Anche la casalinga ha diritto al risarcimento del danno per perdita di chance

Nella liquidazione del danno, il giudice di merito non può prescindere da un adeguato accertamento prognostico della riduzione della possibilità di guadagno nella sua proiezione futura, limitandosi ad escludere il danno patrimoniale per il solo fatto che al momento del sinistro il danneggiato non svolgeva alcuna attività lavorativa.

La ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26850/17, depositata il 14 novembre. La vicenda. A seguito di un sinistro stradale, una donna, in qualità di terzo trasportato, conveniva in giudizio il conducente e la sua compagnia assicuratrice per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale accoglieva la domanda, ma la danneggiata impugnava la sentenza in Appello. La Corte territoriale negava però la configurabilità di un danno patrimoniale essendo mancata la prova di un’attività lavorativa produttiva di reddito. Veniva negato anche il danno da perdita di chance in quanto la donna, pur non avendo potuto sostenere l’esame per l’iscrizione all’albo dei geometri, non aveva dimostrato l’impedimento alla professione o comunque la possibilità di superare l’esame, ma solo una maggiore difficoltà nello svolgimento dell’attuale attività di casalinga. Il danno da pardita di chance. La danneggiata ricorre dunque per la cassazione della pronuncia dolendosi per aver il giudice di merito negato la sussistenza di un danno patrimoniale e da perdita di chance nonostante il riconoscimento di una percentuale di invalidità permanente pari al 25%. Il fatto che al momento non svolgesse alcuna attività lavorativa non poteva infatti autorizzare l’esclusione di un danno futuro. La doglianza viene condivisa dai Supremi Giudici che sottolineano la contraddittorietà della pronuncia impugnata rispetto ai consolidati principi giurisprudenziali sul tema. La Cassazione è infatti ferma nel ritenere che, in tema di danni alla persona, laddove la vittima riporti una percentuale di invalidità permanente tanto alta da impedirle attività lavorative anche diverse da quelle svolte al momento del sinistro e comunque confacenti alle sue attitudini ed alle sue condizioni personali e ambientali, risulta integrata non già una lesione di un modo di essere del soggetto e dunque un danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica . In tal caso, il giudice deve procedere all’accertamento in via equitativa di tale voce di danno ai sensi dell’art. 1226 c.c, mentre la liquidazione potrà invece avvenire in via presuntiva se sia ragionevolmente probabile che la vittima percepirà in futuro un reddito inferiore. In conclusione, si rivela errato il ragionamento seguito dalla Corte territoriale che ha escluso in partenza il danno patrimoniale sulla mera circostanza della mancata dimostrazione dello svolgimento di un’attività lavorativa, prescindendo così da un adeguato accertamento presuntivo della riduzione della possibilità di guadagni futuri, anche in termini di perdita di chance. Il Collegio accoglie quindi il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 27 settembre – 14 novembre 2017, n. 26850 Presidente Armano – Relatore Scoditti Fatto e diritto Rilevato che P.C. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna A.D. e Fata Assicurazioni Danni s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno subito a seguito di sinistro stradale nel quale l’attrice era terzo trasportato dal convenuto. Il Tribunale adito, previa CTU, accolse la domanda per quanto di ragione, condannando i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 78.412,81, da cui dovevano detrarsi gli importi già corrisposti. Avverso detta sentenza propose appello la P. . Con sentenza di data 26 febbraio 2016 la Corte d’appello di Bologna accolse parzialmente l’appello, riconoscendo in favore dell’appellante un danno complessivo pari ad Euro 165.013,11 e, detratto quanto corrisposto, disponeva la condanna al pagamento di Euro 32.258,59 oltre accessori condannò quindi gli appellati in solido alla rifusione di due terzi delle spese di lite, compensate per il resto, e che liquidò in Euro 3.5000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, premesso che andava riconosciuta un’invalidità permanente pari al 25% sulla base delle più attendibili conclusioni della consulenza di parte, che non spettava il danno patrimoniale, essendo mancata la prova dello svolgimento di un’attività lavorativa produttiva di reddito e non essendo neanche ravvisabili le condizioni per il riconoscimento di un danno da perdita di chance, posto che la P. non aveva dimostrato che, pur non avendo potuto sostenere l’esame di Stato per l’iscrizione all’albo dei geometri, avrebbe continuato ad essere impedita dai postumi invalidanti permanenti ad intraprendere la carriera di geometra potendo anche aver scelto di non intraprendere tale carriera o comunque avrebbe superato l’esame e intrapreso con successo l’attività professionale, a parte la mancata prova di una maggiore onerosità dello svolgimento dell’attività di casalinga per effetto dell’invalidità. Aggiunse che le spese del grado, comprese quelle già liquidate al CTU, andavano poste a carico degli appellati in solido nei limiti di due terzi. Ha proposto ricorso per cassazione P.C. sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso Fata Assicurazioni Danni s.p.a Il relatore ha ravvisato un’ipotesi di manifesta fondatezza del ricorso relativamente al primo motivo. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. È stata presentata memoria. Considerato che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2043, 2056 e 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che, riconosciuta la percentuale di invalidità permanente nella misura del 25%, il giudice di appello doveva procedere all’accertamento presuntivo del danno patrimoniale, anche a titolo di chances perdute, e che la circostanza che il soggetto danneggiato non svolgesse alcuna attività lavorativa non autorizzava l’esclusione di un danno futuro, dovendo il giudice al riguardo svolgere una complessa valutazione di tipo prognostico. Aggiunge che il giudice di appello ha omesso di esaminare la circostanza accertata dal CTU dell’impedimento ad intraprendere l’attività di geometra a causa delle gravissime lesioni e nulla ha osservato in ordine all’incapacità lavorativa specifica pur accertata dal CTU. Il motivo è manifestamente fondato per quanto di ragione. Il giudice di merito ha escluso la ricorrenza del danno patrimoniale sulla base della mancata dimostrazione dello svolgimento di un’attività lavorativa e ha pure escluso il danno da perdita di chance. Tale statuizione viola i principi di diritto enunciati da questa Corte in subiecta materia. In tema di danni alla persona, l’invalidità di gravità tale nella specie, del 25 per cento da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 cod. civ Cass. 12 giugno 2015, n. 12211 . Nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi Cass. 23 agosto 2011, n. 17514 7 novembre 2005, n. 21497 . La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio Cass. 14 novembre 2013, n. 25634 . Il giudice di merito, escludendo in partenza il danno patrimoniale per il sol fatto della mancata prova di uno svolgimento dell’attività lavorativa, non ha adeguatamente compiuto l’accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall’entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che non sono state liquidate le spese per contributo unificato e spese di notifica. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che il giudice di appello, senza alcuna motivazione, non ha liquidato le spese della consulenza di parte. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 4 e 5 D.M. n. 55 del 2014, 91 e 92 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ Osserva la ricorrente che nella liquidazione dei compensi professionali è stato violato il minimo previsto dalla tariffa forense. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento degli ulteriori motivi. P.Q.M. accoglie il primo motivo del ricorso con assorbimento degli ulteriori motivi cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.