Assemblea dei soci in banca, patrimonio rivelato urbi et orbi: nessuna violazione della privacy

L’episodio si è verificato nei primi mesi del 2000. I Giudici richiamano la normativa allora vigente. Esclusa l’ipotesi del danno e del relativo risarcimento.

Tensione altissima durante l’assemblea dei soci della Banca. Il culmine si raggiunge quando il presidente del collegio sindacale – chiamato in causa per un presunto investimento abusivo in titoli ad alto rischio, effettuato utilizzando i fondi di un correntista deceduto – ribatte svelandone urbi et orbi l’entità del patrimonio, superiore ai 10 miliardi di vecchie lire. L’uscita, non proprio felice, viene contestata dagli eredi del correntista, ma, spiegano i Giudici, nessuna censura è possibile. In sostanza, non si può parlare di privacy violata. Cassazione, sentenza n. 3412/2018, Sezione Terza Civile, depositata il 13 febbraio 2018 . Riservatezza. Ricostruita la vicenda, i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, respingono la richiesta di risarcimento presentata dagli eredi del correntista nei confronti del presidente del collegio sindacale della Banca. In particolare, in secondo grado si sostiene che non ci fu alcun fatto illecito consistente nella divulgazione del segreto bancario e nella violazione del diritto alla riservatezza del correntista. A chiudere la questione provvedono i Giudici della Cassazione, spiegando, in primo luogo, che l’entità del patrimonio d’una persona non costituisce un ‘dato sensibile’, come tale divulgabile solo col consenso del titolare , però alla luce della legge vigente all’epoca dei fatti , cioè nei primi mesi del 2000. Per la precisione, all’epoca la materia dei dati personali era disciplinata dalla normativa che definiva ‘sensibili’ i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” , mentre, osservano i Giudici, l’entità del patrimonio non rientra tra i ‘dati sensibili’ . Va poi tenuto presente che l’entità del patrimonio del correntista venne divulgata nel corso di un alterco tra due persone fisiche, e qualunque cosa detta nel corso di un alterco tra due persone fisiche non costituisce ‘trattamento di dati personali’ , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 novembre 2017 – 13 febbraio 2018, n. 3412 Presidente Vivaldi – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2003 Ca. Pi., Ma. Pi. e Da. Da. Pr. convennero dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa Fr. Si., esponendo - di essere prossimi congiunti del defunto Gi. Pi. - che la convenuta era figlia del defunto Pr. Si., nel 2000 presidente del collegio sindacale della Banca Popolare di Marostica - la Banca Popolare di Marostica aveva abusivamente investito i fondi ivi depositati dal defunto Gi. Pi. in titoli ad alto rischio - Ca. Pi., figlia di Gi. Pi., aveva denunciato l'accaduto ai vertici della banca - il 30 aprile 2000, nel corso di un'assemblea dei soci della banca, Pr. Si. svelò pubblicamente l'entità del patrimonio di Gi. Pi., pari a 10.000.000.000 di lire, ed inoltre insinuò - secondo la lettura che gli odierni ricorrenti diedero delle sue parole - che tali risparmi avrebbero avuto una provenienza poco trasparente, se non illecita. Chiesero pertanto la condanna della convenuta, quale erede del defunto Pr. Si., al risarcimento dei danni rispettivamente patiti dagli attori in conseguenza dei fatti appena descritti. 2. La convenuta si costitui negando la responsabilità del proprio dante causa. Con sentenza 2 agosto 2007 n. 449 il Tribunale di Bassano del Grappa rigettò le domande. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza 6 febbraio 2014 n. 313, rigettò il gravame proposto dai soccombenti. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d'appello ritenne che a Pr. Si. non commise alcun fatto illecito consistente nella divulgazione del segreto bancario nella violazione del diritto alla riservatezza di Gi. Pi. infatti l'avere affermato pubblicamente che Gi. Pi. avesse investito 10.000.000.000 di lire fu affermazione imposta dalla necessità di difendere l'operato del collegio sindacale dinanzi alle accuse di malversazione mosse da Ca. Pi. in ogni caso la necessità di affrontare l'argomento fu conseguenza dell'intervento in assemblea dalla stessa Ca. Pi., che ricordò le vicende di questo investimento e sollecitò gli altri soci a prendere contatto con lei per coordinare le azioni del caso b Pr. Si. non lese l'onore e la reputazione di Gi. Pi., perché le affermazioni da lui compiute al cospetto dell'assemblea non avevano contenuto diffamatorio aggiunse che comunque la frase pronunciata da Pr. Si., e ritenuta diffamatoria dagli attori ovvero la seguente perché ci sarebbe stato, se non proveniva dalla realizzazione della vendita di altri titoli, ci sarebbe stata anche da condurre un'indagine sulla sulla usu sulla provenienza di questi fondi, ci sarebbe stato anche questo ma non riguardava l'oggetto, non riguardava , era di significato scarsamente intelligibile e che dal tenore letterale di essa, e dal contesto in cui fu pronunciata, non potesse argomentarsi che Pr. Si. avesse dato dell' usuraio a Gi. Pi 3. