La somma esigua domandata per il risarcimento non sempre comporta l’inappellabilità della decisione

In relazione all’appellabilità delle sentenze del Giudice di Pace, la Suprema Corte è interrogata in merito alla rilevanza dei criteri di quantificazione delle somma dovuta per il risarcimento danni sofferti dal richiedente, tenendo conto dei limiti imposti dalle sentenze decise secondo equità.

Sul punto la Cassazione con ordinanza n. 1210/18, depositata il 18 gennaio. La vicenda. Il Giudice di Pace condanna il Comune al risarcimento dei danni provocati alla vettura di un cittadino a causa della presenza di una buca non segnalata e non visibile sulla strada. Il Tribunale, adito in appello, dichiarava inammissibile il gravame proposto dal Comune per violazione dell’art. 339, comma 3, c.p.c. Appellabilità della sentenze ritenendo che, nella fattispecie, le sentenza del Giudice di Pace, di valore inferiore a 1100 euro, non sia appellabile in quanto non rientri nelle ipotesi di appellabilità previste dalla legge per le sentenze decise secondo equità ai sensi dell’art. 113 c.p.c. Pronuncia secondo diritto . Inoltre, rilevano i Giudici di merito, le conclusioni dell’attore circa la possibilità per il Giudice adito di determinare una somma dovuta maggiore rispetto a quella domandata non erano idonee ad incidere sul valore della causa. Avverso la decisione di merito ricorre per Cassazione il Comune soccombente. Quantificazione della somma dovuta e appellabilità. La Suprema Corte ha evidenziato che per individuare se una sentenza emessa dal Giudice di Pace sia o meno appellabile, anche oltre i limiti di cui all’art. 339 c.p.c., bisogna far riferimento al valore della causa come indicato nella domanda. Ciò posto la decisione impugnata non tiene conto che ove l’attore integri e completi una richiesta specificamente quantificata nel suo ammontare, con una ulteriore sollecitazione rivolta al giudice a determinare il dovuto in quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia”, questa seconda indicazione ha un contenuto sostanziale . Di conseguenza nel caso in cui nel giudizio proposto davanti al Giudice di Pace per il risarcimento del danno con quantificazione espressa della somma domandata ovvero nella somma che risulterà dovuta e, in ogni caso, entro i limiti della competenza per valore del giudice adito, è escluso che la stessa somma sia contenuta entro il limite della pronuncia secondo equità prevista dall’art. 113 c.p.c Per queste ragioni, secondo la Cassazione, la sentenza è impugnabile con l’appello, senza che rilevi, in senso contrario, che l’attore, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia contenuto la domanda entro il suddetto limite, dato che il momento determinante ai fini dell’individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda . In conclusione il Supremo Collegio accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale per lo svolgimento del giudizio di appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 novembre 2017 – 18 gennaio 2018, numero 1210 Presidente Amendola – Relatore Rubino Ragioni in fatto e in diritto della decisione Il Comune de L’Aquila propone tempestivo ricorso per cassazione articolato in un unico motivo avverso la sentenza resa dal Tribunale dell’Aquila in grado di appello numero 334 del 2016, notificata il 14.4.2016, nei confronti di B.L. . Questa la vicenda il B. conveniva in giudizio il Comune de L’Aquila chiedendone la condanna al risarcimento dei danni provocati alla sua vettura dalla presenza di una buca, non segnalata né visibile, su una strada del territorio comunale, nella misura di Euro 919,00, oltre interessi e rivalutazione e comunque entro i limiti di competenza per valore del giudice di pace. La domanda veniva accolta dal giudice di pace, che condannava il Comune al versamento di Euro 700 circa. Il Tribunale de L’Aquila dichiarava inammissibile l’appello proposto dal Comune, per violazione dell’art. 339 terzo comma c.p.c., ritenendo che le sentenze del giudice di pace di valore inferiore a 1.100,00 Euro siano appellabili solo per la violazione di norme sul procedimento, di norme costituzionali, comunitarie e di violazione del principi regolatori della materia, ciò a prescindere dal fatto che la controversia sia stata decisa in primo grado secondo equità o secondo diritto. Aggiungeva che il riferimento, nelle conclusioni dell’attore, ad ogni maggior somma rispetto a quella domandata purché entro i limiti di valore del giudice adito fosse inidoneo, per la sua genericità, ad incidere sul valore della causa. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata all’interno della sezione prevista dall’art. 376 c.p.c., a seguito di proposta del relatore nel senso della manifesta fondatezza del ricorso. Il collegio, previa discussione in camera di consiglio, ha condiviso la proposta del relatore. È ben vero, infatti, che per individuare se una sentenza emessa dal giudice di pace sia o meno appellabile senza dover sottostare ai limiti di cui all’art. 339 terzo comma c.p.c., occorre far riferimento al valore della causa come indicato nella domanda. La decisione impugnata non tiene però conto del consolidato orientamento di legittimità secondo il quale ove l’attore integri e completi una richiesta specificamente quantificata nel suo ammontare, con una ulteriore sollecitazione rivolta al giudice a determinare il dovuto in quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia , questa seconda indicazione ha un contenuto sostanziale e non è rilevante che essa corrisponda alla prassi, per cui possa essere definita di stile . La formula in questione manifesta cioè la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata nelle conclusioni specifiche ne discende che la suddetta richiesta alternativa si risolve in una mancanza di indicazione della somma domandata, con la conseguenza che la domanda, ai sensi della seconda proposizione dell’art. 14 c.p.c., si deve presumere di valore eguale alla competenza del giudice adito si veda la sentenza di questa Corte numero 9432 dell’11 giugno 2012 Cass. numero 6053 del 2013 v. anche Cass. numero 10921 del 2013 . Come già affermato da Cass. 22759 del 2013, nel giudizio innanzi al giudice di pace, proposta una domanda di risarcimento del danno con l’espressa quantificazione di esso in una somma determinata, oppure nella somma che risulterà dovuta e comunque entro i limiti della competenza per valore del giudice adito, deve escludersi che la stessa sia stata contenuta entro il limite stabilito dall’art. 113 cod. proc. civ. per la decisione della causa secondo equità. Ne consegue che la sentenza è impugnabile con l’appello, senza che rilevi, in senso contrario, che l’attore, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia contenuto la domanda entro il suddetto limite, dato che il momento determinante ai fini dell’individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda. Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata al Tribunale de L’Aquila per lo svolgimento del giudizio di appello ed anche affinché liquidi le spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale de L’Aquila in diversa composizione.