La passeggiata su un muretto si conclude con una brutta caduta: niente risarcimento

Protagonista della vicenda un bambino di nemmeno 10 anni a passeggio coi genitori. Il capitombolo gli ha provocato serie lesioni. La sua condotta, però, esclude ogni possibile responsabilità del Comune.

Gioco finito male. La camminata di un ragazzino lungo un muretto – mente era a passeggio coi genitori in paese – si conclude con una brutta caduta. Necessaria una corsa in ospedale, dove viene effettuata la rimozione della milza. A fronte delle serie lesioni provocate dal capitombolo, però, i Giudici escludono la possibilità di un risarcimento. Ciò perché non regge, a loro parere, l’ipotesi della responsabilità del Comune Cassazione, ordinanza n. 28429/17, sez. VI Civile, depositata oggi . Muretto. Prima, all’epoca dei fatti – luglio 2003 –, i genitori, ora, a distanza di 14 anni, l’allora bambino divenuto maggiorenne obiettivo è vedere dichiarata la responsabilità del Comune per l’episodio verificatosi lungo una strada di un piccolo paese calabrese. Sia mamma e papà che figlio sottolineano le condizioni del muretto privo di protezione, sconnesso e non a norma per la sicurezza dei cittadini . In aggiunta viene anche sostenuto che il bambino era stato costretto a camminare sul muretto a causa del traffico automobilistico . Per i Giudici, sia quelli del Tribunale che quelli della Corte d’Appello, non vi sono appigli per considerare il Comune responsabile anche solo in parte per la disavventura vissuta dal minore. In particolare, in secondo grado viene specificato che la struttura da cui cadde il minore non costituiva un marciapiede e non era predestinata al transito dei pedoni non vi era alcuna prova che il minore fosse stato costretto a percorrere quel muretto per sottrarsi al rischio costituito dal traffico veicolare il muretto, per le condizioni in cui si presentava, non si prestava ad essere confuso con un marciapiede . Ultimo dettaglio, non secondario il danno era stato causato non dalla cosa, ma da un uso improprio o anomalo di essa da parte del minore . Uso. La scelta del ragazzo, ora maggiorenne, di proporre ricorso in Cassazione si rivela inutile. Anche per i Magistrati del ‘Palazzaccio’, difatti, non si può considerare il Comune colpevole per l’episodio da lui vissuto quando aveva appena 8 anni. Decisiva la constatazione che la vittima, senza necessità alcuna, decise di camminare su un muretto non destinato al passaggio di persone , così facendo dunque un uso anomalo della cosa . Questo dato di fatto permette di escludere la responsabilità del custode , cioè, in questo caso, dell’amministrazione comunale. Respinta definitivamente, di conseguenza, la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti del Comune.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 13 luglio – 28 novembre 2017, n. 28429 Presidente Frasca – Relatore Rossetti Rilevato che nel 2004 Cl. Br. e Ro. Si., nella veste di rappresentanti ex articolo 320 c.c. del proprio figlio minore Ri. Br., convennero dinanzi al Tribunale di Catanzaro il Comune di Girifalco, esponendo che il proprio figlio Ri. Br., dell'età di otto anni all'epoca dei fatti, il 2 luglio 2003 patì lesioni personali cadendo da un muretto-marciapiede, privo di protesone, sconnesso e non a norma per la sicurezza degli utenti precisavano che il minore era stato costretto a camminare sul muretto a causa del traffico automobilistico e che a causa della caduta aveva patito l'asportazione della milza chiesero perciò la condanna dell'amministrazione convenuta al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti appena descritti con sentenza 25 agosto 2010 n. 1895, il Tribunale di Catanzaro accolse la domanda la Corte d'appello di Catanzaro, adita dall'amministrazione soccombente, con sentenza 23 marzo 2015 n. 400, accolse il gravame e rigettò la domanda per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d'appello ritenne che - la struttura dalla quale il minore cadde non costituiva un marciapiede, e non fosse destinata al transito dei pedoni - non vi era alcuna prova che il minore infortunato fosse stato costretto a percorrere quel muretto per sottrarsi al rischio costituito dal traffico veicolare - il muretto, per le condizioni in cui si presentava, non si prestava ad essere confuso con un marciapiede - andava, infine, esclusa la responsabilità dell'amministrazione comunale anche ai sensi dell'articolo 2051 c.c., dal momento che il danno era stato causato non dalla cosa, ma da un uso improprio o anomalo di essa da parte del minore, come tale sufficiente ad interrompere il nesso di causalità tra la cosa il danno la sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da Ri. Br., divenuto maggiorenne nelle more del giudizio, con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria ha resistito con controricorso il Comune di Girifalco Considerato che col primo motivo il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 2051, 2697 c.c. 112, 115, 116 c.p.c sia dal vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. nel testo modificato dall'art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134 il motivo, sebbene formalmente unitario, contiene in realtà plurime censure, che possono essere così riassunte a la Corte d'appello ha violato l'articolo 2051 c.c., perché ha rigettato la domanda nonostante fosse incontestata l'esistenza del rapporto di custodia, da parte del Comune di Girifalco, sul muretto dal quale cadde Ri. Br. b la Corte d'appello non ha adeguatamente valutato le prove raccolte, dalle quali emergeva sia che il muretto non era protetto da parapetti o corrimano sia che il minore fu costretto a salire sul muretto per sottrarsi al traffico veicolare il motivo è manifestamente inammissibile in tutti i profili in cui si articola per quanto attiene la violazione dell'art. 112 c.p.c, infatti, la censura è solo annunciata nel titolo del ricorso, ma non adeguatamente