È responsabile l’ospedale che non comunica i risultati delle analisi pericolosi per la vita del paziente

Per costante e consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità il comportamento cui è tenuta la struttura ospedaliera si sostanzia, indipendente dal ricovero del paziente, in uno specifico obbligo di prestazione ed in un correlato dovere di protezione del paziente .

Lo ha ribadito la Suprema Corte con sentenza n. 1251/18, depositata il 19 gennaio. Il caso. Il Tribunale rigettava la domanda proposta dalle parti che chiedevano il risarcimento per il danno subito in conseguenza della morte del proprio congiunto cagionata dalla condotta colpevole omissiva dell’ente convenuto. Secondo gli attori l’ente sanitario non aveva comunicato al medico curante i valori allarmati evidenzianti un imminente pericolo di vita del paziente. Secondo il Giudice di primo grado non sussisteva l’obbligo di comunicazione urgente degli esiti dell’accertamento in capo all’Azienda sanitaria in quanto non vi è nessuna disposizione legislativa in tal senso. La Corte d’Appello rigettava l’opposizione dei soccombenti e confermava la decisione di prime cure. Avverso la pronuncia di merito ricorrono per cassazione gli appellanti. Contratto di spedalità. Le doglianze dei ricorrenti possono riassumersi nella richiesta di accertamento dell’obbligo di comunicazione in capo alla struttura ospedaliera. La Suprema Corte ha premesso che è irrilevante il fatto che il paziente si fosse rivolto all’ospedale solo per analisi cliniche e non fosse stato ricoverato, in quanto in ogni caso è comunque concluso tra le parti il c.d. contratto di spedalità. Infatti il comportamento cui è tenuta l’Azienda ospedaliera, in entrambi i casi, si sostanzia in uno specifico obbligo di prestazione ed in un correlato dovere di protezione del paziente . Il pericolo per la vita del paziente. Ciò posto la Cassazione ha osservato che in via generale non può essere riconosciuto un indifferenziato obbligo di attivazione in presenza di qualsiasi situazione di alterazione dei dati clinici emersa dalle analisi eseguita in un ospedale. La situazione cambia nell’ipotesi in cui tale alterazione è di tale gravità da mettere in pericolo la vita del paziente in quanto una tempestiva segnalazione al medico curante o al paziente poteva con molta probabilità, come nella fattispecie, evitare l’esito letale. Il ritardo delle comunicazione in questo caso specifico si risolve nella violazione dell’art. 1176, comma 2, c.c. Diligenza nell’adempimento . Nella fattispecie dalle valutazioni della CTU, secondo la S.C., emerge il pericolo di vita per il paziente evidente dai risultati delle analisi. Per questi motivi la Cassazione ha accolto il ricorso e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’Appello che si atterà ai principi esposti.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 luglio 2017 – 19 gennaio 2018, n. 1251 Presidente/Relatore Travaglino I fatti c.m. , Ma. e C.M. convennero dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa la omonima ULSS, chiedendo il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del proprio congiunto, C.P. , cagionata da una condotta colpevolmente omissiva dell’ente convenuto. Esposero gli attori che C.P. , già sofferente per varie patologie, era stato sottoposto ad analisi emato-chimiche presso il presidio di omissis il giorno omissis , analisi che avevano mostrato un allarmante livello del valore del potassio, senza che il risultato dell’accertamento fosse comunicato al medico curante, e nonostante che i valori suddetti evidenziassero un imminente pericolo di vita del paziente - che sarebbe difatti spirato tra giorni dopo per arresto cardiaco dovuto ad iperpotassiemia. Il giudice di primo grado respinse la domanda, ritenendo insussistente un obbligo di comunicazione urgente degli esiti dell’accertamento in capo all’Azienda sanitaria, obbligo non prevista da alcuna specifica disposizione normativa. La corte di appello di Venezia, dinanzi alla quale gli attori avevano proposto impugnazione, la rigettò. Avverso la sentenza della Corte lagunare la signora c. ed i C. hanno proposto ricorso sulla base di due motivi di censura illustrati da memoria. La ULSS resiste con controricorso. Le ragioni della decisione Il ricorso è fondato. Con il primo motivo , si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1228, 1176, 2236 c.c. nonché dei principi giurisprudenziali in materia di responsabilità medica e sanitaria art. 360 n. 3 c.p.c. . Violazione e falsa applicazione dell’art. 1367 c.c. e dei principi generali in tema di interpretazione dei negozi giuridici in genere art. 360 n. 3 c.p.c. . Con il secondo motivo , si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. art. 360 n. 3 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 c.p.c. . I motivi - che possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca connessione - meritano accoglimento nei limiti che seguono. Va in premessa osservato come non spieghi influenza, ai fini del decidere contrariamente a quanto opinato dal giudice territoriale , la circostanza per cui il C. si fosse rivolto all’ospedale per essere sottoposto ad analisi cliniche e non per essere ricoverato, risultando comunque concluso tra le parti il cd. contratto di spedalità Cass. 24791/2008 8826/2007 . Il comportamento cui è tenuta la struttura ospedaliera, per costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, si sostanzia, nell’uno come nell’altro caso, in uno specifico obbligo di prestazione ed in un correlato dovere di protezione del paziente. Ne consegue che, al di là ed a prescindere da qualsivoglia disposizione normativa in materia correttamente ritenuta inesistente dalla Corte veneziana , rientra nel dovere accessorio di protezione della salute del paziente una tempestiva ed immediata attivazione in presenza di una evidente situazione di pericolo di vita. Non erra il giudice lagunare nel ritenere, su di un piano generale, impredicabile un indifferenziato obbligo di attivazione in presenza di qualsivoglia situazione di alterazione dei dati clinici che emerga dalle analisi compiute presso una struttura ospedaliera. Ma tale impredicabilità trova un invalicabile limite nell’ipotesi in cui tale alterazione si riveli di tale gravità da mettere in pericolo la vita stessa del paziente - onde una tempestiva segnalazione al sanitario competente o al paziente stesso ne possa, sul piano probabilistico, scongiurare l’esito letale conseguente e nella specie, purtroppo conseguito al ritardo di comunicazione, ritardo che, ove consumato, si risolve nella violazione del precetto di cui all’art. 1176, secondo comma, del codice civile. La CTU esperita in sede di giudizio di merito ha evidenziato come, al di la ed a prescindere da qualsivoglia indicazione normativa, regolamentare o semplicemente amministrativa protocolli interni ovvero linee guida , il valore della potassiemia emerso dalle analisi 7.3 mEq/I indicasse in equivocamente un pericolo di vita del paziente, e ne imponesse una immediata comunicazione ai medici curanti. Il ricorso è pertanto accolto nei limiti di cui in motivazione. La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio del procedimento alla Corte di appello di Venezia, che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra esposti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Venezia in altra composizione.