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da Ca. Pi., Ma. Pi., e Da. Dal Pra con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria ha resistito con controricorso Fr. Si., anch'essa depositando memoria. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione degli articoli 2370, 2377 e 2400 c.c Tali norme sarebbero state violate, secondo i ricorrenti, perché le espressioni utilizzate da Pr. Si. nel corso dell'assemblea del 30 aprile 2000 hanno leso i principi di rango costituzionale volti a tutelare il diritto del socio di partecipare all'assemblea e di esprimere senza condizionamenti senza timore di minacce la propria opinione . Il senso della censura è che Pr. Si., con le espressioni sopra ricordate, volle indurre Ca. Pi. ad astenersi dall'intervenire nell'assemblea, sostanzialmente minacciando di divulgare dati attinenti la sfera privata. 1.2. Il motivo è inammissibile. Dalla sentenza impugnata, e tanto meno dal ricorso, risulta che sia mai stata prospettata, nei gradi di merito, una domanda di risarcimento del danno da induzione a non partecipare all'assemblea . In primo ed in secondo grado gli attori prospettarono unicamente una lesione dell'onore e della reputazione derivante dalla divulgazione del segreto bancario e dal preteso contenuto diffamatorio delle dichiarazioni di Pr. Si E va da sé che in materia di diritti di obbligazione scaturenti da fatti illeciti, mutare la condotta che si assume causativa del danno equivale a mutare il fatto costitutivo della pretesa e, con esso, la domanda. 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione degli articoli 15 e 24 D.Lgs. 30.6.2003 n. 196. Deducono i ricorrenti che Pr. Si., dichiarando pubblicamente che il patrimonio di Gi. Pi. ascendeva a 10.000.000.000 di lire, avrebbe violato i dati sensibili del risparmiatore, e che tale condotta legittima di per sé il titolare dei dati od i suoi eredi a pretendere il risarcimento del danno. 2.2. Il motivo è infondato. In primo luogo, l'entità del patrimonio d'una persona non costituisce, secondo la legge vigente all'epoca dei fatti, un dato sensibile , come tale divulgabile solo col consenso del titolare. All'epoca dei fatti la materia dei dati personali era disciplinata dalla I. 31.12.1996 n. 675, il cui art. 22 definiva sensibili i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale . L'entità del patrimonio, dunque, non rientra tra i dati sensibili . In secondo luogo, l'entità del patrimonio di Gi. Pi. venne divulgata nel corso di un alterco tra due persone fisiche. E qualunque cosa detta nel corso di un alterco tra due persone fisiche non costituisce trattamento di dati personali, né all'epoca dei fatti era soggetto alle previsioni della I. 675/96, in virtù della previsione di cui all'art. 3, comma 1, di tale legge, il quale stabiliva che Il trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali non è soggetto all'applicazione della presente legge . 3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c, che la Corte d'appello, nell'escludere che la frase pronunciata da Pr. Si. avesse contenuto diffamatorio, ha omesso di considerare che essa venne pronunciata mezz'ora dopo il momento in cui Ca. Pi. prese la parola, e quindi in un momento in cui la concitazione del momento si sarebbe dovuta ritenere evaporata e, con essa, anche qualsiasi giustificazione delle piccate parole pronunciate da Pr. Si L'illustrazione del motivo prosegue ricordando che Pr. Si., in conseguenza dei fatti di causa, era stato rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all'articolo 595 c.p., a dimostrazione di come erroneamente la Corte d'appello avesse ritenuto non diffamatoria la frase sopra trascritta. 3.2. Il motivo è inammissibile. La sentenza d'appello impugnata in questa sede è stata depositata dopo l'11.9.2012. Al presente giudizio, di conseguenza, si applica il nuovo testo dell'art. 360, n. 5, c.p.c. Le Sezioni Unite di questa Corte, nel chiarire il senso della nuova norma, hanno stabilito che per effetto della riforma è denunciatile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 . Nella motivazione della sentenza appena ricordata, inoltre, si precisa che l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti . Quello appena trascritto è giustappunto il nostro caso. Il terzo motivo di ricorso, infatti, censura in sostanza non l'omesso esame d'un fatto decisivo, ma una tipica valutazione di merito, ovvero lo stabilire se una certa affermazione potesse o meno, per il luogo, il tempo e le circostanze in cui fu compiuta, avere o no contenuto diffamatorio. 4. Le spese. 4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c, e sono liquidate nel dispositivo. 4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Per Questi Motivi la Corte di cassazione - rigetta il ricorso - condanna Ca. Pi., Ma. Pi. e Da. Da. Pr., in solido, alla rifusione in favore di Fr. Si. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 10.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Ca. Pi., Ma. Pi. e Da. Da. Pr., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.