illustrata quanto, poi, al fugace accenno contenuto nel ricorso, secondo cui la Corte d'appello avrebbe erroneamente rilevato d'ufficio il concorso di colpa della vittima, anche ad ammettere che tale ermetica allegazione soddisfi il requisito di specificità del ricorso, richiesto dall'art. 366, n. 3, c.p.c, va ricordato che il concorso di colpa della vittima d'un fatto illecito, ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c.c., è rilevabile anche d'ufficio, e non richiedeva una eccezione formale dei convenuti ex multis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 9241 del 06/05/2016 Sez. L, Sentenza n. 23372 del 15/10/2013 Sez. 3, Sentenza n. 6529 del 22/03/2011 per quanto attiene la violazione dell'art. 115 c.p.c, il motivo è inammissibile in quanto la violazione di tale norma può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 per quanto attiene la violazione dell'art. 116 c.p.c, il motivo è inammissibile in quanto la violazione dell'art. 116 c.p.c è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360, n. 4, c.p.c, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 anche per quanto attiene la censura concernente la valutazione delle prove, il motivo è manifestamente inammissibile, non essendo sindacabile in questa sede il giudizio di merito e la ricostruzione dei fatti come compiuti dalla Corte d'appello a quest'ultimo riguardo v'è in ogni caso da aggiungere che il ricorso, nella parte in cui lamenta un sostanziale fraintendimento delle dichiarazioni testimoniali da parte della Corte d'appello p. 14 del ricorso è inammissibile perché omette di trascrivere le deposizioni che si assumono fraintese, in violazione dell'art. 366, n. 6, c.p.c nessuna violazione dell'art. 2051 c.c., infine, contiene la sentenza impugnata questa infatti ha escluso la responsabilità del custode, di cui all'art. 2051 c.c. sul presupposto che la vittima avesse usato in modo improprio ed anomalo la cosa fonte di danno, e tale principio è assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 21727 del 04/12/2012 Sez. 3, Sentenza n. 1769 del 08/02/2012 Sez. 3, Sentenza n. 24804 del 08/10/2008 col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia affetta tanto dal vizio di violazione di legge, di cui all'articolo 360, n. 3, c.p.c. lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1227, 2051 e 2697 c.c. quanto da non meglio precisati vizi motivazionali deduce, a tal riguardo, che la Corte d'appello avrebbe violato sotto diversi aspetti l'articolo 2051 del codice civile sia là dove ha ritenuto la pericolosità della cosa elemento essenziale della responsabilità del custode sia là dove ha escluso la responsabilità del custode, nonostante quest'ultimo non avesse fornito la dimostrazione del caso fortuito il motivo è manifestamente inammissibile nella parte in cui lamenta vizi motivazionali sia per la totale mancanza di illustrazione al riguardo sia perché in ogni caso il vizio di motivazione, come già accennato, non costituisce più un motivo di ricorso per cassazione, salvo due casi quando la motivazione manchi del tutto, ovvero quando sia totalmente incomprensibile, ipotesi non ricorrenti nel presente giudizio il motivo è, invece, manifestamente infondato nella parte in cui lamenta la violazione dell'articolo 2051 c.c. la ratio decidendi della sentenza impugnata, nonostante un non pertinente richiamo alla pericolosità della cosa fonte di danno, è infatti limpida il Tribunale ha rigettato la domanda sul presupposto che la vittima, senza necessità alcuna, decise di camminare su un muretto non destinato al passaggio di persone, e dunque facendo un uso anomalo della cosa tale affermazione in punto di diritto è ineccepibile, alla luce della giurisprudenza richiamata poc'anzi, secondo cui l'uso anomalo della cosa da parte della vittima interrompe il nesso di causa tra questa ed il danno, ed esclude la responsabilità del custode e sarà il caso di ricordare che tale principio viene ripetuto costantemente da questa Corte da quasi vent'anni, a partire da Sez. 3, Sentenza n. 13337 del 06/10/2000 stabilire, poi, in concreto, se davvero il minore avesse o non avesse necessità di salire sul muretto per sottrarsi al traffico veicolare è questione squisitamente di fatto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità col terzo motivo di ricorso Ri. Br. lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un error in procedendo, ai sensi dell'articolo 360, n. 4, c.p.c, per avere omesso di provvedere sulla domanda di risarcimento del danno formulata ai sensi dell'articolo 2043 c.c. il motivo è manifestamente inammissibile per genericità anche in questo caso infatti il ricorrente, in violazione dei precetti dettati dall'articolo 366, n. 6, c.p.c, non precisa dove e quando la domanda di risarcimento del danno aquiliano sia stata riproposta in appello, ai sensi dell'articolo 346 c.p.c ed infatti, essendo stata la domanda attorea accolta dal Tribunale ai sensi dell'articolo 2051 c.c., la proposizione dell'appello da parte del Comune onerava l'appellato di riproporre le domande e le eccezioni non accolte perché rimaste assorbite, ai sensi della norma appena ricordata sicché il silenzio del ricorso su tale questione cruciale impedisce di esaminare il fondo del motivo non sarà superfluo comunque ricordare che l'uso anomalo della cosa da parte del danneggiato, escludendo il nesso di causa tra la custodia ed il danno, a fortiori esclude la responsabilità aquiliana, ai sensi dell'art. 2043 c.c. le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c, e sono liquidate nel dispositivo il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 P.Q.M. - dichiara inammissibile il ricorso - condanna Ri. Br. alla rifusione in favore del Comune di Girifalco delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.600, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Ri. Br. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.