioni venivano condannati in solido al pagamento del risarcimento del danno subito dal danneggiato in seguito ad un sinistro stradale. Avverso la sentenza della Corte distrettuale il danneggiato ricorre per cassazione denunciando il mancato riconoscimento del danno patrimoniale da lucro cessante, in considerazione dell’invalidità permanente, della menomazione della propria capacità lavorativa e produttiva, nonché dell’omessa considerazione delle risultanze della CTU. Il lucro cessante. Il Supremo Collegio evidenzia come correttamente il Giudice d’Appello abbia escluso ogni automatismo tra accertamento dell’invalidità permanente e risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante , procedendo, invero, ad una liquidazione equitativa dello stesso con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto . Per la Suprema Corte, spetta al danneggiato, dunque, dimostrare, anche tramite presunzioni, che tale invalidità abbia in concreto prodotto una riduzione della capacità di lavoro specifica ed una conseguente riduzione della capacità di guadagno . Ciò posto, i Giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso e condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali, precisano che come più volte chiarito da questa S.C., la liquidazione del danno non patrimoniale in via equitativa resta affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360, n. 5, c.p.c., ratione temporis vigente .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 15 febbraio – 10 aprile 2018, n. 8838 Presidente Amendola – Relatore Cigna Fatti di causa D.P. propone ricorso in cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Palermo, rigettandogli l’appello, ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Palermo, sez. distaccata di Bagheria, a fronte della sua richiesta di Euro 770.589,49, in parziale accoglimento della domanda, aveva condannato i convenuti R.N. e Milano Assicurazioni, in solido, al pagamento della somma di Euro 64.476,16, oltre interessi e spese di lite, a titolo di risarcimento del danno da esso ricorrente patito in conseguenza di sinistro stradale verificatosi il omissis in particolare la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha evidenziato che il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente, dovendo invece il danneggiato dimostrare, anche tramite presunzioni, che tale invalidità abbia in concreto prodotto una riduzione della capacità di lavoro specifica ed una conseguente riduzione della capacità di guadagno che, tuttavia, nei casi di percentuale elevata di invalidità permanente, tale da rendere altamente probabile la menomazione della capacità di lavoro specifica, può presumersi la sussistenza di una perdita patrimoniale, da liquidare in via equitativa che, nella fattispecie, correttamente il primo Giudice aveva liquidato in via equitativa nella somma di Euro 70.000,00 il danno patrimoniale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto incidenza delle lesioni permanenti sulla capacità lavorativa, mancata prova di disoccupazione del D. , retribuzione percepita al momento del sinistro, età dell’appellato che, in particolare, non potevano essere condivise le risultanze dell’espletata consulenza tecnica, essendo la stessa fondata su dati e previsioni puramente ipotetici, senza considerare la capacità residua del lavoratore e la possibilità dello stesso di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini. Resiste con controricorso Unipolsai Assicurazioni SpA. R.N. non svolge attività difensiva. Ragioni della decisione Con il primo motivo, denunziante - ex art. 360 n. 3 cpc - violazione degli artt. 2054, 1223 e 1226 cc, il ricorrente si duole che i giudici di merito non abbiano in alcun modo analizzato, soprattutto in prospettiva futura, la sua residua capacità lavorativa e produttiva al riguardo, in particolare, lamenta la mancata considerazione del contesto socio economico città di Palermo , con altissimo tasso di disoccupazione, nonché la difficoltà nel provare un fatto negativo quale la disoccupazione. Il motivo è inammissibile. Le doglianze sono invero generiche e prive di specificità e, non indicando - tra l’altro - neanche la percentuale di danno biologico riconosciuta al ricorrente, non consentono a questa Corte un compiuto esame della sollevata questione. In ogni modo le censure sono inammissibili anche perché si risolvono in una non consentita critica alla valutazione equitativa della Corte territoriale. Correttamente, invero, la Corte d’Appello, dopo avere escluso ogni automatismo tra accertamento dell’invalidità permanente e risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante conf. Cass. 2758/2015 10074/2010 e dopo avere ritenuto nella specie altamente probabile sia la menomazione della capacità di lavoro specifica sia il conseguente danno patrimoniale, ha proceduto, in linea con Cass. 14645/2015, ad una liquidazione equitativa dello stesso con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto come più volte chiarito da questa S.C., la liquidazione del danno non patrimoniale in via equitativa resta affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5 cpc, ratione temporis vigente Cass. 16222/2015. Con il secondo motivo, denunziante - ex art. 360 n. 5 cpc - omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che non è stato oggetto di discussione tra le parti, il ricorrente si duole che la Corte non abbia per nulla considerato la CTU contabile dalla stessa Corte disposta. Tale motivo è manifestamente infondato, atteso che, come risulta dalla su riportata esposizione in fatto, la Corte ha valutato la CTU, non condividendone tuttavia le risultanze. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dpr 115/2002, poiché il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Unipolsai Assicurazioni SpA, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.